Ucraina, caccia ai collaborazionisti: «Vanno ricercati, processati e puniti»

di Lorenzo Cremonesi

A Kherson, dove gli ucraini che hanno cambiato casacca sono traditori da stanare. L’avanzata lungo il Dnepr prosegue e taglia fuori circa trentamila soldati russi

ìNelle aree liberate dall’esercito ucraino i cacciatori di ieri sono diventati i ricercati di oggi. Cittadini ucraini, talvolta anche personaggi rilevanti come sindaci e poliziotti, che con l’arrivo dell’esercito di occupazione russa ai primi di marzo decisero di cambiare casacca e collaborare con gli agenti di Mosca. «Per noi sono traditori, in alcuni casi hanno aiutato i nemici a catturare i nostri partigiani e chiunque cercasse di restare attivamente fedele alla resistenza nazionale. Vanno ricercati, processati e puniti», sostengono all’unisono i comandanti delle unità ucraine che stanno progressivamente avanzando lungo il Dnepr con l’intenzione sempre più evidente di tagliare la fuga ai circa 30.000 soldati russi attestati nella città di Kherson e nella regione a ovest del grande fiume. Con loro abbiamo trascorso una decina di giorni anche sulle prime linee di combattimento oltre il villaggio di Dudchany ed è stato evidente che la questione della caccia ai «collaborazionisti» è destinata a crescere in parallelo ai successi militari ucraini.

«Assieme ai soldati delle unità d’assalto arrivano anche le pattuglie dell’intelligence composte da gente locale e ufficiali inviati direttamente da Kiev. Quasi sempre hanno già in mano liste di nomi, numeri telefonici, indirizzi e sanno chi cercare. Comunque, passano anche a chiedere informazioni ai pochi tra noi che sono rimasti. Siamo noi gli unici in grado di fornire aggiornamenti precisi», ci dice tra i tanti Oleg Potapov, 32 anni, residente nel villaggio di Mirolyubivka. Capita che la polizia fermi i ricercati solo per poche ore. L’ordine dai comandi centrali è di stare bene attenti a non confondere coloro che per quieto vivere hanno benevolmente convissuto con gli occupanti, che in molti casi erano ucraini delle repubbliche autonome filorusse di Donetsk e Lugansk, con invece spie e attivisti apertamente schierati con Mosca. «Il ristorante che cucinava per i soldati russi non va punito, ma il sindaco che volutamente non ha fatto abbattere il monumento con i nomi dei nostri caduti nelle battaglie dal 2014 per facilitare la persecuzione delle loro famiglie certo va sbattuto in cella», spiega Sergei, graduato 26enne delle unità speciali al minuscolo centro urbano di Mylove.

La questione sta aprendo una miriade di tensioni e sospetti che rischiano di avvelenare la festa per la liberazione nelle piccole comunità. «I russi mi hanno catturato e torturato durante le ultime due settimane di marzo. So che avevano delle liste, mi cercavano», spiega il 42enne sindaco di Novooleksandrivka, Aleksander Levechko. Il suo posto venne preso da una ex dipendente della sua municipalità, la 50enne Tatiana Evghenj, che adesso si è data alla macchia. «La stiamo ricercando attivamente. Ma tengo a sottolineare che era davvero una persona ai margini. È stata una costante. I migliori tra noi sono subito scappati nelle zone controllate dal nostro governo, ed erano la maggioranza. I russi hanno trovato sostegno tra i frustrati, i falliti e coloro che prima non contavano nulla perché valevano niente. Avevamo 1.500 abitanti, ne sono rimasti circa 500 e tra questi soltanto 25 sono fuggiti coi russi in ritirata», racconta Levechko, che ora è tornato al suo ufficio.

L’avvicinarsi dei bombardamenti al capoluogo del Kherson rilancia il tema. Prima della guerra era abitato da oltre 320.000 persone, pare ne siano rimaste meno di 100.000, che ora i russi vorrebbero spostare in massa sulla riva occidentale del Dnepr. Kiev mira a catturare al più presto Vladimir Saldo, l’ex maggiore dell’esercito che Mosca aveva nominato alla carica di governatore regionale, assieme al suo vice, Kirill Stremousov. Sono loro che, coadiuvati da una pletora di amministratori locali, hanno oliato la macchina dell’occupazione sino al referendum farsa il mese scorso e, il 30 settembre, l’annuncio in pompa magna di Putin dell’annessione alla «madre russa» di Kherson, Zaporizhzhia, Lugansk e Donetsk. Ormai l’intero edificio ideato dal Cremlino si sta sfaldando, però nelle zone liberate c’è chi pretende giustizia. Lo chiede ad alta voce dalle rovine della sua azienda agricola di Mirolyubivka la 48enne Alona Kovalec. «Mio marito Oleh era un partigiano. Ogni sera segnalava col telefono le postazioni gps dei russi alle nostre artiglierie. Ma qui tra noi c’erano tante spie. So chi sono, so anche che avevano spifferato i nostri nomi agli agenti russi. Così, l’hanno catturato, torturato e ucciso», dice d’un fiato. Per lei la liberazione deve ancora arrivare.

19 ottobre 2022 (modifica il 19 ottobre 2022 | 23:21)

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, 2022-10-19 21:22:00, A Kherson, dove gli ucraini che hanno cambiato casacca sono traditori da stanare. L’avanzata lungo il Dnepr prosegue e taglia fuori circa trentamila soldati russi, Lorenzo Cremonesi

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