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Volti, storie (e voci) degli artisti d’Ucraina: «Noi esistiamo, andarcene sarebbe diserzione»

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di Paolo Giordano Maria Kozyrenko: «Mi sento esposta a una doppia minaccia. La prima riguarda tutti: è quella dei bombardamenti. La seconda è di essere uccisa in quanto intellettuale. Sento le bombe, sono di tipi diversi. Non le distinguo. Ma non me ne vado: sarebbe una diserzione»

C’è un pregiudizio silenzioso che accompagna la nostra apprensione per la guerra. Un pregiudizio che fa molto comodo a Vladimir Putin, del quale infatti era intriso il discorso con cui ha inaugurato l’invasione
. L’idea che una cultura ucraina non esista davvero in sé e per sé, che essa sia al massimo un sottoinsieme o una derivazione di quella russa. E se non esiste una cultura ucraina, allora, forse non esiste neppure un vero stato.

La storia di un PaeseIl nostro immaginario sull’Ucraina è povero. Risale a qualche pubblicità infelice con contadine corpulente e foulard avvolti in testa. Poi Chernobyl, fame e arretratezza. Conosciamo i classici russi, almeno per sentito dire, e ce ne vantiamo, ma non gli scrittori ucraini contemporanei (e magari ci vantiamo anche di quello). Eppure il limite è tutto nostro. Non si tratta di bandire stupidamente i classici russi dai nostri corsi universitari, ma di fare uno scatto di maturità nel riconoscere che esiste una cultura specifica dell’Ucraina, che esiste una scena attuale — a Kiev, a Leopoli, a Kharkiv, a Odessa —, che essa è il punto di arrivo di una tradizione antica, e che oggi dialoga strettamente con la nostra. Perché se noi per primi non siamo capaci di emanciparci dal pregiudizio che l’Ucraina sia «un pezzo dell’ex Unione Sovietica», come speriamo che un pensiero di libertà si arrampichi su per i gradi di potere e diventi infine azione?

I nuovi lavoriAlla fiera del libro di Leopoli, nel 2016, ho conosciuto Kateryna Mihalistyna. Prima di lasciarci mi aveva regalato alcuni dei suoi libri per l’infanzia. Adesso mi dice che ha perso l’abilità e la volontà di disegnare. Ma fa tutto quello che serve: annunciare gli orari dei treni alla stazione di Kiev, tradurre in ucraino i foglietti dei farmaci antiemorragici. E aiutare me a radunare in tempo record il maggior numero possibile di scrittori e artisti ucraini che hanno ancora una connessione internet, per parlare con loro, per poter scrivere qui i loro nomi.

La riunione virtuale
Li incontro su Zoom, uno per volta o a gruppi, per un giorno intero. Hanno in comune di essere giovani, ucraini, e di aver passato una notte schifosa. L’ennesima, anche se questa lo è stata in particolare, per via degli scontri attorno alla centrale di Zaporizhzhia
. «Mi sono imposto di controllare le news solo tre volte al giorno», dice Ostap Slyvynsky, «perché è diventato un gesto compulsivo. Ma stanotte sono rimasto attaccato fino alle cinque. Dopo che sono crollato, è suonato l’allarme e non mi sono svegliato. Non va bene». Come lui, tutti portano nella voce e in faccia i segni delle ore di sonno perse. Hanno la stessa espressione che si vede, a volte, nelle persone dentro gli ospedali.

Sotto le bombeMaria Kozyrenko mi parla da casa sua, a una quindicina di chilometri da Kharkiv. Il suo villaggio per ora è stato risparmiato dalle bombe e i russi non ci sono ancora, ma Maria, il marito e il figlio di undici anni passano quasi tutto il tempo nell’unica stanza senza finestre. Non hanno un rifugio vero e proprio. Fuori, Maria sente le esplosioni. «Sono bombe di tipi diversi, ma non so distinguerle, perché non sono un’esperta di armi». No, infatti Maria Kozyrenko è una pittrice e una poeta. È molto nota in Ucraina ma non solo, i suoi quadri sono venduti da gallerie internazionali. Nella sua zona, in particolare, è una figura di riferimento, e anche per questo non se n’è andata. «Sarebbe una diserzione». Ci pensa continuamente però, pensa a mandar via almeno il figlio e i nipoti. «Ma dove?».

I treni sono stipati e sulle strade ci sono code interminabili, code ferme, esposte ai bombardamenti. Maria e il marito escono a fare volontariato fra le macchine, portano cibo, ospitano chi ha freddo. Non so dire se sia sul punto di piangere o se si trovi già in un’altra zona della sofferenza, molto più avanzata, dove tutte le emozioni collassano in stanchezza, attesa, disperazione. Nel gennaio 2020, prima della pandemia e dell’invasione, Maria è stata con la famiglia in Martinica. Lì ha realizzato una serie di quadri, The Islands, per la quale ha ricevuto dei premi. Alcune di quelle tele ora sono ammassate nella stanza dove si trova, le riconosco. Spera, tenendole assieme, di proteggerle meglio dai bombardamenti.
Il museo di Maria Primachenko — basta confrontare i loro lavori per capire che si tratta per lei di una maestra — è stato devastato dai russi pochi giorni fa. Se n’è parlato, ma solo per un attimo. Il flusso di notizie in guerra è troppo veloce per soffermarsi. «Mi sento in una doppia minaccia» mi dice ora Maria Kozyrenko. «La prima è quella dei bombardamenti, che riguardano tutti. La seconda è di essere uccisa in quanto intellettuale».

