La scuola senza voti funziona! I nostri studenti hanno successo allUniversità. INTERVISTA a Enzo Arte e allo studente Simone

Spread the love

La bocciatura della scuola senza voti? “È stata una cosa veramente orribile anche perché la nostra è una sezione che funziona”. Simone frequenta la classe 4G del Liceo Morgagni di Roma, la scuola protagonista di un’esperienza di didattica avviata otto anni orsono da un gruppo di insegnanti che non credono nel valore didattico e formativo del voto. Da quell’anno una sezione, la G, va avanti senza valutazioni se non quelle di fine quadrimestre e quella finale. “Sono rimasto male – si rammarica Simone – Nella sezione G i professori lavorano molto, perché descrivere periodicamente un giudizio sugli alunni invece che mettere un voto è impegnativo, non so se questo abbia contribuito a portare alla bocciatura in collegio dei docenti, ma io ci sono rimasto male”. Simone Bertani studia molto, sogna di diventare ingegnere meccanico, altri della sua sezione senza voti hanno avuto successo all’università: in tanti fanno sapere dall’università di avere tratto benefici da una metodologia che secondo loro funziona.

Il riscontro sembra buono. Di recente molti alunni si sono diplomati con buoni risultati finali: lo scorso anno 2 lodi, quattro 100 e voti elevati. “I ragazzi si sono iscritti all’università e sembrano inseriti bene – ci aveva spiegato lo scorso anno Enzo Arte, il docente di matematica e fisica promotore con alcuni colleghi e colleghe della Scuola delle Relazioni e della Responsabilità, come preferisce definire il progetto invece che scuola senza voti – Alcuni ammettono di trovarsi bene ad esempio perché sono stati abituati a lavorare in gruppo”. E come si troveranno nel mondo del lavoro, dopo che sono stati tanto coccolati? “Non si tratta di coccolare ma si tratta del fatto che, come ci ha detto Daniela Lucangeli (professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento, ndr.), la curva dell’ansia ha il suo massimo nell’età scolastica mentre negli altri paesi aumenta con l’età. Insomma qui è l’inverso. All’università – come detto – loro stessi stanno notando che le proprie competenze sono ottime. Si sanno relazionare, sanno fare attività di ricerca e di gruppo perché lo facevano tutti i giorni. Quello che viene fuori dalle testimonianze degli universitari è che hanno conoscenze e competenze di base come altri ma competenze trasversali – il lavoro in team, il lavoro di ricerca, il sapersi relazionare con chiunque – superiori alla media. Una delle cose che ha detto una nostra ragazza è che sono in grado di interagire anche con chi non conoscono bene o sta loro antipatico. E nelle ricerche e approfondimenti vanno alla grande. Noi puntiamo molto sulle relazioni. A settembre di ogni anno i ragazzi e le ragazze di prima e di seconda partono verso qualche viaggio di conoscenza: un anno nei boschi dell’Umbria, un altro anno in mezzo ai lupi, in Appennino, o in Cilento al mare. Partono per quattro giorni, senza cellulare e senza tablet per attività formative utili soprattutto all’instaurazione di relazioni positive. Quando tornano già a fine settembre si conoscono benissimo tra di loro e sanno relazionarsi. Puntiamo molto anche sulle relazioni tra alunni e noi prof e con i genitori, per una condivisione di un percorso in un’età delicata. Una volta al mese ci riuniamo con tutti i ragazzi e i genitori per parlare di come va, una sorta di consiglio di classe allargato. Specie il primo anno questa esperienza ci è servita molto per affinare il nostro progetto.

