di Paolo Valentino
Parla il direttore di uno dei pensatoi del Cremlino: «Noi in guerra contro la Nato. Conquista del Donbass e poi accordo con l’Ucraina. Io la penso così ma c’è chi ha un’idea più massimalista»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO Due scuole di pensiero si confrontano al Cremlino su cosa fare in Ucraina . I fautori della linea dura spingono per una guerra a oltranza, che dopo il Donbass, punti su Odessa e il resto del Sud per aprirsi un corridoio fino alla Transnistria, il territorio russofono che si è ribellato alla Moldavia. Gli altri cercano di convincere Vladimir Putin a chiudere la partita con una vittoria decisiva nelle regioni di Lugansk e Donetsk, per poi imporre a Kiev le proprie condizioni di pace. Lo dice al Corriere Dmitrij Suslov, che dirige il Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia, uno dei pensatoi del Cremlino.
Due mesi fa, il 25 febbraio, lei mi ha detto che l’Ucraina sarebbe implosa e che l’obiettivo dell’azione russa era il regime-change a Kiev. È andata diversamente. Cos’è successo?
«Non c’è dubbio che il cambio di regime fosse nei piani originali dietro l’invasione. Non ha funzionato. E oggi non è più considerato fattibile o perseguibile dalla Russia. L’assunzione iniziale, che l’Ucraina sarebbe crollata come un castello di carte senza opporre resistenza, si è rivelata errata. L’esercito ucraino ha opposto una resistenza impressionante, aiutato massicciamente dall’Ovest. Anzi direi che questa è la ragione principale della capacità di resistere così a lungo. L’esercito russo non sta combattendo contro l’Ucraina ma contro la Nato, che non solo consegna armi e munizioni, ma fornisce informazioni preziose di intelligence».
Non era prevedibile?
«Non saprei dire. Io non ero fra coloro che dall’inizio hanno appoggiato questa operazione e fino al 24 febbraio non la consideravo probabile. Pensavo che fosse molto difficile per la Russia centrare tutti gli obiettivi formulati, incluso il cambio di regime. Certo ci sono state molte cose che la Russia non ha visto in anticipo, per esempio il livello delle sanzioni. Il premier e il ministro degli Esteri dissero chiaramente che non potevano neppure immaginare il congelamento delle riserve di valuta della Russia all’estero, cosa che è puntualmente successa. Oppure l’esclusione dallo Swift. Probabilmente c’è stato anche un errore di calcolo sulle dimensioni della reazione militare dell’Occidente in aiuto dell’Ucraina. Oggi sappiamo che gran parte del fuoco ucraino viene organizzato e puntato dagli occidentali. Detto altrimenti, è la Nato che spara sulle truppe russe, attraverso le sue armi operate dagli ucraini».
Compreso l’affondamento della Moskwa?
«Non lo so. Il governo russo ufficialmente non conferma la versione ucraina, cioè di un missile sparato dietro le indicazioni della Nato».
Ma ora che è caduta Mariupol, cosa vuole Putin? Di cos’ha bisogno per dichiarare vittoria?
«Tutta l’Ucraina non è più un’opzione. Bisognerebbe occupare l’intero Paese e questo va oltre le risorse che il Cremlino è disposto ad allocare in questa guerra. Ricordo che la Russia sta impiegando risorse limitate in Ucraina. Le ragioni sono molteplici, soprattutto la situazione politica ed economica interna. In ogni caso il fatto che così tanti politici occidentali vanno a Kiev, da ultimo Charles Michel, segnala che ci dev’essere stato un accordo che la Russia non tornerà ad attaccare la capitale».
E quindi, qual è il nuovo obiettivo?
«Non c’è consenso in questo momento. Ci sono due scuole di pensiero, ma il presidente non ha ancora scelto. La prima, che definirei massimalista, dice che occorre infliggere una sconfitta pesante all’Ucraina nel Donbass e poi occupare la restante parte meridionale del Paese, incluse Odessa e Nicolaev, tagliandone l’accesso al mare e stabilendo una connessione diretta con la Transnistria, dove c’è anche un’altra popolazione russofona oppressa. La seconda scuola, alla quale appartengo, obietta che questo richiederebbe molte più risorse, prolungherebbe la guerra e renderebbe più difficile per l’Ucraina e l’Occidente accettare l’occupazione russa del Sud».
E cosa proponete in alternativa?
«Che dopo una decisiva vittoria in Donbass dovremmo concludere un accordo di pace con l’Ucraina, basato sui termini della nostra offerta originaria: neutralità, quindi rinuncia alla Nato; demilitarizzazione inclusi limiti alla cooperazione strategica con l’Occidente e al tipo e quantità di armamenti in possesso dell’esercito ucraino; status della lingua russa; bando dei partiti di estrema destra nazionalista; riconoscimento ufficiale dell’annessione della Crimea e dell’indipendenza del Donbass. Odesssa e Nikoalev rimarrebbero ucraine e i russi si ritirerebbero dal territorio di Kherson, attualmente occupato. Dal nostro punto di vista, se la vittoria russa in Donbass è inequivocabile, sarebbe più facile per Kiev accettare questo accordo. L’alternativa sarebbe il proseguimento dell’offensiva militare e ulteriori perdite territoriali. Invece così l’Ucraina non perderebbe nulla rispetto allo status quo in atto dal 2014».
Che ruolo avrebbe l’Occidente nell’intesa?
«Ovviamente l’Occidente dovrebbe accettare l’accordo, di cui sarebbe parte integrante una parziale abolizione delle sanzioni, e riconoscere le nuove frontiere. Noi pensiamo che sia interesse della Russia finire questa guerra vittoriosamente ma anche il più rapidamente possibile. La scuola massimalista invece non ha paura di una guerra protratta, non cerca alcun riconoscimento dall’Occidente, non pensa sia possibile abolire le sanzioni».
