Lippi racconta la sua Torino tra piazza Carignano, il Cambio e l’Egizio

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di Manlio Gasparotto

L’ex allenatore della Juventus in città per vincere con i bianconeri. «La prima volta presi casa alla Crocetta, quando tornai nel 2001 ero in pieno centro, ma non sono un “girone” stavo tanto a casa. Io e la pesca? una favola per avere più libertà»

Niente più panchine, niente più traslochi. A 74 anni, dopo quasi 40 in panchina Marcello Lippi è un uomo soddisfatto. Da ct ha vinto un mondiale, l’ultimo azzurro, quello dell’estate 2006. Da allenatore ha conquistato scudetti (5 in Italia, 3 in Cina), coppe nazionali (2, una italiana e una cinese), due Champions League (in Europa e in Asia) e trofei assortiti. Qualche giorno fa l’Italia juventina ha celebrato i vent’anni del suo 5 maggio, con il sorpasso all’Inter di Ronaldo, qualcuno lo voleva ancora in nazionale, ma lui lo dice chiaro: «Non allenerò più».

Il che non significa «non tornerò a Torino», dove in due differenti periodi (1994-99 e 2001-04) ha scoperto la città «anche se non sono uno che sta tanto in giro: la mia giornata generalmente era casa, campo, ristorante, casa».

Dove viveva?

«La prima volta in zona Crocetta (via Cristoforo Colombo), quando tornai, nel 2001 scelsi piazza Carignano».

Uno dei salotti cittadini, dove andava?

«Spesso andavo al Del Cambio, dove mangiava anche Camillo Benso, lo chiamavano quando era pronto… Sì, lui aveva l’ufficio lì davanti e io praticamente casa. Certo, aveva prezzi proibitivi ma si mangiava molto bene».

Nella prima avventura la vedevano spesso da «Ilio» o da «Angelino». Menù? Pesce?

«Spesso, ma non sempre. Io sono un discreto mangiatore ma ho una dieta varia e la carne mi piace molto».

Il pesce lo preferisce a Viareggio?

«Tutti sanno che il miglior pesce si mangia nelle grandi città, a Roma come Milano o Torino. I pescatori quando hanno orate e branzini li spediscono lì, rende di più».

Ma…?

«Anche nella mia Viareggio si può mangiare bene».

Lì a casa sua uno dei «rifugi» è «Da Giorgio», vero?

«Vero, Guido ha una barca che pesca per lui ogni giorno. Si vede tutto entrando e scegliendo quel che ha in esposizione. Dalle cicale ai pesci».

E lei che cosa sceglie?

«Da noi va forte la frittura, la paranza, però non ordinatela se c’è mare mosso».

Perché?

«Con il mare agitato non esce nessuno, se in un ristorante dicono “c’è un bel frittino…” lasciate stare: è vecchio».

Lei va ancora a pesca?

«Quella del Lippi pescatore è una favola».

Ma come…?

«Andavo a pescare, è vero. Ma non ogni volta che tornavo a Viareggio, solo che mi chiamavano sempre. E io rispondevo dicendo “scusa, sto pescando, abbiamo buttato le reti, ti richiamo”. La leggenda è nata così, ma del resto il pescatore è un po’ bugiardo, io lo ero per necessità».

Torniamo a Torino?

«Ci sono stato bene, anche se non sono un “girone” uno che va tanto fuori per le strade. Stavo bene in casa, però tra le vie si respira ovunque la storia del Paese, per questo, anche per questo è speciale».

Diceva che era ideale per lavorare, senza pressioni.

«Sia chiaro, quando vai in una città e il lavoro va bene la città va sempre bene. Io a Torino ho vinto tanto, la prima volta uno scudetto che non arrivava da 9 anni. Se va male puoi essere nella città più bella del mondo ma non starai bene. E comunque non è che le pressioni non ci fossero…».

Però…

«Non le sentivo perché si vinceva, ma è chiaro che quando alleni la Juve sai che devi vincere perché la società è abituata a farlo. Detto questo, mi trovavo bene anche caratterialmente a Torino, io sono un toscano atipico, mi faccio gli affari miei, non sono molto diverso dai torinesi».

A Torino portò un calcio diverso, qualità e intensità

«Il nostro calcio era intenso sempre, negli spogliatoi, nel riscaldamento, nei torelli. E si vinceva, cambiavi giocatori e vincevi ancora perché chi arrivava scopriva quanto lavoro c’era dietro e non poteva rallentare perché uno dei compagni sarebbe stato il primo a riprenderlo, a dirgli “forza, qui non si ferma nessuno”. Lo zoccolo duro era la squadra».

Luoghi di relax e cultura?

«Sono stato al Museo Egizio come a Palazzo Reale, sono andato dappertutto in quegli anni anche se non volevo vedere o ricordare qualcosa di particolare, ma certo l’Egizio è una cosa di grande qualità e prestigio».

Più bello ammirare i quadri o comprarli?

«Mi piacciono ma non sono così appassionato da collezionarli, di quelli che ho a casa molti sono legati alla tradizione di Viareggio e del nostro Carnevale, opere dei nostri carristi, che sono grandi artisti. E amici».

Poi, da Torino alla Cina, un salto filosofico importante.

«Nelle grandi città cinesi, a Pechino come Shanghai o Guangzhou si vive come a Londra o Milano, c’è tutto, Magari in provincia meno. Ma c’è il meglio e la diversità tra i due mondi non l’ho notata».

Calcisticamente?

«Avevo un presidente appassionato, in due anni abbiamo vinto la Champions asiatica quando nessuna cinese era mai andata oltre i quarti». Vero, vincere rende tutto bello e speciale, ovunque.

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8 maggio 2022 (modifica il 9 maggio 2022 | 14:19)

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, 2022-05-09 12:19:00, L’ex allenatore della Juventus in città per vincere con i bianconeri. «La prima volta presi casa alla Crocetta, quando tornai nel 2001 ero in pieno centro, ma non sono un “girone” stavo tanto a casa. Io e la pesca? una favola per avere più libertà», Manlio Gasparotto

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