Intanto i ragazzi sono in Sicilia. Anche Simone Bertani è in Sicilia con la sua classe e altre classi, accompagnati dai loro professori e si appresta a salire sul pullman per raggiungere Siracusa dove è in corso il Festival della Filosofia in Magna Grecia che coinvolgerà per quattro giorni gli studenti: “Io mi sono trovato benissimo – prosegue – mi sono subito adattato al metodo, il rapporto con i professori è molto più stretto e diretto rispetto a quello che avevo alle medie”. Non è che in una classe senza voti come la tua uno però se ne approfitta per non studiare? “Approfittarsene? Dipende dal singolo, ma se succede la classe provvede a fare in modo che chi se ne sta approfittando si renda conto che sbaglia. Da noi questa azione funziona, questa cosa la discutiamo in assemblea di classe. Del resto se non fai i compiti la verifica poi andrà male. Non c’è il voto ma la valutazione che segue ci sarà. Questo fa sì che siamo molto severi con noi stessi, più responsabilizzati”. E più sereni, par di capire. “Siamo molto sereni, dopo le medie le verifiche sono diventate non stressanti, io ad esempio alle medie mi facevo prendere dall’ansia ora invece non ne ho e rendo di più”. Veniamo ai compiti: si studia molto a scuola e meno a casa, è così? “A casa si lavora meno. Lo studio diventa meno individuale e molto di gruppo, e devo dire che avendo meno cose da studiare le cose le fai meglio, ti appassioni e approfondisci, invece di fare tutto velocemente, male e non approfondendo”. E come si riesce ad avere consapevolezza di come si sta andando, durante l’anno scolastico? “I professori parlano con noi, scrivono valutazioni sul registro e comunque prima delle pagelle ci danno un voto di sintesi, poi una volta che ti abitui al metodo tutto diventa naturale. Se fai parte di questa sezione non senti il peso del voto perché, se non siamo abituati al voto, alla fine il problema non si pone, noi teniamo più a sapere quel che abbiamo imparato”. E i vostri amici delle altre sezioni che ne pensano? “Alcuni, non conoscendo il metodo fanno come tanti giornalisti che hanno attaccato questa sezione ma di fatto senza sapere come funziona. Allora io chiedo: prima di esprimere giudizi non è meglio informarsi?”.

È proprio per questo, per capire di più, che ci mettiamo di nuovo in contatto con il professor Enzo Arte. Anche lui in Sicilia, “in questo viaggio – dice lui – tra i tanti orientati alla costruzione delle relazioni e della presa di coscienza delle proprie e delle altrui emozioni. Ora siamo a Siracusa, altre volte con questo Festival siamo stati in luoghi del Sud Italia e in Grecia. Saranno quattro giorni dedicati alla filosofia attiva e pratica, con incontri con filosofi e laboratori di teatro, di movimento espressivo, o cose più strane come fantasiologia o radiosofia, cioè qual è la filosofia di una radio e come si fa una radio parlando di filosofia”. Ma cosa c’è di speciale in questo tipo di impostazione pedagogica? “C’è il fatto di utilizzare meglio il tempo scuola”, ci aveva detto Enzo Arte. “Trenta ore a settimana sono un buon carico di lavoro, e se poi contiamo anche le ore a casa… Dunque cerchiamo di sfruttare al massimo questo tempo. E noi che facciamo? Facciamo ad esempio l’anti flipped classroom. La flipped classroom prevede che gli studenti lavorino a casa e poi presentano la lezione a scuola. Invece qui si fa il contrario: dunque gli studenti lavorano a scuola il più possibile: anche se devono presentare un lavoro alla classe, lo preparano durante le lezioni, quando il docente è presente per sostenerli e indirizzarli. Facciamo un’attività didattica che è il più possibile stimolante perché non c’è il voto e loro sono molto attivi.

La struttura dell’aula è a ferro di cavallo oppure ad isole di lavoro e gli studenti partecipano attivamente alle lezioni e spesso le fanno loro stessi, tra pari. Sfruttiamo il fatto che la pedagogia dice che sono cose che funzionano. E noi abbiamo creduto a quello che ci hanno detto per anni i pedagogisti, i neuroscienziati, gli psicologi, che hanno sempre raccontato che l’apprendimento è più efficace se non si sente il peso del giudizio esterno o che l’educazione tra pari funziona molto bene. Per cui usiamo tecniche come il jigsaw, una specie di puzzle con cui ognuno impara un pezzo di un argomento e poi scambia le proprie informazioni con gli altri, lavorando a coppie e a gruppetti. Oppure le stazioni, in cui ogni alunna o alunno affronta le diverse attività assegnate da solo o in compagnia di altri e con i propri tempi, nella direzione di una didattica aperta, nel senso anche di libertaria. Queste metodologie cooperative e con ampi spazi di libertà decisionali su tempi e modi piacciono alle ragazze e ai ragazzi e funzionano in un’ottica di apprendimento e visto che abbiamo tolto i voti dobbiamo essere stimolanti nelle lezioni. E poi possiamo essere stimolanti nel non annoiarli solo se li facciamo stare attivi. Del resto, che cosa ci dice il Cono degli apprendimenti di Dale? Ci dice che, quando il ragazzo semplicemente ascolta o guarda, apprende poco e ricorda poco, invece se è attivo e fa o parla e dice le cose allora la memorizzazione migliora di molto. Si tratta quasi di banalità. Daniela Lucangeli ci insegna che il benessere del ragazzo e la sua serenità sono funzionali all’apprendimento e quindi se un ragazzo viene a scuola impaurito il cervello non è settato sull’apprendimento ma sta sulla difensiva, non è concentrato. Quando un ragazzo viene a scuola sereno perché non ha paura di essere ogni giorno giudicato, il suo cervello può entrare in modalità apprendimento”. Un po’ come succede quando si arriva all’università. “Esatto, l’esempio è perfetto. Tanti si liberano di angosce una volta terminata la scuola. A questo proposito, uno dei primi feedback positivi ci arriva dai genitori che ci dicono che i ragazzi si svegliano volentieri e vengono a scuola con il sorriso.

