Inizio scuola con almeno 200 mila supplenti. Assumere tutti i precari in graduatoria ed eliminare il vincolo triennale. INTERVISTA a DAprile (Uil Scuola Rua)

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Il nuovo anno scolastico è già iniziato ma i temi caldi non si contano. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara da un lato promuove questo avvio. Dall’altro le organizzazioni sindacali puntano il dito sulle vecchie questioni che da anni attanagliano la scuola e analizzano nel dettaglio le novità sopraggiunte.

A tal proposito ad Orizzonte Scuola interviene Giuseppe D’Aprile, segretario generale della Uil Scuola Rua.

Anche quest’anno le lezioni sono iniziate con tante cattedre ancora scoperte. Eppure i dati forniti dal Ministro Valditara evidenziano miglioramenti rispetto allo scorso anno.

Il risultato delle immissioni in ruolo dei docenti e quelle del personale ATA, rapportato ai posti rimasti vacanti e quelli aggiunti in organico di fatto, continua a farci sostenere che ci vuole una forte sterzata sia in termini di reclutamento ma soprattutto di investimenti. Anche questo anno scolastico la campanella del primo giorno di scuola ha suonato con un numero complessivo di almeno 200mila supplenti fra tutto il personale. Un copione che si ripropone tutti gli anni.

Quindi non condivide la prospettiva del Ministro?

Il personale ATA, quello che ha concorso in modo encomiabile al funzionamento delle scuole in una delle fasi più drammatiche della vita del paese, rimane nella medesima condizione. Stessi numeri, tutti legati ai vecchi parametri alunni-classi, con un reintegro del solo turn–over. Anche l’organico PNRR sarà insufficiente: è necessario individuare nella prossima manovra finanziaria ulteriori risorse per garantire la proroga dei contratti che scadono il 31 dicembre 2023. Una proroga tanto più necessaria in funzione del sovraccarico di lavoro che le attività connesse al PNRR hanno portato nelle scuole, che ricadono su segreterie e dirigenti scolastici. Le nostre sono stime avvedute, anche se vorremmo non corrispondessero alla realtà. Ad ogni modo fare confronti adducendo meriti per un numero inferiore di precari rispetto all’anno precedente non è metodo che si può applicare alla scuola.

A breve è atteso il primo concorso Pnrr della fase transitoria. Ad inizio 2024 dovrebbe partirne un secondo. Si tratta della strada giusta da imboccare secondo lei per combattere il precariato e avere, a partire dai prossimi anni, sempre più docenti in ruolo?

È evidente che l’attuale sistema di reclutamento ha mostrato ancora una volta tutti i suoi limiti. Per esempio, si sarebbero potute sicuramente avere più assunzioni se si fossero intanto autorizzate le immissioni in ruolo su tutti i posti vacanti e, come stiamo rivendicando da tempo, utilizzate anche le GPS di I fascia di posto comune. Si preferisce, invece, continuare con la sola logica dei concorsi che non hanno fatto altro che creare ulteriori graduatorie e disparità tra docenti, cosa che accadrà anche nel futuro. I docenti vincitori del prossimo concorso PNRR, a cui dovrebbero essere destinati i posti attualmente vacanti, procederanno nell’assunzione in ruolo gli idonei del concorso del 2020 che sono già legittimamente presenti nelle graduatorie. Paradossi e contraddizioni che non faranno altro che intasare ancora di più il sistema del reclutamento.

Quindi, cosa bisogna fare secondo la vostra visione?

E’ necessario assumere in primis tutti i precari presenti nelle graduatorie vigenti, valorizzare l’esperienza e abolire il vincolo triennale previsto per il personale docente che disincentiva le accettazioni di nomina. Azzerare il precariato esistente e poi, eventualmente procedere a bandire i concorsi sui posti che si creerebbero trasformando l’organico di fatto, in organico di diritto. Questo per dare più stabilità alla scuola, al personale e garantire agli alunni la continuità didattica.

Il Ministro si sta muovendo su più fronti e negli ultimi giorni è stata approvata la riforma sul voto in condotta. Cosa ne pensa?

In merito al Disegno di Legge appena approvato noi pensiamo che sicuramente le sospensioni andavano riviste e su questo il Ministro ha ragione, ma, non rappresenta la soluzione. Le sospensioni, così come sono concepite oggi, in effetti, possono essere più dannose che utili perché possono interrompere il processo di apprendimento degli studenti e, in alcune realtà, esporli a rischi maggiori al di fuori dell’ambiente scolastico. Condividiamo l’obiettivo di prolungare il tempo di permanenza a scuola per i ragazzi che si comportano in maniera non corretta o l’attività di approfondimento sulle conseguenze dei comportamenti che hanno portato al provvedimento. Tuttavia, siamo fermamente contrari all’introduzione dell’attività di cittadinanza solidale nelle scuole se questa si traduce in un allontanamento dalla istituzione scolastica come misura disciplinare per gli studenti che commettono atti di violenza con associazioni o luoghi di recupero che non sono tutti uguali, che operano in diverse aree geografiche del paese con culture, peculiarità e attività gestionali diverse. Non vorremmo ritrovarci a danneggiare emotivamente e psicologicamente gli alunni con un risultato opposto a quello prefissato.
Quindi riteniamo che tale approccio sia eccessivo e potrebbe avere conseguenze negative sul percorso educativo degli studenti coinvolti. Invece più tempo a scuola e più risorse per incrementare strategie didattiche e modalità che coinvolgano in modo fattivo gli adolescenti. La scuola è lo spazio in cui gli studenti possono apprendere, crescere e sviluppare consapevolezza delle proprie potenzialità e delle conseguenze dei propri errori. È luogo di corresponsabilità e di regole, non luogo di pena.

