Sri Lanka, la caduta dei fratelli Rajapaksa: da eroi della patria a fuggiaschi

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di Paolo Salom

Gotabaya e Mahinda, gli eredi di una dinastia politica che insieme gestivano il potere nello Sri Lanka

Per anni eroi della patria, sono bastate poche settimane per distruggere immagine e stima della nazione. I fratelli Rajapaksa, Gotabaya — il più giovane, 73 anni — presidente dimissionario di una repubblica che per la prima volta dall’indipendenza (1948, dai britannici) rischia la rovina come nemmeno durante la lunga guerra civile; e Mahinda, il più anziano, 76 anni, già sacrificato a maggio per placare la folla: le sue dimissioni da primo ministro non sono evidentemente servite.

Gotabaya e Mahinda, ma anche Mahinda e Gotabaya: perché, come se il Paese fosse una loro proprietà, si sono scambiati i ruoli, prima uno presidente e l’altro premier (o ministro) e viceversa. Ma non solo. Perché in questa originale democrazia dell’Asia meridionale, lo Sri Lanka, una goccia di smeraldo nell’Oceano Indiano, facile complemento dell’ingombrante vicino settentrionale, ma di tutt’altra natura, i Rajapaksa sono stati anche all’opposizione quando a vincere le elezioni erano «tutti gli altri». Nati in una ricca famiglia di proprietari terrieri del Sud, i Rajapaksa hanno quattro fratelli e tre sorelle. Sotto la cura dei genitori, in particolare del padre, Don Alwin, i fratelli sono cresciuti dividendosi i settori dello scibile più adatti per il loro futuro politico, come era tradizione sin dai tempi della Ceylon coloniale. Se consideriamo zii, cugini, parenti più o meno stretti, negli ultimi 70 anni non c’è mai stato un momento della storia nazionale senza un Rajapaksa in qualche importante posizione dello Stato. Ma la trasformazione dei due fratelli più ambiziosi, Mahinda e Gotabaya (allora in quest’ordine), nei beniamini del popolo risale al 2009, quando, dopo anni di guerra civile tra la maggioranza buddhista e la minoranza induista del Nord arrivò a una fine che nessuno avrebbe mai previsto. I ribelli delle Tigri Tamil, celebri per l’efferatezza delle loro operazioni, furono annientati grazie a un’offensiva spietata condotta dall’allora ministro della Difesa Gotabaya Rajapaksa, su ordine del fratello Mahinda, presidente, che sollevò non poche proteste degli osservatori internazionali. Per lo Sri Lanka, tuttavia, si era aperta una nuova era, o così sembrava. Grazie a un crescente turismo, incoraggiato dalla stabilità e dalla pace, i Rajapaksa, scambiandosi le poltrone, coinvolgendo più o meno tutto il clan, avviarono riforme e modernizzazioni delle infrastrutture che (nella loro idea) avrebbero garantito il potere perpetuo alla famiglia, insieme a ricchezze inestimabili le cui briciole comunque sarebbero state condivise con il popolo.

Così, mentre le accuse di corruzione e nepotismo venivano affossate grazie alla presa ferrea sulle istituzioni, i due fratelli hanno imbastito una serie di progetti a credito (porti, ferrovie, strade, Internet) affidandosi soprattutto a un Grande Fratello di cui avevano scoperto la «generosità»: la Cina. Ma i guai sono cominciati ben in anticipo sulla crisi scatenata da pandemia e guerra (in Ucraina). Già prima che l’immenso porto di Hambantota (costruito da imprese cinesi con finanziamenti della Repubblica Popolare) entrasse in funzione, il governo dei due fratelli aveva dovuto concederlo in concessione a Pechino per 99 anni avendo mancato gli obiettivi di rimborso dei capitali. Per intenderci, 99 anni è il lasso di tempo concesso da Pechino a Londra per permettere lo sviluppo di Hong Kong, quando i ruoli e i rapporti di forza erano ben diversi. Grazie ai Rajapaksa, insomma, lo Sri Lanka è passato in breve tempo da perla destinata a un futuro radioso a neo-colonia di un (altro) Paese lontano. Mahinda e Gotabaya, Gotabaya e Mahinda: è davvero finita?

9 luglio 2022 (modifica il 9 luglio 2022 | 22:44)

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, 2022-07-09 21:59:00, Gotabaya e Mahinda, gli eredi di una dinastia politica che insieme gestivano il potere nello Sri Lanka, Paolo Salom

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