Sapendo di non essere giudicati in continuazione. Cerchiamo di lavorare in un clima che sia sereno e stimolante. Il togliere i voti è funzionale a tutto questo. In questo modo si abbatte il muro che tante volte c’è tra docenti e discenti e il voto numerico è sostituito da valutazioni descrittive che devono essere formative e orientanti, cioè dovrebbero orientare il ragazzo verso la conoscenza di sé stesso, capire il proprio percorso, facendogli capire se sta sulla strada giusta e facendogli modificare eventualmente il proprio modo di lavorare”. Nella pratica come avviene tutto questo? “Nella pratica avviene che io scrivo che cosa lo studente ha fatto bene o male, quello che non è stato funzionale a fare una buona prova o do dei consigli, faccio capire dove si è espresso correttamente, quali argomenti non ha dato prova di avere assimilato, se ha usato un linguaggio tecnico corretto e via dicendo. Queste valutazioni avvengono non solo sulle prove ma anche in itinere: indipendentemente dalle prove vengono messe delle valutazioni per indicare l’andamento in quei giorni, in quel periodo: se ha iniziato bene o no rispetto allo scorso anno, se dorme a scuola, se è partecipe, se interagisce e si relaziona positivamente, se sembra aver assimilato gli argomenti di studio. Sono poi molto importanti le autovalutazioni, redatte sempre con modello descrittivo, e in questo modo loro prendono sempre più coscienza di quello che stanno facendo. Valutano le proprie prove o il proprio iter. E facciamo autovalutare ogni tanto anche il benessere e le competenze trasversali, se si trovano bene con i compagni, se lavorano a proprio agio in gruppo. Si punta molto, sicuramente, sulla cooperazione invece che sulla competizione”.

Dalla poesia alla prosa. Pesa molto sul cuore di tanti il parere contrario espresso dal collegio dei docenti che per un solo voto ha bocciato un’esperienza che solo per amore di sintesi definiamo una scuola senza voti. Il progetto coinvolge circa 25 docenti, il 20 per cento degli insegnanti del Morgagni, ed è stato portato avanti fin dall’inizio da Arte assieme alle docenti Valentina Durante, Stefania Rossi, Caterina Galione, Laura Comin (nella foto). Ora tocca al Consiglio d’istituto pronunciarsi.

Professor Enzo Arte, lei però si dice convinto che il progetto sia tutt’altro che morto. È così?

“Certo, innanzitutto il progetto continua per tutte e cinque le classi che sono già coinvolte. Poi, nell’ambito della libertà di insegnamento nessuno può dire ad un docente come insegnare, purché stia dentro la normativa. E il nostro progetto è stato sempre definito sperimentale ma di sperimentale ha solo che si allontana un po’ dalla tradizione didattica ma non dalla normativa. Anzi, se vogliamo puntualizzare, la normativa, a partire dallo Statuto delle studentesse e degli studenti, spinge verso una valutazione orientante, verso l’auovalutazione e l’individuazione dei punti di forza e di debolezza. Del resto non si capisce perché non ci possa essere una pluralità di approcci didattici, la pluralità normalmente è solo un segno di ricchezza, forse anche di democrazia. Rispetto ai voti, ad esempio, c’è chi crede nella loro valenza formativa e chi no, e lo stesso vale per le altre metodologie. Cosa c’è di meglio che offrire un ventaglio di possibilità? Il Ptof, comunque, il piano triennale dell’offerta formativa, credo debba essere alla fine ratificato dal Consiglio d’istituto. Quindi se anche la decisione del Collegio fosse confermata succederà che i genitori non potranno scegliere di iscrivere i figli nella classe prima della nostra sezione G, ma l’esperienza continuerà se i docenti lo vorranno”.

Qualcuno non lo ha condiviso

“La mia percezione è che, oltre a chi crede che il voto abbia una valenza formativa, ci sia chi crede che noi con il nostro lavoro non abbiamo ottenuto buoni risultati, o che i risultati non siano certificati”.

E invece?

