Usiamo il diritto al voto

Spread the love

editoriale Mezzogiorno, 23 settembre 2022 – 08:33 di Aldo Schiavone Sono in molti ormai a dirlo. È stata la più brutta campagna elettorale di tutta la storia repubblicana. Sciatta, senza idee, senza autentica passione civile. Noiosa, se la sua inconcludenza non fosse drammatica. E si è rivelata così soprattutto per il Mezzogiorno, di cui nessuno si è in effetti ricordato, se non all’ultimo momento, per trattarlo in fondo come un serbatoio di voti «facili», per i quali dovrebbe bastare uno scambio antico ed elementare: assistenza contro consenso. Non un’analisi, una proposta, una denuncia. Il vuoto, semplicemente. In questo modo il Sud come sfida e come problema è scomparso ancora una volta dagli orizzonti della politica, come se il suo destino non fosse invece, oggi più di prima, il più grande rovello del Paese, ormai sempre più spaccato in due: in una divisione rovinosa, cui sembra che tutti si siano adattati e rassegnati come fosse un dato di fatto su cui è inutile tornare. Così è stato in queste settimane per la sinistra, che con il cosiddetto patto di Taranto ha toccato il fondo della sua cecità e della sua pochezza. Così è stato per la destra, che parla di «Nazione» senza sapere cosa dice, mentre il Paese reale va in pezzi, e c’è chi, all’interno di quello schieramento, vorrebbe spezzarlo ancora di più con il marchingegno dell’autonomia differenziata. Né questo silenzio è stato rotto dai politici meridionali, che hanno perduto visione, coraggio, speranza, probabilmente anche autentico rapporto con il loro popolo: ammesso che abbiano mai avuto di queste virtù. E con loro, sembrano tacere le grandi città meridionali: i loro intellettuali, i loro ceti produttivi e civili, che pure esistono; i loro giovani. Per non parlare dei partiti del Sud: ridotti – tutti – a larve esangui. E tace Napoli: una Napoli mai come in questa occasione a luci spente; distratta, disillusa, lontana, chiusa nel particolare delle sue mille vite, dolente come sempre per i suoi mali che non si smorzano. È facile pensare, se il contesto è questo, a un’astensione meridionale dal voto tanto massiccia da sfondare le soglie già in precedenza toccate. Una specie di generalizzato not in my name che potrebbe attraversare l’intero Mezzogiorno. Una protesta carica di sfiducia e di stanchezza che – è inutile negarlo – avrebbe dalla sua più di una buona ragione. Ma pure dobbiamo fare di tutto perché ciò non accada, e l’astensionismo meridionale almeno non si allontani troppo da quello medio dell’intera Penisola. Dobbiamo fare di tutto perché il 25 settembre ci si faccia coraggio – perché di questo si tratta: di impegno morale e di forza civile – e si vada comunque a votare. C’è un motivo decisivo che deve spingerci in questa direzione. Ed è che, non votando, non si colpiscono solo e prima di ogni cosa i partiti che abbiamo di fronte; non si dice di no solo al ceto politico selezionato in questi anni, al suo modo di governare o di fare opposizione; non si prendono le distanze soltanto dal blocco di forze e di interessi che da troppo tempo ha monopolizzato la scena del potere e delle istituzioni. Si trattasse solo di questo, astenersi avrebbe il suo senso: sarebbe un gesto ultimo di rottura e di sfiducia, ma proporzionato, in certo modo, a quanto accaduto. Ma non è così. O, per meglio dire, non è solo così. Perché non votando non si sfiduciano soltanto questi partiti e questi politici, non si ritira solo il consenso a questo modo di gestire la cosa pubblica, ma si fa qualcosa di molto più grave e irreparabile. Si spezza il rapporto fra cittadini e sovranità popolare, si rompe il nesso fra popolo e politica: non solo con questa politica, ma con ogni politica. In altri termini: si rifiuta la democrazia, la si colpisce a morte, dichiarandola inservibile. È questo che vogliamo? Sappiamo bene – o almeno dovremmo saperlo – che la democrazia non è solo il voto, come qualcuno ancora vorrebbe farci credere. È molto altro: è trasparenza nel governo e nell’amministrazione; è divisione rigorosa dei poteri; è alternanza; è difesa dei diritti fondamentali dell’umano nelle