Giulia e il marito: «La nostra lotta contro la sclerosi multipla»

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di Marco Gasperetti

A Livorno la giovane Aringhieri ha riunito i paralimpici. Le sfide con il marito Marco Voleri, anche lui malato di sclerosi. Il sogno di un’unica Olimpiade e dello sport integrato

Giulia non si arrende mai. Livornese, infermiera specializzata in medicina sportiva, campionessa paralimpica di pallavolo, mamma di un bambino di 7 anni, ha deciso di organizzare «Strabilianti»: il primo Festival dello sport paralimpico che si è concluso a Livorno il 17 settembre. Giulia Aringhieri ha 35 anni e da quando ne aveva 21 sta combattendo contro la sclerosi multipla. Non è sola, con lei c’è il marito Marco Voleri, 47 anni, tenore (ha cantato nei principali teatri italiani, Scala compresa, dove ha studiato), direttore artistico del Festival Mascagni e autore di Sintomi di felicità (Mondadori), un libro straordinario che parla dell’amore per il canto e del coraggio per vincere la malattia.

Di coraggio Giulia e Marco ne hanno da vendere. Perché hanno sfidato (e vinto) con forza e dignità ciò che poteva apparire impossibile. Entrambi per alcuni anni hanno deciso di mantenere segreta la loro malattia. «Giocavo a pallavolo in serie B – racconta Giulia – quando ho iniziato ad avere i primi sintomi e mi hanno diagnosticato la malattia. La sclerosi per me era un fantasma. Era come se non esistesse, l’avevo cancellata anche se appariva sempre più spesso. Non volevo neppure nominarla. Però a volte pensavo: “Ho una patologia neurologica, cronica e degenerativa, adesso sto a casa e butto via la chiave”. Ma avevo la pallavolo, era il mio cordone ombelicale che mi teneva attaccata alla vita». Così Giulia decide di andare avanti. Di non pensare al male oscuro e vivere la vita. Mangiarsela, quasi: «Facevo terapia e continuavo ad allenarmi e giocare a livello agonistico. Avevo cali di prestazioni e trovavo scuse. Mi ricoveravano e raccontavo ad allenatore e compagne di squadra che avevo degli impegni e mi dovevo assentare. E così facevo con tutti. Perché avevo paura ma soprattutto non volevo essere sopraffatta dal pietismo. La pallavolo mi faceva vivere la normalità. Poi…».

L’incontro con l’Aism

Il Poi (da scrivere di rigore con la maiuscola) è un salto di paradigma, cambia la visione di Giulia. La pallavolista che intanto si è iscritta all’università scopre l’Aism, l’Associazione italiana sclerosi multipla. «Mi insegnano ad affrontare la malattia, mi portano a manifestazioni nazionali – continua Giulia – e durante una conferenza incontro Marco che presenta il suo libro. Lui che sarebbe diventato mio marito, aveva avuto il coraggio di fare outing, nonostante fosse un tenore dalle grandi promesse. E poi, cavolo!, era livornese come me. Un segno del destino. Sono diventata pazza anch’io, mi sono aperta, ho raccontato tutto a tutti. E con Marco è arrivato l’amore».

Quando Giulia decide di svelare il suo segreto sta nascendo la squadra paralimpica. «Una mia amica – ricorda – mi dice che sono stata una cretina a non raccontarle della sclerosi e mi convince a fare un provino per la Nazionale paralimpica. Mi prendono, ma continuo a giocare anche nella squadra di volley. Da una parte sto in piedi, dall’altra seduta. E subito mi chiedo per quale motivo ci sono due Olimpiadi per atleti disabili e non. Facciamone una sola, sbaglio?». Non sbaglia Giulia. Nella Nazionale paralimpica diventa anche una colonna. La squadra, grazie anche a lei, arriva sesta alle Paralimpiadi di Tokyo, seconda agli Europei in Turchia. E lei vince il premio best blocker (chi fa il muro, nella pallavolo) d’Europa.

Adesso si sta preparando per i Mondiali di novembre in Bosnia. E intanto ha coordinato il Festival «Strabilianti» insieme con Michela Castellani, presidente del comitato organizzativo con un gruppo di persone molto in gamba. Quello di Livorno non è stato solo un palcoscenico con atleti di livello internazionale, ma è stato un dispensatore di cultura. Si è fatto sport, certamente, ma si è discusso anche sul futuro del paralimpico. Separato dallo sport “normale”? «No, io sogno un’unica Olimpiade – risponde Giulia – dove, divisi in disciplina, possono partecipare tutti, senza distinzioni. A Livorno per la prima volta si è parlato di sport integrato alla presenza di atleti olimpici e paralimpici e abbiamo dato voce a tanti giovani che ce l’hanno fatta. Lo sport deve essere aperto a tutti e un luogo in cui riscoprire e trovare nuove abilità, come è stato anche per me che giocavo a pallavolo e poi mi sono riscoperta nel sitting volley». Lo sport è universale, proprio come l’umanità. Una disabilità non può e non deve dividere.

25 settembre 2022 (modifica il 26 settembre 2022 | 07:13)

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, 2022-09-26 05:13:00, A Livorno la giovane Aringhieri ha riunito i paralimpici. Le sfide con il marito Marco Voleri, anche lui malato di sclerosi. Il sogno di un’unica Olimpiade e dello sport integrato, Marco Gasperetti

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