Più tecnologia in classe con i soldi del PNRR: risolti tutti i problemi? Così miglioreremo gli apprendimenti? Intervista a Paola Bortoletto, presidente nazionale dellANDIS

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Non sempre le scelte operate hanno o determinano un mutamento di quelle che sono le condizioni ex ante. In qualche modo questa è la questione che, negli anni, ha sempre interessato la scuola, nel tempo fin troppo coinvolta in stravolgimenti che non necessariamente hanno, però, avuto gli esiti desiderati. È sempre così? Il Rinnovamento degli ambienti nelle nostre scuole (laboratori, aree di lavoro e studio, etc) corrisponde o ha corrisposto ad un miglioramento degli apprendimenti? Lo analizziamo attraverso la posizione che l’ANDIS, l’Associazione Nazionale dei Dirigenti Scolastici, ha preso attraverso la sua presidente prof.ssa Paola Bortoletto.

Presidente Bortoletto, le innovazioni tecnologiche hanno modificato il nostro modo di vivere e di apprendere. Questa è davvero la realtà?

«Sì, In effetti, è sotto gli occhi di tutti, come il nostro momento storico è contrassegnato da aumento della velocità della trasformazione tecnologica delle società, contraddistinta da uno sconvolgimento digitale in corso e dai progressi delle biotecnologie e delle neuroscienze. Le innovazioni tecnologiche hanno cambiato il nostro modo di vivere e congiuntamente anche il nostro modo di apprendere, tanto da far si che l’alfabetizzazione digitale e l’accesso al digitale siano diventati diritti fondamentali senza i quali è sempre più complessa la partecipazione sia a livello civico che economico».

Presidente, le TIC stanno apportando continue trasformazioni nelle modalità di apprendimento e nell’organizzazione dei sistemi educativi. Verso dove va l’educazione in questo momento storico?

«Il progresso che le tecnologie apportano deve, comunque, essere giustamente inquadrato in una cultura che sia in grado di incoraggiare la sperimentazione tecnologica con l’identificazione dei rischi e con la cognizione che non ci sono soluzioni semplici e universali. Per ciò che interessa la scuola, le TIC hanno apportato e apportano continui cambiamenti nelle modalità di apprendimento e nella pianificazione dei sistemi educativi.

Intanto che ci prepariamo a un mondo in cui sono subito disponibili una massa prorompente di informazioni testuali e grafiche già a partire dallo smartphone, l’educazione deve muoversi, necessariamente, oltre quella che è la diffusione e la trasmissione della conoscenza e garantire, dunque, a partire da ciò, l’autonomia dello studente affinché questa tecnologia venga usata in modo responsabile. Risulta essere una sfida ambiziosa quella di dare in dote ai nostri alunni, alle persone, generalmente parlando, gli strumenti che diano un senso al flusso di informazioni che sono, per tutti, a portata di clic».

Presidente, possiamo dire che l’innovazione degli ambienti di apprendimento corrisponde al miglioramento degli apprendimenti? Così come ritengono tutti, forse erroneamente?

«Dobbiamo, in maniera particolare a scuola, stare attenti, molto attenti, a questa ingannevole uguaglianza! Il rinnovamento degli ambienti di apprendimento non potrà non tenere conto, nella giusta maniera, di alcune dimensioni forse trascurate. Le elenco: le modalità di utilizzo di metodologie attive e di apprendimento collaborativo; l’integrazione di tecnologie educative innovative; la produzione di esperienze di apprendimento personalizzate, per dare risposte a esigenze e bisogni individuali differenti e, in taluni casi, nuovi».

Come coinvolgere gli insegnanti e cosa fornire loro?

«Perché questo cambiamento avvenga davvero e avvenga nella giusta dimensione organizzativa e metodologica, ciascuno dei docenti dovrà essere messo in condizione di adoperare le attrezzature che si stanno acquisendo utilizzando una formazione rivolta alla realizzazione di interventi innovativi, in primis punto di vista metodologico, poi anche tecnico e didattico. Si legge nel rapporto Unesco titolato “Re-immaginare i nostri futuri insieme, Rapporto della Commissione internazionale sui futuri dell’educazione” che “Una delle forme di conoscenza più preziose minacciate dal trionfo della digitalità è quella sociale.

