Xi condanna le sanzioni e invoca il mondo post-dollaro: il contro-G7 dei Brics

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di Federico Rampini

All’ultimo vertice delle potenze emergenti dominano le grandi manovre di Pechino. Che ora corteggiano l’Africa. Come è nato il club del mondo «altro da noi» e perché ora si rafforza

Xi Jinping denuncia: le sanzioni economiche varate dall’Occidente equivalgono a “militarizzare l’economia globale”, oltre a essere un boomerang che si ritorce contro chi le applica. I media di Pechino rilanciano per l’occasione l’idea di un ordine monetario mondiale “liberato” dal dollaro, con sistemi di pagamenti alternativi al Swift (che ha sede in Belgio ed è controllato di fatto dagli Stati Uniti).

Dov’è che il presidente cinese ha detto queste cose? A un vertice economico dei Brics, acronimo che sta per Brasile Russia India Cina Sudafrica. Brics è un club di potenze che amano definirsi emergenti, anche se la Cina è già emersa a tutti gli effetti essendo la seconda economia mondiale. In parallelo al forum economico dei Brics, si è tenuta ad Addis Abeba un’altra conferenza sponsorizzata dalla Cina sulla pace nel Corno d’Africa, dove Xi ha lanciato un suo piano di aiuti per quell’area del continente destabilizzata dalla guerra civile etiope. L’Occidente appare spesso marginale in queste grandi manovre che vedono Pechino tessere la sua tela verso l’emisfero Sud.

La geografia dei Brics si presenta come speculare e alternativa a quella del G7, club dei vecchi paesi ricchi. L’acronimo Brics rappresenta quindi, almeno potenzialmente, la cabina di regìa per smontare la globalizzazione americano-centrica e sostituirla via via con un ordine internazionale alternativo, le cui regole saranno decise a Pechino, Mosca, Delhi, Brasilia e Pretoria? La storia dei Brics ha ormai superato i vent’anni, è singolare e merita di essere ricordata. Questo club, che i dirigenti cinesi circondano di amorevoli attenzioni, non lo inventarono loro bensì un economista americano, allora dipendente della Goldman Sachs di Wall Street.

L’antefatto decisivo è il dicembre 2001, quando la Cina entra a tutti gli effetti a far parte del “nostro mondo”. Viene ammessa nell’Organizzazione del commercio mondiale ovvero Wto, il luogo dove in linea di principio dal 1995 si negoziano e si decidono le regole della globalizzazione. Come membro del Wto alla Cina si spalancano dalla fine del 2001 nuovi mercati. Da quel momento accelera una storia spettacolare di decollo trainato dalle esportazioni. Il miracolo cinese si produce su dimensioni che non hanno precedenti.

Dopo la Cina tocca all’India; anche “l’elefante addormentato” si risveglia alla crescita con una terapia di liberalizzazioni (sia pure corrette da robuste dosi di protezionismo, perfino più che in Cina).

La geografia dello sviluppo si allarga, perciò l’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill inventa l’acronimo dei Brics, aggiungendo a Cindia anche Brasile Russia e infine Sudafrica. All’inizio la sua intenzione è banale: O’Neill con i Brics vuole offrire agli investitori un’etichetta semplice e suggestiva per indicare i nuovi mercati in cui investire per sfruttare le opportunità della globalizzazione. E’ una trovata di marketing finanziario, semplicemente.

Ironia della sorte, quella sigla dei Brics nata nell’ufficio studi della Goldman Sachs finisce per materializzarsi in una realtà geopolitica: piace così tanto ai leader di quei cinque paesi, che se ne appropriano, e si riuniscono periodicamente in summit appositi dai quali l’Occidente è escluso.

Nel ventennio successivo nasce nei paesi emergenti un ceto medio di oltre un miliardo di persone, un mercato immenso. Al tempo stesso, però, l’involuzione del regime autoritario smentisce brutalmente le profezie ottimiste di Clinton e Bill Gates, a cui aveva creduto lo stesso O’Neill, sull’inevitabile transizione alla democrazia che avrebbe dovuto accompagnare il capitalismo.