Quindi?

Il problema va dunque risolto a monte, in maniera diversa. Chiediamoci il perché di alcuni accadimenti. Perché succedono atti di violenza all’interno delle istituzioni scolastiche. Andrebbe, invece, recuperato il rispetto – valore preso come tema centrale del nostro congresso – e più volte citato a Forlì sia dal Ministro che dal Presidente Mattarella – verso il personale della scuola, facendo molta attenzione a parlare di scuola con superficialità, trattandola bene anche attraverso una maggiore considerazione del personale che vi lavora. È un processo che parte dalle parole usate da tutti, ogni giorno. Sui media, sui social, sui quotidiani…un totale cambiamento di rotta. Lo dobbiamo ai nostri alunni, alle famiglie e al paese intero che, secondo il nostro punto di vista, ha bisogno di una scuola rispettata per un futuro migliore.

Altra novità che si vedrà però a partire dal prossimo anno è la riforma degli istituti tecnici e professionali. Secondo lei la formula 4+2 proposta potrà funzionare?

Una sperimentazione che lascia perplessi perché sembrerebbe finalizzata ad un tentativo di rilancio della formazione professionale, notoriamente in crisi negli ultimi anni, certamente utile, ma che andrebbe rivista nel suo insieme e non accorciando di un anno – secondo il nostro parere – la scuola secondaria di secondo grado e allungando, contestualmente, il percorso formativo di due anni. Questa sperimentazione, che sulla carta sembra garantire l’esistente, vede poi l’introduzione nel sistema di istruzione secondaria di secondo grado di nuove figure di docenti, già presenti negli ITS, non contrattualizzate e senza indicare il monte ore e la percentuale di presenza rispetto ai docenti curricolari. Secondo noi, la fase di reclutamento dei docenti deve essere ricondotta in schemi e regole chiare e trasparenti che assicurino la qualità dell’insegnamento. Le competenze dei docenti devono essere regolarmente certificate e rientrare in codificazioni verificabili. Non è possibile che per tutti gli altri docenti siano previsti percorsi di formazione/valutazione che si allungano sempre di più (24 cfu, 30 cfu, 60 cfu) e per i docenti “provenienti dall’industria” bastino solo le esperienze lavorative.

Alcuni criticano anche l’eccessivo legame fra scuola e cultura di impresa. Cosa ne pensa?

La scuola non deve elargire competenze ma conoscenze. C’è un tempo per studiare e verrà il tempo per lavorare. Quindi bisognerebbe evitare di rischiare di introdurre, nel sistema dell’istruzione, un meccanismo competitivo e concorrenziale regolato e condizionato dal mercato per aumentarne l’efficienza. La scuola non deve piegarsi alle logiche di mercato che invece ha bisogno di ragazzi con una salda e articolata cultura di base, conoscendo i concetti fondamentali di ogni disciplina. Il mercato non può condizionare la scuola nella quale si insegna il pensiero libero e critico.

Sembra un po’ passato in secondo piano nelle ultime settimane, complice il ritorno a scuola sicuramente, ma il tema del rinnovo CCNL Istruzione è sempre vivo. Dalle prime indicazioni non sembra ci siano grandi aspettative dalla prossima legge di bilancio.

Lo scorso anno lo scenario proposto dalla legge di bilancio approvata in Consiglio dei Ministri poco o quasi nulla ha previsto sulla scuola. E’ vero, il Ministro Valditara si era appena insediato. Quest’anno ha la possibilità, insieme all’Esecutivo, di cambiare rotta. Ad esempio, modificare i parametri che hanno portato al dimensionamento della rete scolastica previsto dalla Finanziaria 2023 oltre a stanziare le risorse necessarie per valorizzare il personale della scuola. La proposta da lui stesso formulata, a Saragozza, agli altri Ministri Europei dell’istruzione – quella di lasciare la scuola fuori dai vincoli di Bilancio – ci trova d’accordissimo. Si tratta anche di una nostra rivendicazione sulla quale è necessario lavorare e insistere per realizzarla. Lo sosteniamo da sempre: sulla scuola non si fa cassa, è necessario investire.

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