L’eliminazione di massaC’è uno spettro che incombe sulla cultura ucraina infatti, su tutti gli artisti, gli scrittori, i pensatori. Porta il nome di «Executed Renaissance». Tra gli anni venti e trenta del Novecento, la quasi totalità degli intellettuali ucraini venne uccisa da Stalin. Una eliminazione di massa, sistematica, mirata a tutti coloro che cercavano di restituire un’identità al Paese.

La fuga e l’impegnoAnche Victoria Amelina mi parla di quella strage. Il 24 febbraio scorso stava rientrando da una vacanza con la famiglia in Egitto. All’aeroporto li hanno informati che il volo non esisteva più. Sono passati dalla Polonia, e Victoria ha lasciato lì il figlio di dieci anni. Poi ha proseguito da sola per Leopoli. «È difficile stare lontano dall’Ucraina adesso. Sembra di fuggire». Victoria Amelina è una poeta, ma in questi giorni non scrive. «C’è sempre qualcosa di più urgente da fare». Per esempio, il direttore del PEN Ukraine è appena riuscito a lasciare Kiev con la famiglia e lei lo sta aspettando, ha preparato una stanza per accoglierli.

In questa nuova vita, Victoria si occupa di coordinamento degli arrivi umanitari e di munizioni. In quella precedente organizzava un festival letterario a New York. No, non a New York City, ma a New York nel Donetsk, una cittadina di appena diecimila abitanti. L’origine del nome è misteriosa: forse la moglie di uno dei fondatori tedeschi veniva dall’America. A ogni modo Stalin russificò il nome in Novgorodske, ma dal 2021 la città ha ripreso la sua identità originaria. Espropriazioni e riappropriazioni continue, così comuni qui, a partire dalla toponomastica, e infatti il festival aveva come titolo True Stories, True Names. «Era un festival sul fronte. A otto chilometri c’era Horlivka, occupata dai russi. Ma suppongo che d’ora in avanti tutti i festival ucraini saranno sul fronte».

Prima e dopo l’attaccoPrima del 24 febbraio l’Ucraina era un fermento di festival. Incontro un gruppo di registe e produttrici — El
ena Rubashevska, Tetiana Stanieva, Veronika Kryzhna —, si trovano in luoghi diversi, dentro e fuori dal Paese. Fra loro c’è anche una ragazza di vent’anni, Sofia Tymchyshyn, che lavora per una rassegna cinematografica vicino a Leopoli. Ora è andata a Kiev, per aiutare. «Negli ultimi giorni non c’è più molto da mangiare. Ma ieri abbiamo trovato un pacco davanti alla porta. Prima di andarsene, le persone lasciano il cibo avanzato a chi resta». Sofia è così giovane ed esile che è incredibile immaginarla lì. Le chiedo come pensa che andrà, anche se so che è una domanda stupida. «Sono sicura al cento per cento che il nostro esercito ce la farà, dice. Ma abbiamo bisogno della No Fly Zone. In terra possiamo vincere, in cielo no».

La «No fly Zone»È il punto in cui precipitano tutte le discussioni di oggi, il loro pensiero fisso: la No Fly Zone
. Perché solo la copertura aerea fermerebbe i bombardamenti, le perdite massicce di civili, il tempo trascorso sottoterra, il terrore costante. Ma non la concederemo, lo sanno loro, lo so io. L’Ucraina continuerà a essere bombardata per la nostra paura e per la salvaguardia di noi stessi.

Pronti a combattereNemmeno Ostap Slyvynsky sta considerando la possibilità di andarsene da Leopoli. «Al contrario, sto considerando quella di unirmi alle forze di difesa territoriali». Ostap è un poeta e non ha esperienza militare. Nel 2014, dopo l’invasione della Crimea, ha ricevuto la lettera di convocazione nell’esercito, come riserva. «Mi ricordo che psicologicamente ero pronto. Camminavo per le strade e mi congedavo da tutto».

Alla fine non l’hanno chiamato a combattere. «Ma potrebbe succedere fra due o tre giorni». Aspetta la lettera e nel frattempo, come molti, si occupa di logistica, soprattutto di aiutare le persone che vogliono lasciare il Paese. «Nessuno le giudica per questo, mi dice. A meno che non siano uomini fra i diciotto e i sessant’anni». «La letteratura qui ha sempre sopperito a una mancanza di stato. Abbiamo la tradizione di considerare gli scrittori e i poeti delle istituzioni. Non solo morali, anche pedagogiche. I polacchi lo chiamano useful romanticism. Durante la Rivoluzione della Dignità, nel 2014, eravamo continuamente a leggere, a organizzare, a dibattere». Si andava anche al fronte, a recitare le poesie ai soldati, che spesso piangevano. «Ma ora è diverso. Ci sono i carri armati, e c’è una leadership politica».