sue declinazioni di genere; è partecipazione continua e consapevole dei cittadini – nelle forme adeguate e previste dalla legge – alle scelte e alle decisioni pubbliche e al dibattito che deve precederle; è mantenimento di un certo livello di eguaglianza sociale non solo formale. Tutte cose che in troppe occasioni ci sono state e ci sono tuttora negate – e soprattutto nel Mezzogiorno. Ma tuttavia non c’è democrazia senza voto e senza libere elezioni. Queste sono le basi sulle quali costruire tutto il resto. E vanificarle, ridicolizzarle con l’assenteismo, renderle in qualche modo irrilevanti allontanandoci in massa da loro, non colpisce al cuore solo i politici e i partiti che in questo momento abbiamo di fronte, ma manda un segnale ben diverso, e potenzialmente molto più devastante. Che cioè il popolo meridionale ritiene non da condannare solo questi politici e questi partiti, ma pensa che la democrazia stessa sia una pratica che si può dismettere, un abito cui si può rinunciare. Di nuovo, dobbiamo domandarci: è questo che vogliamo? Certo, la democrazia che abbiamo ricevuto dai nostri padri è ben lontana dall’essere un meccanismo perfetto – e noi meridionali ne sappiamo bene qualcosa. Non è la fine della storia, ma solo una tappa in un lungo cammino. E tuttavia, fin quando non avremo sperimentato qualcosa di meglio e di più adeguato all’epoca in cui stiamo entrando – un problema che riguarda l’intero Occidente, e dunque tutto il mondo, e non solo l’Italia – dobbiamo tenercela ben stretta, come una conquista da difendere a tutti i costi. E per prima cosa con l’esercizio ostinato del diritto di voto – nonostante tutto, cercando di scegliere il meno peggio, a partire dai valori in cui crediamo. Riguarda anche Napoli tutto ciò? Sì, riguarda anche noi. Perché le questioni politiche fondamentali hanno sempre questo carattere: che le ritroviamo, inaspettate, non solo nei grandi scenari, ma nei più piccoli dettagli delle nostre vite quotidiane. Anche nelle mille vite di Napoli. 23 settembre 2022 | 08:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-23 06:34:00, editoriale Mezzogiorno, 23 settembre 2022 – 08:33 di Aldo Schiavone Sono in molti ormai a dirlo. È stata la più brutta campagna elettorale di tutta la storia repubblicana. Sciatta, senza idee, senza autentica passione civile. Noiosa, se la sua inconcludenza non fosse drammatica. E si è rivelata così soprattutto per il Mezzogiorno, di cui nessuno si è in effetti ricordato, se non all’ultimo momento, per trattarlo in fondo come un serbatoio di voti «facili», per i quali dovrebbe bastare uno scambio antico ed elementare: assistenza contro consenso. Non un’analisi, una proposta, una denuncia. Il vuoto, semplicemente. In questo modo il Sud come sfida e come problema è scomparso ancora una volta dagli orizzonti della politica, come se il suo destino non fosse invece, oggi più di prima, il più grande rovello del Paese, ormai sempre più spaccato in due: in una divisione rovinosa, cui sembra che tutti si siano adattati e rassegnati come fosse un dato di fatto su cui è inutile tornare. Così è stato in queste settimane per la sinistra, che con il cosiddetto patto di Taranto ha toccato il fondo della sua cecità e della sua pochezza. Così è stato per la destra, che parla di «Nazione» senza sapere cosa dice, mentre il Paese reale va in pezzi, e c’è chi, all’interno di quello schieramento, vorrebbe spezzarlo ancora di più con il marchingegno dell’autonomia differenziata. Né questo silenzio è stato rotto dai politici meridionali, che hanno perduto visione, coraggio, speranza, probabilmente anche autentico rapporto con il loro popolo: ammesso che abbiano mai avuto di queste virtù. E con loro, sembrano tacere le grandi città meridionali: i loro intellettuali, i loro ceti produttivi e civili, che pure esistono; i loro giovani. Per non parlare dei partiti del Sud: ridotti – tutti – a larve esangui. E tace Napoli: una Napoli mai come in questa occasione a luci spente; distratta, disillusa, lontana, chiusa nel particolare delle sue mille vite, dolente come sempre per i suoi mali che non si smorzano. È facile pensare, se il