Arnaldo Benini: «Il libero arbitrio è un’illusione, ma ha salvato la nostra specie»

di Giancarlo Dimaggio

Prima di compiere un’azione volontaria, il segnale cerebrale era già partito (in assenza quindi di volontà): «Noi sentiamo di volere qualcosa che era già accaduto» spiega il neurologo. Ha dunque senso parlare di «morale» e di «responsabilità»? Uno psicoterapeuta indaga

Siete convinti di scegliere, di essere autori delle vostre decisioni. Agenti che deliberano, portatori di una volontà a tratti ferma a tratti ondivaga, ma oltre ogni ragionevole dubbio, libera. Non è il principio su cui si fonda la società civile? La libertà di scelta e, di conseguenza, la responsabilità per le nostre imprese e misfatti? Siete convinti? Allora segnatevi un nome: Benjamin Libet. È il neuroscienziato che ha disegnato gli esperimenti del 1983 che mettono in crisi il libero arbitrio: svelano che prima di compiere un’azione volontaria il segnale cerebrale che muoverà il nostro dito era già partito, in assenza di volontà. Noi sentiamo di volere qualcosa che è già accaduto. Libet ha avuto un precursore e dei successori. Me ne parla Arnaldo Benini, neurochirurgo e neurologo.

«SE LA CERTEZZA DI ESSERE NOI GLI ARTEFICI DEGLI ATTI VOLONTARI È COSÌ FORTE (ANCHE SE NON VERA) È PERCHÉ CI PORTA UN VANTAGGIO EVOLUTIVO»

Lei ha una posizione netta: la libera volontà non esiste. Ci illudiamo di decidere, ma la realtà è che agiamo e poi ci convinciamo di averlo voluto. Qual è il dato scientifico più solido a sostegno di quest’idea?
«L’esperimento fondamentale della biologia della volontà è di Stanislas Dehaene e Jean-Pierre Changeux. Ogni evento della coscienza, e quindi anche volontà e motivazione, è preceduto dall’attività di aree cerebrali specifiche. Questo dato, dopo la scoperta di Kornhuber (è il precursore di Libet, ha scoperto il potenziale di prontezza, un segnale che appare all’elletroencefalogramma prima di un movimento volontario, ndr ) nel 1965, è stato confermato con tecniche sempre più attendibili. L’area specifica s’attiva prima che le aree dell’autocoscienza ne siano informate, cioè prima della consapevolezza. Dehaene e Changeux hanno dimostrato nel 2014 che se quell’area attivata è spenta con un’innocua applicazione magnetica transcranica prima che raggiunga le aree dell’autocoscienza, non avviene nulla: nessuna consapevolezza di voler far qualcosa e il qualcosa non avviene. Tutto sembra dipendere dall’attività nervosa spontanea che precede la consapevolezza. Sembra, perché il dato è forte, ma non definitivo. Potrebbe essere che quell’attività nervosa accompagni, ma non provochi la scelta della volontà».

Al di là della posizione scientifica, qual è il suo sentire? Lei preferisce un universo in cui la libera volontà esiste o uno in cui siamo agiti dai nostri meccanismi inconsci? Io vorrei credere alla libera volontà, ma sono scettico.
«Dell’ambivalenza fra il dato della scienza, secondo il quale la volontà dipende dall’attività elettrochimica del cervello e il sentire soggettivo che siamo liberi di scegliere si è occupato il neuropsicologo Daniel Wegner: secondo la biologia evolutiva le caratteristiche di tutti gli esseri viventi dipendono da modificazioni casuali dei geni. La scelta di quale variazione prevarrà dipende dalle necessità della specie. La nostra certezza di essere gli artefici degli atti volontari è talmente forte e universale (anche se non vera) che deve essere basata su un dato strutturale dell’attività cerebrale, selezionato per i vantaggi che porta alla specie. Wegner ha identificato nell’attività cerebrale spontanea che precede un evento sentito come “voluto” il meccanismo nervoso dell’effimera consapevolezza. Esso coinvolge le aree della razionalità, dell’emotività e della moralità. L’attività di queste aree, che Wegner chiama epifenomeno, è benefica perché ci fa sentire responsabili di ciò che intendiamo fare. Il contenuto morale di ogni decisione ha verosimilmente salvato la specie umana dall’autodistruzione. La biologia evolutiva spiega la violenza e la crudeltà umane come conseguenze, trasmesse dai geni, della violenza necessaria a prevalere nel mondo animale, nonostante la nostra fragilità fisica».

