L’effetto Kiev sulla campagna elettorale

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Da Conte a Salvini, chi ha cambiato posizione dopo la formidabile controffensiva dell’Ucraina contro la Russia (e perché quell’avanzata elimina un argomento decisivo del filo putinismo). La rubrica di Antonio Polito

Conte I (alla festa del Fatto): «Voteremo contro l’invio di nuove armi all’Ucraina, l’Italia non può sopportare un nuovo sforzo bellico, siamo in recessione».

Conte II (poche ore dopo, al Resto del Carlino): «I progressi delle forze ucraine sono un’ottima notizia e dimostrano che Kiev, grazie all’afflusso di armi dall’Europa e dagli Stati Uniti, è in grado di respingere l’invasore russo. Per questo abbiamo acconsentito agli aiuti».

Conte III (in tv su Rai3): si dice orgoglioso di aver mandato armi all’Ucraina, perché «non ci si può difendere con le mani nude da una tale aggressione», e si augura «la riconquista di tutti i territori occupati dai russi».

La formidabile controffensiva di Kiev non sta scompigliando le linee russe solo sul campo di battaglia. Non sappiamo ancora se cambierà le sorti della guerra, ma l’«effetto Kharkiv» ha già cambiato la nostra campagna elettorale.

Ieri sul carro ucraino è saltato anche Salvini, che con il no alle armi e il «nì» alle sanzioni aveva costruito finora una posizione ben diversa da quella di Giorgia Meloni. Ieri invece ha assicurato che «il governo di centrodestra proseguirà l’aiuto militare all’Ucraina».

Non è soltanto un fenomeno di voltagabbanismo, che aiuta a giudicare l’affidabilità in politica internazionale di alcune delle forze politiche in lizza. È che l’avanzata di Kiev sta eliminando un argomento decisivo, finora abbondantemente usato dagli strateghi «de noantri». E cioè che la resistenza ucraina è inutile e dannosa perché destinata all’insuccesso, visto che Putin «può sventrare l’Ucraina come e quando vuole».

Essendo caduto il principio strategico cruciale del filo-putinismo, è rimasto però in piedi quello più pragmatico, che invoca gli interessi dell’economia. Conte dice che non dobbiamo mandare più armi perché siamo in recessione. A parte il fatto che in recessione è la Russia, il cui Pil prima della guerra doveva crescere del 5% e invece chiuderà con un calo previsto tra il meno 4% e il meno 6%, con un’inflazione tra il 12 e il 15% (dati del governo di Mosca e della Banca Centrale russa).

Mentre noi, con tutti i nostri guai, finiremo l’anno con almeno un più 3,4%.

Ma poi, quanti punti di Pil ci regalerebbe una vittoria di Putin?

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12 settembre 2022 (modifica il 12 settembre 2022 | 22:50)

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, 2022-09-12 21:13:00, Da Conte a Salvini, chi ha cambiato posizione dopo la formidabile controffensiva dell’Ucraina contro la Russia (e perché quell’avanzata elimina un argomento decisivo del filo putinismo). La rubrica di Antonio Polito, Antonio Polito

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