Gli Stati Uniti dovrebbero partecipare al negoziato?
«Dovrebbero esserne implicitamente parte, riconoscere l’accordo e quindi riconoscere la Crimea russa e il Donbass indipendente. Dire pubblicamente che Kiev non sarà mai parte della Nato. Senza questo non potrà esserci accordo».
Se prevalesse la seconda scuola di pensiero, sarebbe necessario un vertice Biden-Putin?
«Non è garantito al 100% che prevarrà questo scenario ma anche in quel caso un vertice sarebbe difficile immaginarlo. Ci vorrà tempo perché i rapporti tra Mosca e Washington riprendano un dialogo su temi come controllo degli armamenti, sicurezza europea, regole d’ingaggio. Non ho dubbi che succederà, nessuno vuole la Terza Guerra Mondiale. Ma non sarà domani. E nei prossimi mesi, la frontiera Russia-Nato raddoppierà con l’ingresso di Finlandia e Svezia».
Voi come reagirete?
«Abbiamo già detto che se entrassero, risponderemmo puntando armi nucleari anche contro di loro».
Chi farebbe da mediatore nella trattativa?
«Non c’è bisogno di un negoziatore. Ci sono contatti diretti. Ma simultaneamente dobbiamo essere sicuri che le parti terze, cioè gli occidentali accettino i termini dell’intesa».
Si discute molto in questi giorni sulla consegna di armi pesanti, come carri armati, alle forze ucraine. Cosa cambierebbe?
«Ci sarebbe un cambiamento sostanziale nell’atteggiamento della Russia. All’inizio era un conflitto per Ucraina. Ma ora è una guerra per la Russia. In ballo è la sopravvivenza della Russia come grande potenza e il suo status negli affari internazionali. Tutti in Russia sono convinti che stiamo combattendo una guerra contro l’Occidente. Non c’è altra opzione che la vittoria. Se perdessimo, sarebbe peggio della fine dell’Urss nel 1991. Ecco perché l’impatto delle armi fornite a Kiev e della retorica occidentali è già stato di alzare la posta in gioco, trasformando la natura della guerra. Ora non possiamo perdere».
Sta evocando il rischio di un conflitto nucleare?
«Non ho detto questo. Ho detto che dobbiamo assolutamente vincere in Donbass, che sarà presentata come una vittoria sull’Occidente visto il suo alto grado di coinvolgimento al fianco dell’Ucraina. Diremo al mondo che la Russia è ancora una grande potenza militare. A questo stadio, pensiamo che le armi convenzionali saranno sufficienti allo scopo. Dubito che la Russia prenderà in considerazione l’uso di armi nucleari, che potrebbero invece essere agitate come minaccia nel caso di un’escalation a livello Nato-Russia».
A Bucha sono stati commessi crimini contro l’umanità. Saranno perseguiti?
«La Russia non concorda con la versione che circola in Occidente. Non sappiamo cosa sia veramente successo. Come cittadino russo è difficile immaginare che le forze armate ritirandosi volontariamente abbiano commesso queste atrocità. Perché poi lasciare dietro quelle tracce?».
Ma ci sono prove e testimoni
«Da parte russa ci sono testimoni che dicono che è stata una messinscena. Quanto a perseguirli, la Russia non riconosce la Corte criminale internazionale, neppure gli Usa lo fanno, e dunque non ha alcuna prerogativa per mettere sotto processo la Russia».
Le sanzioni renderanno la Russia più dipendente dalla Cina?
«Penso che sia l’esito probabile. Le sanzioni hanno completamente distrutto i rapporti russo-occidentali. Non c’è più nulla di quanto esisteva dal 1945 in ogni campo: economia, politica, cultura, arte, scienza, rapporti umani. Non s’è mai visto niente di simile in cinque secoli di storia. La reazione nella società russa è forte, ci vorrà una generazione per cancellare lo straniamento e il rigetto dei russi verso l’Occidente: non vogliamo averci più nulla a che fare a tutti i livelli. Parlo di intellettuali, artisti, scienziati, gente comune. Volete cancellare Ciajkovskij? Fate pure. Certo la dipendenza dalla Cina crescerà, è inevitabile. Non mi sorprenderei se alla fine di quest’anno il commercio con Pechino raggiungerà i 200 miliardi di dollari. Proprio per questo dobbiamo vincere in Donbass, non possiamo diventare più dipendenti dalla Cina e allo stesso tempo perdenti. Inoltre, raddoppieremo gli sforzi per intensificare e diversificare i nostri rapporti con altri Paesi non occidentali: l’India, il Vietnam, molti Paesi del Sud Est asiatico, del Medio Oriente, dell’Africa, del Sud America».
Al momento siete abbastanza isolati. Al massimo rimediate delle astensioni all’Onu
«È ridicolo parlare di isolamento della Russia, anche all’interno del G20. Uno degli esiti più importanti a paradossali di questa guerra è di aver dimostrato che il potere dell’Occidente non va oltre l’Occidente».
Come sta Vladimir Putin?
«Leggo che ci sono molte speculazioni in Occidente su questo tema. Non lo so. Non vedo evidenza di problemi di salute quando seguo i suoi incontri».
23 aprile 2022 (modifica il 23 aprile 2022 | 08:38)
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, 2022-04-23 06:16:00, Parla il direttore di uno dei pensatoi del Cremlino: «Noi in guerra contro la Nato. Conquista del Donbass e poi accordo con l’Ucraina. Io la penso così ma c’è chi ha un’idea più massimalista», Paolo Valentino