di Roberto Gressi
Il rapporto tormentato con il Pd che lo candidò in Europa. L’addio ai dem, la corsa solitaria a Roma, poi il nuovo strappo
C alenda Carlo, nato a Roma il 9 aprile 1973, un metro e ottanta per ottanta chili, segno zodiacale Ariete. Che per chi ci crede vuol dire spontaneo, impulsivo, impaziente, audace, passionale, aggressivo, affetto da precipitazione, assolutismo, esaltazione.
Il padre è lo scrittore Fabio Calenda, la madre è la regista Cristina Comencini, in famiglia uno zio ambasciatore in Libia, India e Nepal e pure consigliere di Pertini. Un prozio paterno, Felice Ippolito, uno dei padri dell’industria nucleare italiana, un nonno, Luigi Comencini, celeberrimo regista, a sua volta sposato con la principessa Giulia Grifeo di Partanna, nobiltà siciliana.
È per tutto questo che non c’è nepotismo alcuno quando il nonno lo chiama, undicenne, a recitare insieme alla madre, nello sceneggiato Cuore, tratto dal libro di Edmondo De Amicis. Perché la parte di quel bambino di terza media, nella classe più famosa e variegata d’Italia, è assolutamente la sua. Enrico Bottini, rampollino di una famiglia borghese, suo padre è ingegnere e lui avrà comunque la possibilità di continuare gli studi. È un bambino comune, non va male a scuola ma nemmeno è abbastanza bravo da meritare delle medaglie. Riceve un’educazione infarcita di valori e lui stesso ha sempre buoni propositi, però è perennemente invidioso, vagamente pavido e adora Garrone, che lo difende. Però a Calenda-Bottini lasciano il bel visino ma tolgono la voce, sarà doppiato da Giorgio Borghetti. E allora basta con il fare l’attore afono, qui urge un ruolo da protagonista.
Laurea in Giurisprudenza alla Sapienza con 107, un filo sotto l’eccellenza, un lavoro alla Ferrari e poi a Sky, assistente del presidente di Confindustria con Luca Cordero di Montezemolo, viceministro allo Sviluppo economico con Enrico Letta e Matteo Renzi, poi ministro con Renzi e Paolo Gentiloni, parlamentare europeo con una valanga di preferenze ma nella lista del Pd e poi, finalmente, segretario di Azione. Basta stare in qualche modo sotto padrone, ora è lui, Calenda con la sua creatura, l’arbitro assoluto del bene e del male.
Definire tormentato il suo rapporto con il Pd sarebbe perlomeno un eufemismo. Per lo più lo vede dalla parte di Lucy van Pelt che tiene fermo il pallone davanti al segretario-Charlie Brown di turno. Che lo sa che gli sarà sottratto all’ultimo secondo, ma non resiste all’idea di calciarlo e finisce regolarmente a gamba all’aria. Prende la tessera del Pd nel 2018 e la fa a pezzetti poco dopo. Vola a Strasburgo con i dem e li molla quando Nicola Zingaretti favorisce la nascita del governo con i Cinque Stelle, partecipa a un estenuante tira e molla con il Partito democratico sulla candidatura a sindaco di Roma, con lui che li insulta e loro che insistono: dai Carlo, guidaci tu. Fino all’inevitabile epilogo. Corsa solitaria, niente, nemmeno il ballottaggio, ma un terzo posto tra gli applausi che gli conferma una certezza: terzo, come terzo polo, una forza da lui guidata capace di destrutturare centrodestra e centrosinistra e di imporre l’agenda Draghi per la guida del Paese. E se Mario dovesse dire no? Sarebbe un peccato, ma pazienza, un degno sostituto non manca, è Carlo Calenda medesimo.
D’altra parte è o non è «il nuovo eroe della politica italiana» per la rivista Forbes? Ed è lui o non è lui «il politico che usa meglio i social», per la rivista Rolling Stone? Di Twitter è il principe assoluto, lo usa per frustare, blandire, avvertire, insultare, incoraggiare, promuovere e affondare, con epigrammi che nemmeno Marziale. Certo, come Jep Gambardella de La grande bellezza è dotato di un superpotere, quello di far fallire le feste, soprattutto quelle apparecchiate da Enrico Letta che lui bolla come «ammucchiate». Le forbici con le quali ha fatto a striscioline l’intesa firmata con il Partito democratico e +Europa hanno fatto indignare Emma Bonino: «Sono incredula, non è serio cambiare opinione ogni tre giorni, soprattutto se si vuole governare». Ma lui ribatte che non fa politica «per andare appresso ad una cosa che sembra il giorno della marmotta, dove c’è una sinistra incasinata che ha dentro di tutto: dai comunisti alla Bonino».
Enrico Letta si ripropone ora la congiura del silenzio, e dopo averlo bollato con: «Non ha onorato la parola data, che promesse può fare agli italiani?» punta a fare la sua campagna elettorale evitando di ingarellarsi in un eterno ping pong di rasoiate con lui.
Ma Carlo non se ne cura. Ha di fronte un dilemma ben più importante: firme o non firme? Perché correre da solo vuol dire raccogliere da un minimo di 750 a un massimo di 2.000 sottoscrizioni per ogni collegio, impresa faticosa sotto il sole d’agosto. E allora una soluzione forse c’è, ma non è gratis. Matteo Renzi spinge per l’alleanza e lui le firme di Italia viva, da portare in dote, ce le ha. In più promette, in questo caso, un risultato a due cifre per il terzo polo centrista, roba mica da poco, che può cambiare gli equilibri.
Certo Calenda dovrebbe prendersi nelle liste, oltre a Renzi medesimo, anche Maria Elena Boschi, Francesco Bonifazi, Teresa Bellanova e Elena Bonetti. E fidarsi. Perché il canto della sirena è soave, ma poi i marinai sotto incantesimo in genere vengono divorati. E quindi ci attendono altre avvincenti puntate, con l’Italia che si divide in due in attesa del 22 agosto. Una metà aspetta la presentazione delle liste, l’altra metà attende con impazienza, nello stesso giorno, il primo episodio del prequel del Trono di Spade: House of the Dragon, che sempre di una lotta per il potere tratta.
9 agosto 2022 (modifica il 9 agosto 2022 | 01:00)
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, 2022-08-09 05:22:00, Il rapporto tormentato con il Pd che lo candidò in Europa. L’addio ai dem, la corsa solitaria a Roma, poi il nuovo strappo, Roberto Gressi