«SE LA DECISIONE, DALLA PIÙ BANALE ALLA PIÙ ESISTENZIALE, NON È PRESA DALLA MATERIA DEL CERVELLO, DA CHE COSA E DA CHI, ALLORA?»

Gli esperimenti che sembrano negare l’esistenza della libera volontà riguardano decisioni semplici: muovere un dito, decidere se aggiungere o sottrarre una cifra a una somma data. I risultati sono bellissimi: gli sperimentatori vedono nella risonanza magnetica funzionale cosa la persona deciderà prima che lo sappia. Ma il filosofo Gregg Caruso (la sua intervista è uscita su 7 del 3 giugno scorso, ndr ) mi ha messo la pulce nell’orecchio, pur non credendo neanche lui nella libera volontà: come possiamo sapere se l’assenza di libero arbitrio vale per decisioni più complesse? Mi devo sposare o no? Mi sposo in chiesa, come si aspetta la mia famiglia, o in comune, come vorrei io? Rinuncerò alle bomboniere chiedendo donazioni in beneficenza, sapendo però che così scontenterò zia Concetta?
«La domanda è generale: se la decisione, dalla più banale alla più esistenziale, non è presa dalla materia del cervello, da che cosa, e da chi, allora? Il dilemma è, in fondo, abbastanza lineare: dal cervello o dall’anima?».

Per Antonio Damasio in decisioni del genere il ragionamento cosciente è accessorio, le prendiamo sulla base della coloritura emotiva di una scena, il “marcatore somatico”. Se la delusione di zia Concetta ha un colore emotivo intollerabile, farò le bomboniere. Esiste un ruolo per il libero arbitrio in queste decisioni? Seguendo Damasio, anche qui si tratta di decisioni prese a livello preconscio.
«A tutte le decisioni contribuiscono molte aree cerebrali, a seconda del loro carattere. Razionalità ed emotività concorrono a caratterizzare le scelte della volontà, che possono cambiare col tempo e con le circostanze».

Alla fine, la sensazione di libera volontà, a che serve? Lei la definisce un epifenomeno. Dovrebbe fondare morale e legge, che però, come lei argomenta, funzionano poco: la guerra in Ucraina, le stragi nelle scuole americane. Dal suo libro l’illusione del controllo cosciente delle decisioni sembrerebbe poco più che un accessorio.
«È un accessorio indispensabile e ultrabenefico che ha, finora, salvato la nostra specie. Nel corso dell’evoluzione è emersa ed è stata selezionata non solo la tremenda tendenza al male, che da sempre rende la vita per la maggioranza dell’umanità un calvario, ma anche la disposizione all’altruismo e al bene. Ciò ha salvato e salva l’umanità da sé stessa».

Alcune decisioni richiedono un carico importante della memoria di lavoro, capacità di calcolo delle alternative, del rapporto costibenefici. Sono decisioni prese in uno spazio mentale che esiste solo nel dominio della coscienza e qui, forse, potremmo ancora pensare al libero arbitrio.
«L’alternativa è fra cervello o anima che decidono. Non ci sono alternative diverse».

Nel suo libro non ne parla, ma glielo chiedo lo stesso: non c’è il rischio di riduzionismo nell’ancorare tutto agli stati cerebrali? Che ruolo attribuisce alla cognizione? Da psicoterapeuta lavoro per modificare i processi cognitivo-affettivi e non direttamente gli stati cerebrali, di solito funziona.
«La cognizione, la percezione, la riflessione, gli affetti, le ansie, gli odi e le gelosie cambiano la struttura della corteccia cerebrale, quindi il modo di pensare, decidere e agire. La psicoterapia funziona se e quando modifica in senso positivo la materia del cervello. Se si vuole attenuare la banalità dell’orrendo male della disgraziata umanità altro non c’è che investire nell’educazione, dai primi anni della vita».

