Meloni alla Camera: il discorso, le scuse per il «tu», il duello sulle donne

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di Fabrizio Roncone I tanti applausi (e qualche imbarazzo) a Montecitorio: la premier si è definita «underdog». A Soumahoro dice: ho sbagliato a non darle del lei. E a Serracchiani: sarei un passo dietro agli uomini? Aspettiamo che Giorgia Meloni cominci il suo discorso. Ma intanto: occhiate di perfidia liquida, brusio, quella certa percezione di evento imminente, i ministri tutti in ghingheri già ai tavoli del governo, Anna Maria Bernini — al solito — la più chic, le sinapsi dei cronisti friggono, guardate un po’ Antonio Tajani. Cos’ha Tajani? Ha uno sguardo grigiastro, accigliato. Vabbé. No, che vabbé: dov’è Giorgio Mulè? Eccolo laggiù, Mulè. E in effetti Mulè, neo vicepresidente della Camera, se ne sta invece lì bello pacioso, di ottimo umore: il regolamento di conti interno a Forza Italia, con possibili ripercussioni dentro l’esecutivo appena nato, è partito alla grandissima («Ho solo chiesto se Antonio, per caso, non ritenga di aver accumulato qualche incarico di troppo: ministro degli Esteri, vicepremier, probabile capo delegazione di FI e anche coordinatore nazionale del partito. Ecco, forse da coordinatore potrebbe dimettersi, o no?»). Ragazzi, ma la Meloni? Arriva, arriva. Intanto, da dieci minuti, seduto sulla tribuna dell’emiciclo di Montecitorio riservata agli ospiti, attaccata a quella della stampa, c’è già il compagno, Andrea Giambruno, giornalista Mediaset e padre di Ginevra, 6 anni (più tardi Giambruno dirà di essersi molto emozionato; smentendo, però, ad alcuni giornalisti che lo incalzavano, di avere idee sinistrorse: del resto poi stasera a casa, da solo con Giorgia, ci resta lui). Lei, finalmente, eccola: l’avrete vista già nelle immagini dei tigì e in qualche talk. Indossa un tailleur blu e una maglia di seta bianca: fresco il famoso taglio già detto anche Biondo/Meloni, che — come lei stessa ha comunicato — decine di donne ormai pretendono dai parrucchieri (certo: è un attimo, e si diventa stampa di regime. Solo che questa è purissima cronaca). Il succo del suo discorso lo trovate in un’altra pagina. È stato interrotto 70 volte (alcuni solerti lacchè, con lingue a frullino, giurano che gli applausi siano stati molti di più: certi ormai fanno e dicono di tutto pur di saltare sul carrozzone di Fratelli d’Italia). Sensazioni più forti: discorso con dentro molta politica (definitivo quel «Mai provato simpatia per i regimi, fascismo compreso»), e massicce dosi di mestiere; quindi un’ora e un quarto, tra pause studiate e colpi di tosse, ad alto tasso di empatia. Le gag dei bicchieri d’acqua hanno fatto il giro del web in tempo reale. Dopo l’ennesima standing ovation, sorseggiando e facendo ricorso al romanesco della Garbatella, slang Cesaroni, ha sussurrato a Matteo Salvini: «Così finimo aeee tre» (ma poi ha sfoggiato una citazione in inglese: «Io underdog, stravolgerò i pronostici»). A proposito: e Salvini? Qualche faccetta delle sue, che non capisci mai se stia per sganasciarsi o sia d’accordo; botte di forzata complicità (un paio di volte le ha parlato all’orecchio); ma non c’è cascato nessuno: il Capitano, crollato sotto il 9%, s’era già portato avanti con il lavoro; dettando, qualche ora prima, la sua personale e spinosa agenda: flat tax, ponte sullo Stretto, riforma Fornero. Dopo un po’, ci siamo messi a guardare i banchi delle cosiddette opposizioni. Spettacolo drammatico. Hanno applaudito anche loro il passaggio sul presidente Mattarella. Applausi, meno entusiastici, su Draghi. Poi, quando la presidente del Consiglio ha ricordato la recente alluvione delle Marche, momento di imbarazzo: il governatore delle Marche è Francesco Acquaroli di FdI. Accidenti: e adesso? Si applaude o no? Stesso panico, soprattutto tra gli scranni del Pd, quando la Meloni ha ringraziato le donne e gli uomini delle forze armate: «Come una scolaresca impaurita — descrive la scena Roberto Giachetti, tra i renziani più autorevoli — Alla fine s’è messo a battere le mani solo Guerini». Il compagno Nicola Fratoianni, capo di Sinistra Italiana, che è riuscito a far eleggere qui alla Camera anche sua moglie, la compagna Elisabetta Piccolotti, ha applaudito solo il passaggio sulla lotta alla mafia. Laura Boldrini, livida. Le mani stringevano nervosamente il cellulare. Ha alzato la testa quando ha sentito la Meloni che citava alcune donne: «Tina, Nilde, Rita, Oriana, Ilaria, Maria Grazia…». Tina sarà mica la Anselmi? E Nilde: ma no, dai, davvero sta citando Nilde Jotti? Altra botta di confusione: applaudiamo o no? I 5 Stelle, per dire, applaudono. Mai vista un’opposizione così indecisa, lacerata, distante. Intanto il premier ha concluso il suo intervento tra gli evviva e Salvini che l’abbracciava (sì, Santo Cielo: l’ha proprio abbracciata. Non è stupendo?). Poi, nelle repliche, la Meloni risponde al deputato Aboubakar Soumahoro, sindacalista ivoriano eletto nell’alleanza Verdi e Sinistra, dandogli del «tu». Proteste, qualche fischio. Lei subito si corregge, senza impacci chiede scusa. E prosegue verso una scena strepitosa. Sentite qui. Debora Serracchiani, confermata (tra molti dubbi) capogruppo dem, si era alzata tutta puntuta: «Temiamo che il governo Meloni voglia le donne un passo indietro e…». Meloni: «Mi guardi, onorevole Serracchiani: le sembra che io sia un passo dietro agli uomini?». Tra i banchi dem, pochi raggelati sguardi chini. Gioco, partita, incontro. 26 ottobre 2022 (modifica il 26 ottobre 2022 | 07:35) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-26 05:25:00, I tanti applausi (e qualche imbarazzo) a Montecitorio: la premier si è definita «underdog». A Soumahoro dice: ho sbagliato a non darle del lei. E a Serracchiani: sarei un passo dietro agli uomini?, Fabrizio Roncone

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