Numeri senza narrazioni, connettività senza inclusione culturale, informazioni senza emancipazione, tecnologia digitale nell’educazione senza scopi chiari non sono auspicabili. Per i futuri dell’educazione, la scelta non dovrebbe essere presentata come tra lettura digitale o lettura cartacea, ma piuttosto come una scelta in cui, nel tentativo di produrre alfabetizzazioni multiple, l’insegnante dovrebbe garantire che gli studenti e le studentesse incontrino sia la lettura lineare sia la lettura non lineare”. Dunque, potremmo dire, che la strada da percorrere sia quella dell’et…et, piuttosto che quella dell’aut…aut».

Presidente, possiamo affermare che innovare la nostra scuola significa anche studiare l’ambiente scolastico, la sua forma e la consistenza materiale?

«Certo che sì. Anche io, in un recente documento pubblicato, lo ho affermato con cognizione. Trasformare la scuola e innovarla significa anche studiare l’ambiente scolastico, la sua forma e consistenza materiale, per restituirle una dimensione più adeguata e meglio rispondente alle nuove richieste che provengono dalla società, per il tramite di una lettura pedagogica e didattica. In quel contributo mi ero posta alcune domande. Prima fra tutte “L’ambiente scolastico sarà favorevole all’esplorazione, alla sperimentazione, alla collaborazione?”

Poi, l’altra, per me molto importante “Sarà giudicante o incoraggerà l’apprendimento e la riflessione attraverso prove ed errori?”; e, infine “Faciliterà una serie di incontri con gli altri?”. Sebbene si possano e si debbano progettare strumenti digitali migliori, la strategia più adatta per indirizzare la rivoluzione digitale verso il sostegno all’educazione come bene comune è garantire la sua democratizzazione all’interno di una solida sfera pubblica”».

Lei, sovente, ci parla di dirigente come leader educativo, leader per l’apprendimento. In che senso?

«In questo momento di grandi mutamenti la responsabilità del dirigente scolastico è chiamata direttamente in causa; ma , come lei ricordava citando un mio contributo, il DS prima di essere burocrate o manager, dovrà essere leader educativo, leader per l’apprendimento che impronta la governance della scuola ad una logica partecipativa per l’autonomia, che punta a diffondere e a migliorare il grado di responsabilità di tutti gli stakeholders e a favorire la crescita di persone e organizzazioni, pensando in termini di innovazione e sviluppo, evitando di fuggire nella sola tecnologia, di cadere nell’opportunismo o di rincorrere l’utopia. Il DS, allora dovrà orientare una comunità che protegge la persona e le offre opportunità di crescita, che progetta e riflette, che si confronta e si apre, che riacquisisce il ruolo di luogo della partecipazione di tutte le sue componenti, che si rilancia come nodo strategico di comunità educanti che condividono una responsabilità educativa diffusa sul territorio (Ds garante, come esplicitato nel Codice etico dell’Associazione).

Così come delineato dall’adozione del “Piano Scuola 4.0” in attuazione della linea di investimento 3.2 “Scuola 4.0: scuole innovative, cablaggio, nuovi ambienti di apprendimento e laboratori”, Next Generation Classrooms – “La responsabilità di abilitare lo spazio alla pedagogia e di trasformarlo in “ambiente di apprendimento” è affidata al dirigente scolastico per l’aspetto organizzativo e ai docenti per l’aspetto didattico, ma richiede il coinvolgimento attivo dell’intera comunità scolastica per rendere sostenibile il processo di transizione verso un più efficace modello formativo ed educativo”».

La linea di investimento che ha citato precedentemente ci parla di agorà di spazi informali e di spazi individuali. In che senso e come intervenire?