In vari passaggi del libro ho avvertito un tono risentito: ce l’ha con i filosofi e con la religione?
«Non si può avere, dei filosofi che trattano l’arbitrio e la volontà, una buona opinione. Con i loro complicati ragionamenti su determinismo, indeterminismo e compatibilismo circa il libero arbitrio non hanno chiarito nulla (il determinismo implica che eventi del passato e leggi della natura daranno luogo a un solo futuro possibile; l’indeterminismo, va da sé, sostiene che il futuro non è dato; per il compatibilismo anche se l’universo è deterministico il libero arbitrio è possibile, ndr ). Ci sono eccezioni, s’intende. Nel libro ho citato due filosofi contemporanei che hanno scritto cose ragionevoli, il californiano Mark Balaguer e Gianni Vattimo. Delle religioni, che come componenti dell’esistenza meritano rispetto, mi mette in difficoltà la convinzione di sapere tutto del mondo e della vita, anche se non spiegano nulla».

«NON CI SONO COLPEVOLI,MA MENTI E CERVELLI CHE NON FUNZIONANO COME DOVREBBERO. DA LORO L’UMANITÀ HA IL DIRITTO DI PROTEGGERSI»

Lei parla per tutto il libro di “male”. Sembra ancorarsi a concetti morali, laddove l’assenza di libero arbitrio ci collocherebbe al di là del bene e del male.
«Il male esiste e determina l’esistenza perché è ancorato nel nostro genoma. Verosimilmente ha salvato la specie nella lotta per la prevalenza, ma rimane un rischio per la specie che la buona volontà, l’altruismo e l’empatia devono contrastare».

Non affronta le implicazioni legali e morali delle idee espresse: se non esiste libera volontà, che ne è dei concetti di legge, carcere, multe e punizioni?
«Una volta che si accettino le risposte delle neuroscienze, vanno cambiate anche la legge morale e quella penale. Non ci sono colpevoli, ma menti e cervelli che non funzionano come dovrebbero. Da loro l’umanità ha il diritto di proteggersi. Pensi al norvegese che ha ucciso un’ottantina di giovani socialisti, deplorando di non averne ucciso 120 perché solo allora avrebbe salvato l’Europa dall’islamizzazione. Che cosa ha deciso un orrore del genere? Che cosa decide le guerre, le stragi nelle scuole e nelle chiese e la banalità del male? Le anime?».

Credo che ciò che Benini chiama male sia poco compatibile con una visione dell’uomo privo di libero arbitrio. Forse per male intende nient’altro che il comportamento predatorio nella sua crudezza? Concludo la conversazione e non ho sollevato una questione. Benini ha raccolto, riassunto, resi fruibili studi che dicono come la volontà appaia dopo una decisione che il cervello ha preso, senza che la coscienza abbia avuto un ruolo. Ma la coscienza, sappiamo, non è riducibile al cervello isolato. Se un neonato fronteggia troppo a lungo il volto immobile della madre si irrita, si disorienta e si spegne. Gli esperimenti di isolamento sensoriale dimostrano che la mente, priva del contatto con altre menti, si disintegra. La coscienza nasce e si mantiene nella comunicazione, nello scambio con l’altro, qualcosa di irriducibile al singolo cervello e che appartiene a due menti messe in rete. In quella danza interattiva può essere annidato un residuo vivente di libero arbitrio?

5 agosto 2022 (modifica il 5 agosto 2022 | 07:31)

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, 2022-08-05 05:32:00, Prima di compiere un’azione volontaria, il segnale cerebrale era già partito (in assenza quindi di volontà): «Noi sentiamo di volere qualcosa che era già accaduto» spiega il neurologo. Ha dunque senso parlare di «morale» e di «responsabilità»? Uno psicoterapeuta indaga, Giancarlo Dimaggio

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