“Guardi, noi siamo seguiti dalla Facoltà di Psicologia e Pedagogia dell’Università La Sapienza di Roma con il professor Guido Benvenuto, docimologo, e il professor Stefano Livi che si occupa di psicologia dell’adolescenza e fa ricerche sul benessere e, per semplificare, su quanto nelle classi siano diffuse competitività e cooperazione. Ci studiano e ci danno una mano di aiuto. Abbiamo avuto Mariella Colosimo, pedagogista, che ci ha aiutati per quella parte fondamentale dell’osservazione senza giudizio dandoci degli strumenti a questo fine. Altri ci hanno fornito strategie didattiche per lavorare bene con le classi e per usare metodologie stimolanti in aula per e con i ragazzi. Sono uscite perfino delle pubblicazioni scientifiche su riviste di classe A che descrivono il monitoraggio della Sapienza. Quindi, più certificati di noi… Non credo che, in genere, le classi in Italia siano seguite da qualcuno che poi le va a certificare. Poi ci sono altri risultati, che sono generalmente sottovalutati”.

Quali?

“Non so perché non si parli mai della soddisfazione degli alunni e di quella dei genitori e nemmeno dei risultati universitari, oltre che naturalmente quelli scolastici. Alcuni dei nostri ex-studenti sono in via di laurea, anche in facoltà e università prestigiose, ingegneria aerospaziale alla Sapienza, o in economia alla Luiss, altri alla Cattolica, i ragazzi stanno andando bene. Quando alcuni dicono che i risultati non sono adeguati non so a che cosa si riferiscano. Non mi pare abbiamo cresciuto generazioni di bambaccioni o smidollati. Chi è entrato in classe per vedere come lavoriamo, gli osservatori della Sapienza, i tirocinanti di Psicologia, gli insegnanti neoassunti in formazione – visto che, per il nostro progetto, il Morgagni è riconosciuto tra le scuole che, in quanto innovative, possono essere visitate e frequentate dai neoassunti – ci ha dato riscontri positivi e a volte anche elogi esagerati. Chi ha osservato il nostro lavoro ha parlato sempre di metodologie innovative”.

Avete avuto frizioni con l’amministrazione scolastica?

“Nessuna frizione di alcun tipo”

Resta il fatto che si sta cercando di immaginare il motivo delle lamentele che hanno condotto alla bocciatura nel collegio dei docenti. Lei che idea si è fatta?

“Qualcuno ha messo in evidenza, oltre le cose già dette, che le classi sono formate male o che gli insegnanti che arrivano, ad esempio supplenti, non sono formati per questa esperienza”.

Beh, questo potrebbe essere un problema

“Su questo concordo. Un docente che entra deve essere formato per poter usare una nuova metodologia. Non sempre però le risorse e le tempistiche della scuola hanno consentito di formare questi docenti e quindi è capitato che siano entrati colleghi che non condividevano il progetto o che non avevano voglia di approfondirlo. Qualche frizione su questo piano ci può essere stata”.

Si è pure detto che la sezione senza voti viene scelta da chi non ha voglia di studiare

“Sono parole travisate. Può capitare che ci siano famiglie che abbiano iscritto qui figli che non hanno vissuto al meglio le medie, ma questo non vuol dire che siano ragazzi e ragazze che non vogliono studiare ma che semmai hanno avuto problemi di altro tipo, ad esempio relazionali. C’è pure il problema degli studenti iperdotati che con un modello tradizionale a volte non riescono a far esplodere le proprie potenzialità. Ci siamo fatti una fama di sezione inclusiva e accogliente ma non certo perché si adatta a chi non vuole studiare. E comunque se le perplessità di chi critica il progetto sono che i docenti devono essere formati meglio e che la selezione in ingresso sia da fare meglio, ben vengano queste critiche. Si può lavorare con gli organi collegiali per superare queste ed altre criticità. Ma non si butta il bambino con l’acqua sporca, non si chiude un progetto che è ormai un pezzetto di storia del Morgagni”.

E’ deluso, si sente

“Da questo punto di vista c’è un po’ di rammarico perché mi pare che il liceo Morgagni stesse diventando un punto di riferimento per tante altre scuole che sono partite con progetti ispirati al nostro. Mi spiace che il Morgagni, istituto ricco di storia e iniziative, in questo momento non riesca a esplicare al meglio le sue potenzialità per guidare anche altri istituti nella direzione da noi intrapresa 7 anni fa. Dopodiché, ripeto, l’approccio lanciato proseguirà e il Morgagni ha tanta vitalità. Inoltre ormai sono tante le scuola d’Italia dove da settembre scorso si lavora in maniera simile”.

