Nomadi digitali, in arrivo un visto speciale per attirare i «lavoratori in viaggio»: durerà un anno

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di Greta Privitera

Oltre 25 Paesi (presto anche l’Italia) hanno lanciato permessi di soggiorno per attirare «lavoratori in viaggio»

Dimenticate la storia del chiringuito sulla spiaggia, o dell’hippie scalzo che ripudia le regole della società consumistica. Certo, qualcosa in comune i nomadi digitali ce l’avranno anche con i loro antenati viaggiatori. L’attrazione per la libertà, la propensione all’avventura, la poca paura dell’aereo. Ma nel 2022, chi decide di diventare un lavoratore in viaggio lo fa per ragioni completamente diverse rispetto al passato. Le spiega Julien Tremblay, 31 anni, di Montreal, ora a Dubai: «Non scappo da niente, scelgo accuratamente il Paese in cui voglio stare in ogni momento». Tremblay è il profilo del nomade digitale doc. Millennial, ingegnere programmatore a cui servono essenzialmente due cose per lavorare: un computer e una buona connessione. Sei anni fa, stanco del clima rigido canadese, ha iniziato a viaggiare. In sei anni ha vissuto in 35 Paesi, di regola non si ferma mai meno di un mese. Quando, via Zoom da un grattacielo-casa-ufficio, elenca la lista dei suoi viaggi, il suono è ipnotico: Barcellona, Londra, Bali, San Francisco, Budapest, Kiev, Bangkok.

Julien ha milioni di colleghi. Non sappiamo con esattezza il numero di nomadi digitali nel mondo, anche perché trattasi di un neologismo che fa da ombrello a diverse tipologie di lavori: freelance, imprenditori, lavoratori subordinati, che hanno in comune la possibilità di lavorare da remoto. Ma i dati dei singoli Paesi parlano chiaro: secondo Mbo Partners, nel 2019, 7,3 milioni di americani si sono identificati come nomadi digitali. Tra il 2019 e il 2020, questa cifra, spinta dalla pandemia che ha accelerato un processo di digitalizzazione già esistente, è aumentata del 49% toccando quasi gli 11 milioni. Nel 2021, il numero è salito fino a 15,5 milioni. Sorprendendo, i governi hanno capito il fenomeno abbastanza in fretta e stanno creando visti per togliere queste figure di nuovi lavoratori dal limbo dell’incertezza, definendo un quadro giuridico che mette al riparo anche le aziende che li impiegano. Vantaggi per i viaggiatori che possono stare in un luogo più a lungo, quindi, ma i benefici sono anche del Paese ospitante che così facendo attrae nuovi profili di lavoratori molto spesso iper qualificati. Gli svantaggi potrebbero essere un aumento del costo della vita nella città e più concorrenza. Sono circa 25 i Paesi che hanno aperto ai visti per i nomadi digitali, e — altra sorpresa — ci stiamo lavorando anche noi. Le regole dei «visa made in Italy», in arrivo a settembre, contengono: gli ingressi al di fuori delle quote del decreto flussi; il permesso di soggiorno di un anno; un’assicurazione sanitaria; il rispetto delle regole fiscali. Tremblay ha due visti: uno rilasciato dagli Emirati arabi e uno da Malta: «Faccio base a Dubai, ma continuo a viaggiare e il visto maltese è il mio pass europeo». Paga le tasse in America, ma ora può lavorare con le compagnie dei Paesi ospitanti, aprire un conto e affittare un a casa.

Brittany Loeffler, di Filadelfia, non se lo è ancora procurato ma sta pensando di prenderlo. Ha 27 anni ed è una freelance che scrive. «Dopo essermi laureata, ho capito che potevo svolgere il mio lavoro da qualsiasi parte del mondo». Racconta che le due settimane di vacanza non le bastavano più per conoscere un Paese. «Ho chiuso il mio contratto d’affitto e sono partita con un solo bagaglio a mano». La storia di Brittany ha preso abbastanza presto una piega romantica. A Barcellona ha incontrato Jacopo, un nomade italiano, e hanno iniziato a viaggiare insieme fondando la prima «ambasciata per nomadi digitali», un sito dedicato a neo-viaggiatori.

Il 64% dei nomadi digitali italiani (o quelli che vorrebbero esserlo) hanno tra i 30 e i 49 anni. Francesco Menghini, 47, è regista e fotografo. In questo momento si trova alle Canarie e lui si definisce «anche» nomade digitale. «Anche» perché il suo impiego lo ha sempre portato fuori dai confini italiani. Per Menghini questo modo di lavorare non è una scelta ma un’opportunità. È d’accordo Trembley che ha un approccio molto pratico con il viaggio: «Se mi trovo in un Paese dove eleggono un partito che non supporto, cambio, è libertà».

18 luglio 2022 (modifica il 18 luglio 2022 | 22:26)

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, 2022-07-18 20:54:00, Oltre 25 Paesi (presto anche l’Italia) hanno lanciato permessi di soggiorno per attirare «lavoratori in viaggio», Greta Privitera

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