Nei vent’anni successivi, più volte nelle dichiarazioni dei capi di Stato e di governo dei Brics è emersa l’aspirazione comune al superamento di un “mondo unipolare”. Quanto è reale la loro convergenza? In certi casi la sintonia è stata notevole. Un esempio: nel 2011 i Bric hanno adottato una posizione comune, astenendosi, sulla risoluzione dell’Onu in cui l’America e i suoi alleati franco-inglesi hanno dato il via libera all’intervento militare in Libia. Ecco un punto davvero in comune ai Brics: perché segnati da un passato coloniale o neocoloniale (India, Brasile), o perché nostalgici di un’èra in cui potevano contendere la leadership mondiale agli Stati Uniti (Russia), o infine perché nutrono ambizioni imperiali anti-occidentali (Cina), tutti quanti hanno un’avversione verso il ruolo degli Stati Uniti. Un caso antecedente, il fiasco del vertice di Copenaghen sull’ambiente (dicembre 2009) aveva dimostrato che la coppia di Cindia da sola può esercitare un formidabile potere di veto contro qualsiasi velleità di America + Europa di dettare l’agenda internazionale.

Lo status dei Brics fu rafforzato grazie alla recessione del 2008-2009. Venne definita una “recessione globale”; per pigrizia mentale, o perché ci ostiniamo a considerare l’Occidente come l’ombelico del mondo. In realtà quella crisi fu essenzialmente dell’Occidente + Giappone. La Cina non entrò in recessione, neppure per un paio di trimestri. L’India idem. Il Brasile ne soffrì solo brevissimamente, per poi uscirne a vele spiegate ritrovando ritmi di sviluppo veloci grazie al traino della domanda cinese per le sue materie prime e derrate alimentari. Più che mai, dopo quella crisi, la geografia economica globale cominciò ad assomigliare al sottotitolo di un saggio dello storico Niall Ferguson: “The West and the Rest”.

L’economista americano Dani Rodrik ha teorizzato che i Brics sposano la “globalizzazione modello Bretton Woods, anziché la versione più recente ed estrema”. Cosa intende? A Bretton Woods nel 1944 si tenne la conferenza internazionale che preparò l’architettura dell’economia internazionale per l’èra del dopoguerra, sotto la leadership politica di Franklin Roosevelt e quella teorica di John Maynard Keynes. Furono creati là il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, e il Gatt che era l’antenato del Wto. Fu un passaggio importante per ricostituire la libertà di scambi, promuovere il commercio internazionale che avrebbe trainato tanti “miracoli” economici post-bellici, da quello italiano a quelli tedesco e giapponese. Ma si trattava di una globalizzazione parziale: le monete non erano libere di fluttuare disordinatamente, i movimenti di capitali erano sottoposti a restrizioni, le frontiere si aprivano con gradualità. Rodrik osserva che i Brics hanno un approccio selettivo alla globalizzazione, che ricorda il mondo ordinato di Bretton Woods. La Cina pratica il protezionismo ben prima che Donald Trump tentasse di restituirglielo; resiste da anni alle pressioni occidentali sul fronte monetario, e continua a mantenere il renminbi in un limbo di non completa convertibilità. L’India ha mantenuto certe restrizioni sui movimenti dei capitali, oltre che un’apertura graduale delle frontiere agli scambi commerciali. Il Brasile applica de facto delle quote di “imponibile di manodopera nazionale” sulla società estere che vogliono investire in settori chiave come petrolio e miniere. Tutti questi governi agiscono in modo pragmatico: niente dichiarazioni di guerra ideologica contro l’Occidente, ma un calcolo razionale dell’interesse nazionale. Russia e Cina hanno in comune anche il ruolo del capitalismo di Stato, soprattutto nei settori strategici.

Sono evidenti le diversità politiche e perfino valoriali tra le democrazie indiana e brasiliana e il sistema politico autoritario che governa la Cina. Nonché la rivalità strategica tra India e Cina che porta New Delhi ad accettare le avances americane per una cooperazione militare. Il governo di Narendra Modi nel vertice in corso ha mandato una rassicurazione agli americani: la delegazione indiana impedirà che venga firmato un comunicato dei Brics che possa suonare critico verso Washington. Dunque i Brics non sono pronti a diventare un direttorio della governance globale. Ma intanto si consolida come il club del mondo “altro da noi”, e nessuno dei suoi membri aderisce alle sanzioni contro Putin per l’aggressione all’Ucraina.

23 giugno 2022 (modifica il 23 giugno 2022 | 21:07)

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, 2022-06-23 20:16:00, All’ultimo vertice delle potenze emergenti dominano le grandi manovre di Pechino. Che ora corteggiano l’Africa. Come è nato il club del mondo «altro da noi» e perché ora si rafforza, Federico Rampini

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