Prima di intervistarla ho chiesto ad alunni di un’altra scuola superiore un parere sulla vostra esperienza e cosa pensassero di una ipotetica loro scuola senza voti. Mi hanno risposto che senza voto forse non studierebbero.

“Vede? Questa è la dimostrazione che spesso si studia per il voto e non per il piacere dell’apprendimento. Quando si studia per il voto quanto è permanente l’apprendimento? Quante volte abbiamo sentito ripetere dagli alunni: ma prof, questo lo abbiamo studiato due mesi fa, come faccio a ricordarlo? Ecco, se lo studio è orientato al voto esso è labile, dura poco. Se insieme a tutto questo ci si mette anche un’ansia eccessiva, allora lo studente tende a dimenticare il prima possibile, perché deve cancellare quell’ansia. Quando li liberiamo dal voto quotidiano i ragazzi vanno meno in difesa. È chiaro che invece in una scuola orientata al voto lo studente potrà essere invogliato a studiare per il voto e non per l’apprendimento, la soddisfazione è quella, è il riuscire a strappare il voto. La stessa soddisfazione può valere anche per il docente, che è soddisfatto per una buona valutazione. Ma io dico: se serve il voto, mettiamolo questo voto, ma facciamolo per la fine dell’anno. Tuttavia, giorno per giorno, diciamo ai ragazzi cosa stanno facendo bene, cosa male, diamo loro dei consigli, non li etichettiamo con un punteggio”.

Qual è la risposta dei ragazzi?

“Noi siamo circondati da ragazzi che sono completamente calati nel nostro approccio. C’è qualcuno che ha paura di essere bocciato e che chiede magari una valutazione a che voto corrisponderebbe ma sono pochi. Normalmente guardano le valutazioni e si fanno un’idea di dove intervenire per migliorarsi o si autovalutano. C’è perfino chi nelle autovalutazioni con voto di fine anno scrive che gli interessa poco anche il voto in pagella perché ciò che conta è quanto sia riuscito a progredire nel suo percorso di crescita”.

Si punta sulla cooperazione invece che sulla competizione, ha detto lei in una nostra precedente intervista.

“Proprio così. Ci piace anche che passi l’idea che un modello cooperativo sia più funzionale sempre, anche a livello sociale. E in questi anni il mondo avrebbe tanto bisogno di più collaborazione e reciproco aiuto. Perché non iniziare dalla scuola?”

Ma voi lavorate molto di più, se il voto è sostituito da una descrizione periodica dell’andamento personale dello studente?

“Hai voglia”

Quando nel passato insegnava con il metodo tradizionale come si trovava?

“A volte davo il voto prima, all’inizio dell’anno. Loro si autovalutavano e si davano il voto. Così ci liberiamo subito del voto – dicevo – e ora lavorate sereni e senza pensare che arrivate qui a scuola con il timore che io vi interroghi. Guardi, proprio in questi giorni mi ha scritto una mamma che mi dice che il figlio ha preso 1 in una verifica in uno dei migliori licei scientifici di Roma e ora non vuole più andare a scuola. Non si era reso conto che c’era la verifica e non aveva studiato. È stato un errore sicuramente ma il voto lo ha segnato.”

Va bene, ma qui siamo di fronte a una fragilità…

“E che cosa facciamo con i fragili? Se vedo un fiorellino fragile io non lo prendo a calci dicendo: così cresci meglio”.

I ragazzi come reagiscono a questa impostazione?

“I ragazzi arrivano a scuola sereni. Le famiglie ce lo riconoscono Una buona fetta di loro si inserisce perfettamente nel percorso. C’è qualcuno che ha problemi di impegno, forse non sentendosi ricattato dal voto non si concentra e non studia. Ma queste cose succedono anche nelle classi dove c’è il voto. Devo però dire che anche grazie ad attività di tutoraggio normalmente sono problemi che riusciamo a risolvere. Abbiamo ragazzi che hanno fatto un percorso meraviglioso, che avevano iniziato con grande difficoltà e che ora all’università hanno delle soddisfazioni che non avrebbero potuto ricevere altrimenti. Qualche genitore ci ha detto: non pensavamo che potesse fare il liceo scientifico e invece adesso ha trovato la sua strada all’università”.

, L’articolo originale è stato pubblicato da, https://www.orizzontescuola.it/la-scuola-senza-voti-funziona-i-nostri-studenti-hanno-successo-alluniversita-intervista-a-enzo-arte-e-allo-studente-simone/, Scuole, https://www.orizzontescuola.it/feed/, Vincenzo Brancatisano,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.