La nuova fase della guerra di Putin e l’appello della Cina: «Serve una tregua e il ritorno al dialogo»

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Il presidente Xi Jinping teme il «caos mondiale» e le ricadute economiche per il Paese. E pensa a Taiwan

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PECHINO – Che cosa pensa Xi Jinping della nuova fase della guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina e il campo occidentale? Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, a domanda ha risposto: «La posizione della Cina è stata sempre coerente e chiara nel chiedere un cessate il fuoco attraverso il dialogo e il negoziato, il rispetto della sicurezza, sovranità e integrità territoriale di tutti i Paesi, l’osservanza dei principi contenuti nella carta delle Nazioni Unite». Il diplomatico ha aggiunto che «servono sforzi internazionali per una risoluzione pacifica delle crisi».

Sono mesi che Pechino parla in linea di principio della necessità di un dialogo che porti a una tregua. All’inizio ha invocato ragioni umanitarie, ora comincia a fare i conti anche economici su quello che Xi chiama «il caos mondiale» e fa riferimento all’Onu (dove peraltro si è ripetutamente astenuta nei voti sulla crisi ucraina). Parlare di nuovo ora di cessate il fuoco potrebbe essere uno sviluppo? Anche il rifiuto cinese di definire l’azione russa per quello che è, un’aggressione, era stato letto da alcuni governi ottimisti come un espediente di Xi per mantenersi neutrale e poter agire da mediatore (prima o poi). Di fatto, la Cina ha solo mantenuto la sua ambiguità strategica, non ha mai segnalato una volontà di impegnarsi in un negoziato tra le parti. L’interesse strategico di Pechino sembra la disunione dell’Occidente, più che la vittoria della Russia.

Una novità notevole è venuta da Vladimir Putin, che incontrando Xi a Samarcanda la settimana scorsa ha ammesso che «la Cina è preoccupata e ha delle domande sulla questione ucraina». Tradotto: significa che in questi mesi sono emerse tensioni con l’alleato. E che in realtà gli interrogativi cinesi sono centrati non sulla sorte di Kiev ma sulla tenuta di Mosca.

Interessante la reazione sui social media mandarini. Ieri mattina, subito dopo la dichiarazione incendiaria di Putin su mobilitazione di 300 mila soldati e nucleare, su Weibo sono piovuti commenti di cinesi comuni «colpiti dalla determinazione dei russi» e sulla «opportunità di porre fine all’egemonia degli Stati Uniti». E ancora, ha scritto qualcuno sullo sviluppo nella guerra d’Ucraina che subito è diventato il secondo argomento più dibattuto online: «La chiave è che se la Russia dovesse crollare, l’Occidente potrebbe concentrarsi sulla Cina». Ecco forse perché Xi gioca da equilibrista. La Cina sarà anche preoccupata, ma per preparare il suo colloquio faccia a faccia con l’amico Putin, la settimana prima di Samarcanda Xi aveva mandato in Russia Li Zhanshu, il numero 3 del suo Politburo. E il compagno Li aveva detto che «la Cina comprende e sostiene la necessità di tutte le misure prese da Mosca per proteggere i suoi interessi nazionali quando Stati Uniti e Nato hanno cercato di chiuderla in un angolo alla sua porta di casa (evidentemente l’Ucraina, ndr)». Quella dichiarazione è stata propagandata dalla stampa di Mosca e non citata dalla stampa di Pechino. E anche dopo Samarcanda, nel resoconto cinese del colloquio tra Xi e Putin, l’Ucraina non è comparsa nemmeno in una riga.

Qualche osservatore ha notato una coincidenza: Putin aveva lanciato la sua «operazione militare speciale» in Ucraina (l’aggressione) pochi giorni dopo l’incontro di febbraio con Xi a Pechino, quando i due proclamarono la famosa e famigerata «collaborazione senza limiti». E ora, la «mobilitazione parziale» delle forze militari russe arriva poco dopo che lo Zar ha parlato con Xi a Samarcanda.

Le difficoltà militari dei russi lanciati in un territorio che sembrava facile da conquistare hanno ricordato a Pechino quanto sarebbe incerto e pericoloso uno sbarco a Taiwan. Significativo quanto ha appena detto il ministro degli Esteri Wang Yi al vecchio Kissinger che invocava prudente realismo: «C’è un vecchio detto in Cina: è meglio perdere mille soldati che un palmo di terreno». Molto più che di Ucraina, in questi mesi i cinesi hanno parlato di riunificazione taiwanese; arrivando a fare le prove generali di blocco aeronavale ad agosto, con la scusa della visita a Taipei di Nancy Pelosi. È per scongiurare l’apertura di un secondo fronte nel Pacifico che Joe Biden ha ripetuto che l’America difenderebbe militarmente l’isola in caso di attacco.

22 settembre 2022 (modifica il 22 settembre 2022 | 07:21)

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, 2022-09-22 05:42:00, Il presidente Xi Jinping teme il «caos mondiale» e le ricadute economiche per il Paese. E pensa a Taiwan, Guido Santevecchi

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