Studenti in piazza, De Petris contro certi prof: si preoccupano degli abiti indossati a scuola, non dei problemi veri

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Nel terzo venerdì consecutivo di proteste studentesche, si allarga il fronte del sostegno alle iniziative. Sono innumerevoli e di vario stampo le testimonianze di solidarietà nei confronti dei giovani scesi in decine di piazze d’Italia il 18 febbraio: parole di apprezzamento e di comprensione arrivano dalla politica, dai sindacati e da diverse associazioni.
Molto vicina agli studenti si è detta, in particolare, la capogruppo di LeU al Senato Loredana De Petris, che se la prende anche con quegli insegnanti che a suo dire sono troppo sensibili all’apparenza, come l’ombelico scoperto, e non si preoccupano invece delle difficoltà incontrate dai giovani negli ultimi due anni ed anche prima con i tagli all’Istruzione. Il riferimento è alla battuta che ha fatto una docente del liceo Righi di Roma, che ora rischia di essere sottoposta a procedimento disciplinare, a proposito dell’abbigliamento di una studentessa.
“Gli studenti e i giovani in generale – ha detto De Petris – sono stati penalizzati più di chiunque altro dalle chiusure. La scuola, alla prova della pandemia, ha rivelato impietosamente tutti i limiti strutturali del sistema scolastico. Posso capire che a fronte di una situazione del genere le preoccupazioni degli insegnanti per gli abiti indossati a scuola suonino come una beffa intollerabile. Prima di preoccuparsi per l’abbigliamento sarebbe doveroso occuparsi almeno di iniziare a sanare i guasti che si sono accumulati nel corso di decenni”. De Petris dice quindi che agli studenti bisogna “dare risposte concrete, né repressive né paternalistiche”.
Per la parlamentare di Leu, anche “l’alternanza scuola-lavoro si è rivelata essere precisamente quel che noi temevamo e avevamo denunciato sin dall’inizio: bisogna rivederla da capo a piedi perché non è neppur lontanamente accettabile che studenti muoiano mentre lavorano senza neppure essere pagati o mentre vanno e vengono dal luogo di lavoro come è successo la settimana scorsa”.
Sull’argomento si è espressa anche l’eurodeputata del Pd e vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, secondo la quale negli ultimi “due anni di pandemia sono loro”, i giovani, “ad aver pagato uno dei prezzi più alti in termini di accesso e di diritto allo studio, di socialità e crescita esistenziale”.
“Come una mannaia il lockdown si è abbattuto sulle loro fragilità, sulle loro vulnerabilità psicologiche e il risveglio di queste settimane è un ottimo segnale per il Paese”.  Quindi, ha concluso,”ora spetta a noi, non far cadere queste istanze nel vuoto e riallacciare il rapporto con queste generazioni che sono avanti anni luce rispetto a noi su tantissimi temi”.
Per Alessandra Carbonaro, vicecapogruppo del M5s alla Camera, “ragazze e ragazzi alzano la voce per essere ascoltati: chiedono un modello di scuola che nell’avviamento al lavoro ripudi forme di sfruttamento e metta al centro la sicurezza”.
I giovani, ha continuato, “chiedono che si comprenda cosa abbia significato per loro attraversare la pandemia in una fase così delicata della crescita e chiedono che il PNRR sia davvero, concretamente, un’occasione per loro”.
Luca Cangemi, responsabile nazionale Scuola del Partito Comunista, ritiene quello di oggi “un segnale di straordinario valore per l’intera società italiana: non solo – dice – viene spazzata via la rappresentazione falsa di giovani destinati al disimpegno ma gli studenti indicano dei problemi di valore generale”.
Per Cangemi, “il rifiuto sacrosanto di considerare normale la morte “sul lavoro” di Lorenzo e Giuseppe, due studenti di 18 e 16 anni, comporta la denuncia dello scandalo che ha molti nomi (stage, PCTO, alternanza scuola lavoro) ma un’unica sostanza: lo spazio di vita dell’istruzione trasformato in tempo rapinato dal sistema delle imprese, per lucrare sul lavoro gratuito e, soprattutto, per abituare intera generazione allo sfruttamento come destino sociale”.
“La richiesta di dimissioni di Bianchi, rilanciata dalle piazze è giusta e necessaria, non è più tollerabile che la scuola italiana sia guidata da un sergente di Confindustria”, conclude Cangemi.
Anche la Flc-Cgil condivide “le battaglie” studentesche: “da tempo chiediamo al governo che sia eliminata l’obbligatorietà dell’alternanza insieme ad un ripensamento complessivo del modo in cui si è costruito il rapporto tra scuola e lavoro negli ultimi 20 anni”.
“Senza investimenti, senza adeguati percorsi educativi costruiti a partire dalle esigenze e dai contesti delle scuole, l’alternanza se va bene è inutile altrimenti diventa pericolosa: non costruisce utilità sociale ne aumenta le capacità cognitive di chi studia, ma alimenta un mercato del lavoro precario e a bassa qualifica”, dicono ancora dal sindacato della Conoscenza.
La revisione degli stage è un tema sentito anche a livello regionale. “Ci faremo, infatti, tramite delle istanze degli studenti siciliani che produrranno un documento dettagliato, da trasmettere al Ministero dell’Istruzione e alla Conferenza Stato-Regioni, come contributo della Sicilia al processo di revisione in corso delle regole che riguardano i percorsi Pcto”, ha detto l’assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale, Roberto Lagalla, che ha incontrato a Palazzo Orléans una delegazione di studenti medi, impegnati in un corteo in città per manifestare.
L’assessore ha ribadito la necessità di non demonizzare il concetto di alternanza scuola-lavoro, ammettendo però anche che “c’è bisogno di una revisione, che deve partire da alcune condizioni fondamentali: sicurezza e regole precise da fissare a livello nazionale per assicurare responsabilità e coerenza col profilo di studi”. Aspetti che l’assessore regionale discuterà anche con l’Usr per la Sicilia.

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