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Quel 40 per cento non sia un totem

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editoriale Mezzogiorno, 7 aprile 2022 – 08:18 di Emanuele Imperiali Impiccarsi al totem del 40% delle risorse del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza al Sud rischia dì essere un obiettivo velleitario che alla fine lascia poco o nulla in mano di concreto. Che il presidente del Consiglio Draghi e il ministro della Coesione Carfagna abbiano fissato un target medio di stanziamento delle risorse complessive da destinare all’area in ritardo del Paese è politicamente corretto e socialmente doveroso, laddove Next Generation Eu nasce proprio con l’impegno di ridurre i divari, soprattutto territoriali. Ma l’esperienza dei fondi europei delle politiche regionali che il Mezzogiorno ha tradizionalmente speso in ritardo e col contagocce, costituisce un precedente da non sottovalutare e sul quale ragionare a occhi aperti. Oggi la prima, vera sfida che ha davanti il Meridione non è accaparrarsi le risorse in competenza, ma erogare ciò che c’è in cassa, riuscendo a trasformare i soldi in progetti, opere, iniziative, a vantaggio della collettività. Il monito del Dipartimento per le Politiche dì Coesione è interessante ma parla soprattutto a futura memoria, perché nelle ripartizioni ministeriali delle quote Sud tiene conto quasi esclusivamente dei programmi e non delle prime cantierizzazioni che ancora non sono censibili. L’aspetto sul quale maggiormente vanno tenuti gli occhi aperti riguarda invece i bandi ministeriali soprattutto in favore dei Comuni. In ben 15 su 28 procedure attive, per un valore complessivo di oltre 3 miliardi, non è stata disposta nessuna modalità di salvaguardia della quota Mezzogiorno sulle risorse non assegnate per carenza di domande ammissibili, denunciano all’unisono Svimez e Ufficio Parlamentare del Bilancio. Torna al centro il ripetuto appello allo Stato a dotare di professionalità adeguate gli uffici tecnici dei municipi meridionali, anatre azzoppate rispetto ai più muniti enti locali del Nord. O, nei casi più gravi, far scattare quei poteri sostitutivi che non scandalizzano nessuno in una democrazia che voglia funzionare come un orologio. La questione piuttosto più urgente con la quale bisogna fare i conti è un’altra e intelligentemente l’ha posta qualche giorno fa sulle pagine di questo giornale Claudio Scamardella: forse è giunto il momento di fare un tagliando al Pnrr in generale, ma in particolare per quello che riguarda il Sud. Basterebbero due eventi recentissimi a giustificarlo: la fiammata inflattiva generata dagli extra costi energetici e la guerra Russia Ucraina con le conseguenze sul mercato del gas e di tante materie prime che incidono sui prezzi del carrello della spesa. I progetti sulla transizione ecologica gestiti dal ministro Cingolani non potranno non tenere conto del maggior utilizzo di gas e petrolio e per più lungo termine da parte del nostro Paese, almeno che non si accelerino al massimo i piani per le energie rinnovabili che coinvolgono massimamente le regioni meridionali. Richiedendo uno sforzo maggiore del Pnrr in questa direzione. Così come il blocco delle importazioni di grano dai due paesi belligeranti chiama in causa sia una politica di maggior diversificazione dei mercati di approvvigionamento, sia mettere in campo politiche che, privilegiando in questa fase filiere più corte, imprimano una prospettiva di sviluppo a quell’agroindustria che resta uno dei fattori di forza del Made in Sud. 7 aprile 2022 | 08:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-07 06:19:00, editoriale Mezzogiorno, 7 aprile 2022 – 08:18 di Emanuele Imperiali Impiccarsi al totem del 40% delle risorse del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza al Sud rischia dì essere un obiettivo velleitario che alla fine lascia poco o nulla in mano di concreto. Che il presidente del Consiglio Draghi e il ministro della Coesione Carfagna abbiano fissato un target medio di stanziamento delle risorse complessive da destinare all’area in ritardo del Paese è politicamente corretto e socialmente doveroso, laddove Next Generation Eu nasce proprio con l’impegno di ridurre i divari, soprattutto territoriali. Ma l’esperienza dei fondi europei delle politiche regionali che il Mezzogiorno ha tradizionalmente speso in ritardo e col contagocce, costituisce un precedente da non sottovalutare e sul quale ragionare a occhi aperti. Oggi la prima, vera sfida che ha davanti il Meridione non è accaparrarsi le risorse in competenza, ma erogare ciò che c’è in cassa, riuscendo a trasformare i soldi in progetti, opere, iniziative, a vantaggio della collettività. Il monito del Dipartimento per le Politiche dì Coesione è interessante ma parla soprattutto a futura memoria, perché nelle ripartizioni ministeriali delle quote Sud tiene conto quasi esclusivamente dei programmi e non delle prime cantierizzazioni che ancora non sono censibili. L’aspetto sul quale maggiormente vanno tenuti gli occhi aperti riguarda invece i bandi ministeriali soprattutto in favore dei Comuni. In ben 15 su 28 procedure attive, per un valore complessivo di oltre 3 miliardi, non è stata disposta nessuna modalità di salvaguardia della quota Mezzogiorno sulle risorse non assegnate per carenza di domande ammissibili, denunciano all’unisono Svimez e Ufficio Parlamentare del Bilancio. Torna al centro il ripetuto appello allo Stato a dotare di professionalità adeguate gli uffici tecnici dei municipi meridionali, anatre azzoppate rispetto ai più muniti enti locali del Nord. O, nei casi più gravi, far scattare quei poteri sostitutivi che non scandalizzano nessuno in una democrazia che voglia funzionare come un orologio. La questione piuttosto più urgente con la quale bisogna fare i conti è un’altra e intelligentemente l’ha posta qualche giorno fa sulle pagine di questo giornale Claudio Scamardella: forse è giunto il momento di fare un tagliando al Pnrr in generale, ma in particolare per quello che riguarda il Sud. Basterebbero due eventi recentissimi a giustificarlo: la fiammata inflattiva generata dagli extra costi energetici e la guerra Russia Ucraina con le conseguenze sul mercato del gas e di tante materie prime che incidono sui prezzi del carrello della spesa. I progetti sulla transizione ecologica gestiti dal ministro Cingolani non potranno non tenere conto del maggior utilizzo di gas e petrolio e per più lungo termine da parte del nostro Paese, almeno che non si accelerino al massimo i piani per le energie rinnovabili che coinvolgono massimamente le regioni meridionali. Richiedendo uno sforzo maggiore del Pnrr in questa direzione. Così come il blocco delle importazioni di grano dai due paesi belligeranti chiama in causa sia una politica di maggior diversificazione dei mercati di approvvigionamento, sia mettere in campo politiche che, privilegiando in questa fase filiere più corte, imprimano una prospettiva di sviluppo a quell’agroindustria che resta uno dei fattori di forza del Made in Sud. 7 aprile 2022 | 08:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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