«La linea di investimento che ho citato nella precedente risposta può e si deve integrare con l’investimento 1.4. finalizzato alla riduzione dei divari territoriali, perché ormai sappiamo quanto siano importanti gli spazi (ricordiamo il Manifesto di INDIRE sugli spazi educativi del 3° millennio, che individua e differenzia gli spazi di gruppo da quelli di esplorazione, l’agorà dagli spazi informali a quelli individuali ad esempio), non solo quello fisico, ma anche quello della progettazione di una scuola che possa rispondere alle finalità del Piano stesso. Questo obiettivo potrebbe rappresentare una rilevante occasione per ricalibrare il curricolo di scuola secondo modalità in maggior misura innovative e che hanno la loro naturale realtà in una sistemazione degli ambienti più funzionali alle attività di apprendimento e alle attività d’insegnamento.

Questo momento storico dovrebbe assicurare uno scambio di idee tra i docenti, del loro modello di scuola e di una manovra di modifica di pratiche obsolete. Il confronto culturale, educativo e pedagogico tra i docenti dovrebbe avere come suo naturale collegamento un dibattito autorevole con le famiglie e con quelli che sono i naturali “altri” “portatori d’interessi” del contesto socio – culturale, in un tentativo di avviare, se non è già presente, l’attuazione di una importante “comunità educante”. Si dovrebbe, in tale maniera giungere alla realizzazione di “ambienti di apprendimento innovativi” collegati a una visione pedagogica che sia capace di “mettere al centro l’attività didattica e le studentesse e gli studenti, secondo principi di flessibilità, di collaborazione, di inclusione, di apertura e di utilizzo della tecnologia”. Occuparsi solamente delle dotazioni tecnologiche non sembra un piano vincente se ad esse segue una modifica del modo di fare scuola solamente di tipo trasmissivo».

Professoressa Paola Bortoletto, l’ANDIS anche in questo senso può definirsi antesignana delle svolte epocali, Il recente congresso aveva individuato alcune priorità e temi da affrontare che oggi risultano assolutamente importanti per la scuola italiana. A quali grandi sfide dobbiamo riferirci e quali battaglie culturali e organizzative dobbiamo ancora fare?

«Come ricorda giustamente lei, l’ANDIS aveva delineato alcune priorità e alcuni temi da affrontare. Glieli sintetizzo: “a partire dalle migliori esperienze già in atto, chiamare a ideare e costruire ambienti di apprendimento capaci di ospitare una didattica attiva e di tipo modulare e perciò dotati di spazi di incontro, di laboratori, di biblioteche, di adeguate palestre, di significative e moderne attrezzature tecnologiche, rendendo la scuola inclusiva, accogliente, aperta al territorio. Sarà in modo sicuro necessario immaginare un continuo e costante contributo di risorse economiche e di personale per l’indispensabile ammodernamento, mantenimento e implementazione delle attrezzature tecnologiche che saranno acquistate dalle scuole; operare perché le scuole investano nella costruzione di un curricolo sostenibile e digitale, essenziale contestualizzato, ma pienamente rispondente ai goal dell’Agenda 2030, attento ai percorsi scientifici, matematici, multilinguistici.

Il ruolo della scuola va oggi declinato con una particolare attenzione alle sfide del presente e del futuro, a cominciare dalla questione della sostenibilità nelle sue molteplici sfaccettature. Il cambiamento climatico ci pone tutti davanti a un’evidenza non più ignorabile e ci è richiesto un tempo veloce per rispondere; considerare la valutazione in un continuo interscambio con il curricolo di scuola e con gli ambienti di apprendimento, al di là degli spazi fisici o virtuali, che possano garantire: la centralità dell’alunno e la responsabilità nella costruzione del proprio apprendimento; una didattica centrata sull’esperienza, contestualizzata nella realtà, fatta di compiti significativi; un approccio all’apprendimento prevalentemente induttivo, meno passivo e più autonomo”».

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