Le case occupateA casa di Ostap sono accampati giornalisti e fotografi di Kiev e Dnipro. A casa di ognuno, in questo momento, c’è qualcun altro, soprattutto sfollati da est. Gli chiedo della fantasmatica divisione dell’Ucraina in due: quella ovest più europea, quella est più russa. Una delle cose che si dicono. «Smettiamo di parlare di due Ucraine. C’è una sola Ucraina, ed è unita e solidale. Quella divisione è parte della propaganda russa».

La propaganda russaE la propaganda russa è l’argomento che viene fuori più volte in queste conversazioni, dopo la No Fly Zone. La propaganda che sembra aver preparato questa invasione, dentro e attorno, da molto tempo, e che sconfessa in parte l’ipotesi più comoda dell’iniziativa di un pazzo. «È un errore dire che la guerra è iniziata il 24 febbraio. La guerra è iniziata nel 2014, con l’invasione della Crimea. E in tutto questo non c’è nulla di nuovo. Solo la brutalità e la scala sono nuove». Nei manifesti di propaganda dell’Unione Sovietica, si ricorda Ostap, Russia, Ucraina e Bielorussia erano tre fratelli, messi in fila dal più vecchio al più giovane, dal più grande al più piccolo. «Solo adesso in Europa capiscono la fretta di paesi come Polonia e Slovacchia di entrare nella Nato. Noi stiamo pagando il prezzo di una fantasia di neutralità. Ma l’Europa è l’unica scelta per l’Ucraina. E viceversa».

Guerra e paceNel frattempo, qui da noi, le varie forme di relativizzazione si vanno chiarendo. Leader politici di destra e filosofi di sinistra si trovano curiosamente alleati nel trattare questo conflitto come se fosse simmetrico, nel rifiuto delle armi e nell’invocazione di una generica pace. Sembrerebbe un eccesso di ingenuità da parte loro, se non fosse che «pace» qui ha un significato preciso: vuol dire resa, sottomissione, scomparsa dell’Ucraina o, come dice Ostap, «assimilazione totale».

I social network
Halyna Kruk ha guardato i social di molti colleghi scrittori e poeti all’estero, anche italiani, ed è rimasta turbata. «Diffondono aspetti di propaganda russa». Nel 2014 una sua poesia è stata recitata al Parlamento europeo e oggi suona come un’accusa ancora più grave: Perdonali, Europa, e non essere sorpresa. / Noi siamo come animali qui, / Siamo cacciati dalle pallottole come lupi rabbiosi. Il marito di Halyna è un fisico e un avvocato, ma al momento combatte in una postazione imprecisata, non è concesso neanche a lei sapere dove. Halyna insegna Letteratura ucraina medievale e nemmeno per lei ci sono molte novità sul fronte propaganda: «La Russia prova da sempre a negare l’esistenza di una lingua ucraina, di uno stato ucraino, di una cultura ucraina».

Sottomissione culturaleLe tre forme di sottomissione si muovono in parallelo, si alimentano a vicenda. «Prima del 2014 quasi tutto il contenuto culturale era in russo», mi dice Marjana Savka. Per questo ha fondato, insieme al marito, la casa editrice The Old Lion, una delle prime a pubblicare solo in ucraino. Sono partiti con i libri per bambini, ora traducono ed esportano ogni genere di letteratura, hanno più di cento dipendenti. «L’imperialismo culturale russo è ovunque, mi dice. Era visibile anche alla fiera dei libri di Bologna, dove lo stand russo aveva questa insegna altissima, che sovrastava le altre». L’ufficio della Old Lion, oggi, è un centro di smistamento di medicinali. Anche Marjana è una poeta. E anche lei compare nell’antologia Words for War dell’Academic Studies Press, insieme a Lyubov Yakimchuck, a Kateryna Kalytko, a Marianna Kiyanovska. Le loro poesie sono su internet, tradotte in inglese, si possono leggere. E così i racconti di Andrey Kurkov, di Serhiy Zhadan e Sophia Andrukhovych, nel libro The White Chalk of Days.

Una lista da ricordareQuesti sono i nomi. Non tutti i nomi ovviamente. Ma quanti bastano perché nessuno, d’ora in avanti, possa dire di non conoscere gli artisti ucraini. Seguiteli su Facebook, su Instagram, su Twitter. Condividete i loro profili e i loro scritti. Fateli esistere.

6 marzo 2022 (modifica il 6 marzo 2022 | 10:24)
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, 2022-03-06 09:24:00, Maria Kozyrenko: «Mi sento esposta a una doppia minaccia. La prima riguarda tutti: è quella dei bombardamenti. La seconda è di essere uccisa in quanto intellettuale. Sento le bombe, sono di tipi diversi. Non le distinguo. Ma non me ne vado: sarebbe una diserzione», Photo Credit: , Paolo Giordano

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