Zelensky, forza e dolore: i discorsi del presidente ucraino

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di Walter VeltroniNei suoi interventi dopo l’invasione russa il leader ucraino ha agito su due tasti: l’orgoglio nazionale per favorire la mobilitazione e la pressione sull’opinione pubblica internazionale Pubblichiamo la prefazione di Walter Veltroni al volume «Combatteremo fino alla fine», edito da Chiarelettere, che raccoglie 33 discorsi del presidente ucraino Volodymyr Zelensky dall’inizio dell’invasione russa. Il libro, curato da Massimiliano Melley, contiene anche un intervento del filosofo Usa Michael Walzer. Parte dei proventi andrà al fondo creato dal governo ucraino per la ricostruzione del Paese. Mentre scrivo queste note non so, nessuno sa, quale sarà l’esito di questa guerra, spaventosa come tutte le guerre, nella quale è precipitata, da un giorno di febbraio, non solo l’Ucraina ma l’intera Europa. Una cosa è certa: non si tratta di un «conflitto» al quale si possa guardare con l’olimpico distacco di un giudice di sedia del tennis. È una guerra di aggressione. Fino alla seconda decade di febbraio del 2022 nelle case di Kiev, di Mariupol, di Kharkiv la sera si accendevano luce e televisione, si allestiva la tavola e le persone parlavano del più e del meno. Ora quelle stesse case, quaranta giorni dopo, sono devastate dai bombardamenti, e sono vuote. Non si sentono il rumore della tv né le parole leggere di una famiglia riunita. C’è solo silenzio. Ci sono case senza gente e gente senza case. I nostri occhi hanno visto bambini sperduti, anziani atterriti, corpi senza vita, le mani legate e gli occhi bendati. Abbiamo visto tornare le fosse comuni e un carro armato sparare per divertimento su un povero cristo in bicicletta. Sappiamo di ragazzi russi alla prima esperienza militare mandati a morire e di professionisti impegnati a saccheggiare case e stuprare ragazze. È la guerra, la più spaventosa delle condizioni in cui un essere umano possa trovarsi. Ma questa guerra è stata scatenata a freddo per cancellare un Paese, un popolo, un’identità di cui si è negata unilateralmente l’esistenza. Invadendo quella libera nazione e costringendo milioni di esseri umani a lasciare la loro vita non si voleva, da parte di Putin, solo annettere un territorio, inseguendo la nostalgia della Grande Russia. Si voleva anche dire al mondo che le regole della convivenza sono saltate, che le parole e la diplomazia non contano nulla, che è la forza, solo la forza, la regolatrice delle relazioni internazionali, che è la logica delle armi la matita che ora disegna i confini. E, soprattutto, che la libertà e la democrazia sono utensili novecenteschi ai quali il nuovo millennio deve sostituire l’autocrazia. Populismo, sovranismo e riduzione della complessità puntano a creare le condizioni perché si affermi, nel governo della cosa pubblica, il potere esclusivo di un uomo. Antiche pulsioni che, riverniciate, vengono indicate come le soluzioni alle fragilità delle democrazie che faticano a mettersi al passo di una società veloce, famelica di decisioni e in costante mutazione. Ma questo disegno, già tristemente conosciuto nel Novecento, non è finora riuscito a realizzarsi. Si pensava a una guerra lampo, alla resa incondizionata del popolo ucraino che avrebbe cosparso di fiori gli invasori, che l’Europa e l’Occidente avrebbero adottato la sonnolenta reazione di sempre: un comunicato di biasimo pubblico e via. Non è andata così, fin qui. Per una ragione su tutte. Gli ucraini non si sono piegati, non hanno malinconicamente constatato la obiettiva sproporzione di armi e potenza militare tra loro e gli invasori. No, hanno reagito, mostrando determinazione e organizzazione. Ma, in primo luogo, mettendo in campo una incessante iniziativa politica e diplomatica. Il presidente Zelensky ha agito su due tasti. Il primo è l’orgoglio nazionale che doveva diventare mobilitazione popolare, ragione capace di far separare i padri dai figli, i mariti dalle mogli. Gli uni a combattere per la nazione, gli altri a cercare riparo e salvezza. Perché questo avvenga — è qualcosa di enorme — bisogna risvegliare sentimenti profondi in ciascun cittadino. Il secondo tasto è stato il costante premere sulle cancellerie e sull’opinione pubblica internazionale. Zelensky sapeva che senza un sostegno esterno la causa del suo popolo sarebbe stata sconfitta. Come si legge in uno dei primi discorsi pubblicati in questo volume, ha rifiutato l’idea della fuga, di un sicuro esilio. È restato lì, sfidando i propositi di una sua eliminazione, parlando a parlamenti e manifestazioni popolari, all’Onu e alla Nato. Queste pagine raccontano dei suoi sforzi coraggiosi e intelligenti. Era un comico ed è diventato un sapiente politico. Talvolta accade il contrario. Solo il tempo ci dirà se queste parole, cariche di forza e dolore, sono state in grado di raggiungere il loro obiettivo ultimo. La pace, la convivenza, la salvezza del popolo ucraino. 8 maggio 2022 (modifica il 8 maggio 2022 | 07:48) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-08 07:05:00, Nei suoi interventi dopo l’invasione russa il leader ucraino ha agito su due tasti: l’orgoglio nazionale per favorire la mobilitazione e la pressione sull’opinione pubblica internazionale, Walter Veltroni

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