contesto è questo, a un’astensione meridionale dal voto tanto massiccia da sfondare le soglie già in precedenza toccate. Una specie di generalizzato not in my name che potrebbe attraversare l’intero Mezzogiorno. Una protesta carica di sfiducia e di stanchezza che – è inutile negarlo – avrebbe dalla sua più di una buona ragione. Ma pure dobbiamo fare di tutto perché ciò non accada, e l’astensionismo meridionale almeno non si allontani troppo da quello medio dell’intera Penisola. Dobbiamo fare di tutto perché il 25 settembre ci si faccia coraggio – perché di questo si tratta: di impegno morale e di forza civile – e si vada comunque a votare. C’è un motivo decisivo che deve spingerci in questa direzione. Ed è che, non votando, non si colpiscono solo e prima di ogni cosa i partiti che abbiamo di fronte; non si dice di no solo al ceto politico selezionato in questi anni, al suo modo di governare o di fare opposizione; non si prendono le distanze soltanto dal blocco di forze e di interessi che da troppo tempo ha monopolizzato la scena del potere e delle istituzioni. Si trattasse solo di questo, astenersi avrebbe il suo senso: sarebbe un gesto ultimo di rottura e di sfiducia, ma proporzionato, in certo modo, a quanto accaduto. Ma non è così. O, per meglio dire, non è solo così. Perché non votando non si sfiduciano soltanto questi partiti e questi politici, non si ritira solo il consenso a questo modo di gestire la cosa pubblica, ma si fa qualcosa di molto più grave e irreparabile. Si spezza il rapporto fra cittadini e sovranità popolare, si rompe il nesso fra popolo e politica: non solo con questa politica, ma con ogni politica. In altri termini: si rifiuta la democrazia, la si colpisce a morte, dichiarandola inservibile. È questo che vogliamo? Sappiamo bene – o almeno dovremmo saperlo – che la democrazia non è solo il voto, come qualcuno ancora vorrebbe farci credere. È molto altro: è trasparenza nel governo e nell’amministrazione; è divisione rigorosa dei poteri; è alternanza; è difesa dei diritti fondamentali dell’umano nelle sue declinazioni di genere; è partecipazione continua e consapevole dei cittadini – nelle forme adeguate e previste dalla legge – alle scelte e alle decisioni pubbliche e al dibattito che deve precederle; è mantenimento di un certo livello di eguaglianza sociale non solo formale. Tutte cose che in troppe occasioni ci sono state e ci sono tuttora negate – e soprattutto nel Mezzogiorno. Ma tuttavia non c’è democrazia senza voto e senza libere elezioni. Queste sono le basi sulle quali costruire tutto il resto. E vanificarle, ridicolizzarle con l’assenteismo, renderle in qualche modo irrilevanti allontanandoci in massa da loro, non colpisce al cuore solo i politici e i partiti che in questo momento abbiamo di fronte, ma manda un segnale ben diverso, e potenzialmente molto più devastante. Che cioè il popolo meridionale ritiene non da condannare solo questi politici e questi partiti, ma pensa che la democrazia stessa sia una pratica che si può dismettere, un abito cui si può rinunciare. Di nuovo, dobbiamo domandarci: è questo che vogliamo? Certo, la democrazia che abbiamo ricevuto dai nostri padri è ben lontana dall’essere un meccanismo perfetto – e noi meridionali ne sappiamo bene qualcosa. Non è la fine della storia, ma solo una tappa in un lungo cammino. E tuttavia, fin quando non avremo sperimentato qualcosa di meglio e di più adeguato all’epoca in cui stiamo entrando – un problema che riguarda l’intero Occidente, e dunque tutto il mondo, e non solo l’Italia – dobbiamo tenercela ben stretta, come una conquista da difendere a tutti i costi. E per prima cosa con l’esercizio ostinato del diritto di voto – nonostante tutto, cercando di scegliere il meno peggio, a partire dai valori in cui crediamo. Riguarda anche Napoli tutto ciò? Sì, riguarda anche noi. Perché le questioni politiche fondamentali hanno sempre questo carattere: che le ritroviamo, inaspettate, non solo nei grandi scenari, ma nei più piccoli dettagli delle nostre vite quotidiane. Anche nelle mille vite di Napoli. 23 settembre 2022 | 08:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.