Federico Moccia: Insegniamo a scuola leducazione sentimentale

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Federico Moccia, regista, sceneggiatore, scrittore, autore televisivo, autore teatrale e giornalista pubblicista, nonché cantore del romanticismo per generazioni, intervistato da Quotidiano nazionale, è lapidario: “Lo dico da sempre. Bisognerebbe istituire l’educazione sentimentale a scuola”.

Come materia scolastica. Così come c’è l’educazione fisica dovrebbe esserci l’educazione sentimentale. Solo così si potrebbero eliminare, forse, alcuni orrori di cui leggiamo nelle cronache”.

Bisogna insegnare, spiega Moccia, “ai ragazzi, in particolar modo ai maschi, che fallire fa parte dell’essere umano. Il fatto che un ragazzo venga lasciato da una ragazza è doloroso, porta sofferenze, è traumatico. Ma bisogna accettarlo”. 

Come pure, specifica, non esserci differenza su episodi di sessismo, violenza e stupri “fra figli di papà e figli di nessuno, in questo. Penso che anche per questi uomini di potere, che si sono trovati con un figlio indagato o colpevole di comportamenti gravi, tutto questo sia fonte di immensa sofferenza”.

Certo, il fatto di crescere abituato ad avere un certo potere ti può abituare in un certo modo. Ma ci sono anche persone che non sono “figli di papà“che sono prepotenti, egoisti, violenti”.

“Nella scuola, nella famiglia”, occorre più dialogo. “E nei social. Il cyberbullismo? È diffuso, ed è pericoloso. Da qualche tempo porto nei teatri e nelle scuole uno spettacolo che si chiama Orgoglio, bullismo, amore: imparare ad amarsi. Racconto la vicenda di Carolina Picchio, la ragazza che andò a una festa, fu indotta a bere, poi filmata mentre non era in sé, con i ragazzi che fingevano di avere avuto dei rapporti con lei. Quel filmato, fatto col telefono, diventò virale e Carolina non riuscì a resistere alla vergogna. Racconto la sua storia per far capire quanto uno scherzo possa portare a strappare una vita”.

“Al liceo- confessa Moccia-  io sono stato bullizzato, ero arrivato in una classe dove tutti si conoscevano da anni e io ero l’outsider. Venivo sempre messo in mezzo. Ma la fortuna è che tutto finiva lì: non c’erano le riprese col telefonino che finivano sui social. Tornavo a casa da scuola, e quelle umiliazioni finivano lì. I ragazzi con cui giocavo a pallone non sapevano nulla delle mie umiliazioni in classe. Oggi i social sono una cassa di risonanza devastante”. 

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