Studenti con caratteristiche diverse, come adattare la nostra comunicazione. In allegato lUdA: Le fasce fragili

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Comprendere le specificità di ciascun’utenza e sapere, per ciascuna di esse, i sistemi di comunicazione adatti rappresenta, senza dubbio alcuno, una modalità nuova e adeguata a fronteggiare, in molte scuole, il dilagare di fenomeni di “devianza”. Fenomeni collegati, vieppiù, alle nuove modalità di disagio sociale. Per comprendere meglio e più compiutamente il fenomeno della devianza, circostanza utile per individuare quei caleidoscopi di “fasce deboli” entro le quali operare con maggiore attenzione, si pone come questione che risulta, nelle nostre scuole, addirittura come dirimente.

 Per analizzare il fenomeno e comprendere le modalità di realizzazione dell’UdA che si allega, è utile e necessario fare alcuni indispensabili e utili riferimenti alla letteratura scientifica. Thio si pone come punto di partenza una questione che, per anni, è stata fondamentale. La questione si dipana a partire da una duplicità di punti di veduta. Ovvero nascano prima gli atti devianti (dunque, gli individui devianti) o la questione è determinata a partire dalla etichettatura che la società fa di tali soggetti? Tale questione, in molti studi e in molte analisi, risulta essere un argomento centrale: in taluni casi, come sostengono Cioban, Razvana Lazar, Bacter e Hatos, con approcci essenzialisti e positivisti che affermano che gli individui devianti nascono con tratti peculiari che determinano e influenzano in maniera netta il loro comportamento, e con approcci costruttivisti che, invece, ritengono, come di fatti lo ritiene Thio, che la società contrassegna gli individui come devianti. Evidentemente i due approcci determinano interventi assolutamente diversi e noi insegnanti non possiamo che inserirci lungo il crinale della soluzione scientifica che meglio definisce il nostro approccio (o quello della scuola, in verità) alla questione .

Le fasce deboli e i casi di inclinazione di un individuo a compiere atti devianti

Se è vero, come sostengono, che gli individui hanno già la presenza di tratti devianti, i positivisti hanno provato ad identificare qualità specifiche di tale fenomeno, a partire dalle quali sono state formulate svariate teorie. Le teorie positiviste più comuni includono le teorie dell’apprendimento sociale, teoria della deterrenza, la teoria dell’anomia, la teoria della deformazione, la teoria dell’autocontrollo, teoria dell’associazione differenziale. Possiamo dire a partire dalle loro teorie che l’inclinazione di un individuo a compiere atti devianti è quell’elemento che differenzia (sostanzialmente anche in riferimento ai risvolti sociali) un alunno deviante da un allievo che non è deviante. Se volessimo trovare una giustificazione scientifica a tale analisi, potremmo dire che tali teorie trovano un supporto scientifico nella ricerca sociobiologica, psicologica e criminologica dei naturalisti italiani Lombroso e Ferrero che tentarono di identificare le caratteristiche biologiche oi tratti psicologici unici dei devianti

la devianza è la naturale e ovvia conseguenza di un’esperienza di tipo soggettivo

I costruttivisti affermano (in contrapposizione netta ai positivisti che in tal senso risultano lontani assai dal fenomeno, per questi) che non è l’atto a essere deviante, ma l’atto che la nostra società, ma anche la nostra scuola, la comunità in cui viviamo, il piccolo o grande gruppo di amici, ha di etichettarlo. In quanto avviene tale modalità di affibbiare un’etichetta tale atto lo rende deviante. In questo contesto scientifico un ruolo fondamentale hanno le differenze culturali nell’etichettare un atto come deviante. Anche se, inutile ricercare differenze culturali, sulla classificazione degli atti criminali che, per esempio, globalmente sono definiti e classificati ampiamente come devianti. La devianza dunque non è generale, come per i positivisti, ma diviene relativa; relativa, cioè al contesto in cui viene giudicata e da come la società targhetta un caratteristico atto o un peculiare individuo che compie quell’atto. Ancora, la devianza è la naturale e ovvia conseguenza di un’esperienza di tipo soggettivo. Infatti, ogni persona procura un certo contenuto agli atti in cui è implicata. Parimenti, potremmo dire (qui un ruolo fondamentale lo abbiamo, successivamente, come insegnanti) che tale devianza è intenzionale, essendo valutata come una manifestazione o una opzione di una persona di un individuo come afferma, a tal riguardo e opportunamente, Erikson.

La devianza con consenso più elevato e quella con un consenso più basso

In ultimo c’è chi “cavalca” e sponsorizza quello che viene definito (come lo classifica Thio) l’approccio integrativo. Thio sostiene che i due quadri (costruttivista e positivista) sono complementari. Ritiene, infatti, che esiste una devianza con consenso più elevato e una forma di devianza con un consenso più basso. La prima forma di devianza con consenso più elevato come – sottolineano Cioban, Razvana Lazar, Bacter e Hatos – include atti che sono solitamente compresi come devianti e producono mancanze maggiori, e una devianza con consenso più basso che, invece, viene riferita e si concretizza in atti che sono considerati devianti da un numero di persone molto limitato. Ciò a causa, afferma Thio, del fatto che atti devianti causano perdite minori. La scuola, la nostra istituzione scolastica, deve necessariamente muoversi lungo le due direttrici, finendo poi con lo sposare, indubbiamente, un tipo di intervento che tenga conto dell’approccio “integrativo”. Un approccio che consideri le due varianti e che si muova lungo entrambi i due angoli visuali.

L’UdA “Le fasce fragili” per un Istituto Professionale ad “Indirizzo Socio-Sanitario”

In questo prisma scientifico si inserisce l’UdA “Le fasce fragili” realizzata dai docenti dell’Istituto Professionale ad “Indirizzo Socio-Sanitario” dell’Istituto di Istruzione Superiore “P. Borselli” di Torino diretto brillantemente dalla dirigente scolastico Prof.ssa Adriana Ciaravella.

UDA SOCIALE I PERIODO – LE FASCE FRAGILI

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