La verità oltre la propaganda: nessuno ha minacciato Putin

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Caro direttore,

prendo spunto da una affermazione contenuta nell’articolo del 28 febbraio di Paolo Mieli: «Da quel momento (2009) la questione Ucraina-Nato è rimasta lì, sospesa. Niente è accaduto che possa giustificare l’apertura di una crisi di queste proporzioni». Ricordo che aderiscono alla Nato, da tempo, Paesi assai prossimi alla Russia o addirittura con essa confinanti come Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Romania, Ungheria e le chiedo: è legittimo oggi utilizzare criteri quali la «prossimità» o la «contiguità» territoriale per dare legittimità all’intervento russo in una Ucraina che si paventa a rischio di entrare nella Nato? I moderni strumenti bellici non hanno forse sminuito l’importanza di queste argomentazioni ed esse, pertanto, non costituiscono piuttosto un pretesto che cela altre verità?

Giovanni Rossi

Caro signor Rossi,

Sono completamente d’accordo con quanto lei scrive e con le considerazioni di Paolo Mieli. Non c’è stato alcun gesto negli ultimi anni che possa essere considerato una minaccia dei nuovi Paesi entrati nella Nato nei confronti della Russia. Anche l’idea che un pericolo possa arrivare solo da uno Stato confinante è stata ampiamente ridimensionata dalla tecnologia applicata agli armamenti e da forme di conflitto sofisticate come le cyber-guerre. Ci sono stati tempi in cui i rapporti con la Russia sono stati completamente diversi: con il suo coinvolgimento nel G8, con la discussione di un partenariato, addirittura di un suo possibile ingresso nell’Unione europea. Tutto è stato vanificato dalla ostinata determinazione di Putin di tornare alla dimensione imperiale della Russia, di cancellare dalla carta geografica gli Stati sovrani, liberi e indipendenti nati dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. «L’Ucraina non esiste», ha dichiarato il leader russo nel momento in cui sferrava l’attacco. E in quelle parole c’è tutto. Il resto è una drammatica e feroce conseguenza.

, 2022-03-06 23:54:00,

Caro direttore,

prendo spunto da una affermazione contenuta nell’articolo del 28 febbraio di Paolo Mieli: «Da quel momento (2009) la questione Ucraina-Nato è rimasta lì, sospesa. Niente è accaduto che possa giustificare l’apertura di una crisi di queste proporzioni». Ricordo che aderiscono alla Nato, da tempo, Paesi assai prossimi alla Russia o addirittura con essa confinanti come Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Romania, Ungheria e le chiedo: è legittimo oggi utilizzare criteri quali la «prossimità» o la «contiguità» territoriale per dare legittimità all’intervento russo in una Ucraina che si paventa a rischio di entrare nella Nato? I moderni strumenti bellici non hanno forse sminuito l’importanza di queste argomentazioni ed esse, pertanto, non costituiscono piuttosto un pretesto che cela altre verità?

Giovanni Rossi

Caro signor Rossi,

Sono completamente d’accordo con quanto lei scrive e con le considerazioni di Paolo Mieli. Non c’è stato alcun gesto negli ultimi anni che possa essere considerato una minaccia dei nuovi Paesi entrati nella Nato nei confronti della Russia. Anche l’idea che un pericolo possa arrivare solo da uno Stato confinante è stata ampiamente ridimensionata dalla tecnologia applicata agli armamenti e da forme di conflitto sofisticate come le cyber-guerre. Ci sono stati tempi in cui i rapporti con la Russia sono stati completamente diversi: con il suo coinvolgimento nel G8, con la discussione di un partenariato, addirittura di un suo possibile ingresso nell’Unione europea. Tutto è stato vanificato dalla ostinata determinazione di Putin di tornare alla dimensione imperiale della Russia, di cancellare dalla carta geografica gli Stati sovrani, liberi e indipendenti nati dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. «L’Ucraina non esiste», ha dichiarato il leader russo nel momento in cui sferrava l’attacco. E in quelle parole c’è tutto. Il resto è una drammatica e feroce conseguenza.

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