Smartphone: vietarne labuso, ma consentirne luso. Il pericolo è lasciare i ragazzi da soli con questi strumenti. Riappropriamoci del ruolo della scuola

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Digital device sì o no… e se stessimo sbagliando l’approccio, il punto di partenza sul quale basare la nostra discussione e riflessione? Le parole del Ministro Valditara sull’uso dei dispositivi digitali a scuola ha riacceso il dibattito tra chi sostiene questa tesi e chi è contrario. Parafrasando Umberto Eco potremmo dire un dibattito tra apocalittici e integrati. La discussione sugli effetti dei nuovi strumenti tecnologici sui nostri cervelli non è nuova, già a metà degli anni ’60 del secolo scorso il sociologo canadese McLuhan individuava nei mezzi di comunicazione di massa del XX secolo, radio, cinema e televisione, una minaccia per la mente lineare. Il problema posto da McLuhan andava oltre la semplice discussione del livello di cultura dei media, il nodo era la natura dei media e di come avrebbero modificato la nostra mente, il modo di percepire la realtà, ragionare, valutare, prendere decisioni, risolvere problemi. Oggi accade lo stesso con i new media.

Iniziamo la nostra riflessione partendo da quanto riportato nella circolare emanata pochi giorni fa dal Ministro dell’Istruzione e del Merito. Nella prima parte vengono fornite indicazioni per contrastare l’utilizzo improprio o non consentito dei dispositivi digitali e a tal proposito viene anche richiamata una precedente circolare del 2007. A parte il fatto che dalla circolare del marzo 2007 sono passati oltre 15 anni, che rappresentano un abisso non solo dal punto di vista tecnologico ma anche per quanto riguarda l’approccio metodologico didattico, tant’è che l’uso di metodologie di blended learning, ovvero di apprendimenti con metodologie miste, è sempre più diffuso, ma nella circolare richiamata c’è un passaggio che merita attenzione, ovvero che “la scuola è una risorsa fondamentale in quanto assume il ruolo di luogo di crescita civile e culturale per una piena valorizzazione della persona, rafforzando l’esistenza di una comunità educante in cui ragazzi e adulti, docenti e genitori, vengano coinvolti in un’alleanza educativa che contribuisca ad individuare non solo contenuti e competenze da acquisire ma anche obiettivi e valori da trasmettere per costruire insieme identità, appartenenza, e responsabilità. Al raggiungimento di tali finalità concorre l’autonomia scolastica, costituzionalmente riconosciuta che, avendo superato l’impostazione esclusivamente centralistica dell’educazione e della formazione del cittadino, consente alla singola istituzione scolastica di concertare, confrontarsi, costruire accordi, creare lo spazio in cui famiglie, studenti, operatori scolastici si ascoltano, assumono impegni e responsabilità, condividono un percorso di crescita umana e civile della persona.

Quindi la circolare richiamata, quella del Ministro Fioroni, in realtà ci porta a riflettere su quale sia il vero scopo della scuola, cioè quello di educare, dove una comunità educante, genitori, docenti ed i ragazzi stessi, contribuisca alla formazione per un corretto sviluppo degli alunni. L’aspetto legato all’educare non è una questione banale o scontata, tant’è che Umberto Galimberti arriva a dire che la scuola di oggi non educa i ragazzi, ma al massimo li istruisce, una differenza sostanziale. Il Professor Galimberti precisa che nell’istruire vi è solo un travaso di informazioni dal docente al discente, mentre nell’educare lo scopo è quello di rendere gli alunni capaci di affrontare le sfide della vita in maniera consapevole ed in grado di saper gestire le proprie pulsioni. Se quindi la scuola deve tornare ad educare, e deve farlo rinnovando l’alleanza educativa con le famiglie dei propri alunni, anche l’educazione ad un corretto uso dei new media rientra in questo ambito. Che sia necessario un ruolo attivo della famiglia è risaputo, ma non scontato, e i genitori devono tornare ad essere gli alleati dei docenti per realizzare un’azione educativa sinergica.

Riprendiamo il discorso sul divieto oggetto della circolare per domandarci se quindi è effettivamente vietato l’utilizzo degli smartphone in classe. Non è proprio così, in realtà nella circolare viene ribadito il divieto di utilizzo del cellulare durante le lezioni se rappresenta un elemento di distrazione, ma successivamente ne consente l’utilizzo per scopi educativi, come testualmente riportato: “È viceversa consentito l’utilizzo di tali dispositivi in classe, quali strumenti compensativi di cui alla normativa vigente, nonché, in conformità al Regolamento d’istituto, con il consenso del docente, per finalità inclusive, didattiche e formative, anche nel quadro del Piano Nazionale Scuola Digitale e degli obiettivi della c.d. “cittadinanza digitale” di cui all’art. 5 L. 25 agosto 2019, n. 92.”

Ma allora qual è il problema di avere a scuola smartphone e tablet? È l’utilizzo, il vero problema è come vengono adoperati questi strumenti. Qui ritorna a gamba tesa il discorso relativo all’educare. Come imparano gli studenti ad utilizzare correttamente gli smartphone? Può la scuola rinunciare al suo ruolo educativo e rifugiarsi semplicemente in un divieto anacronistico, come se poi i propri alunni, durante il restante arco della giornata, non continuino ad utilizzare gli smartphone? Attualmente esiste un vuoto educativo nei confronti dei dispositivi digitali di cui sono corresponsabili anche i genitori. I ragazzi generalmente hanno un approccio da autodidatti ed in breve tempo imparano ad utilizzare questi dispositivi anche meglio di noi adulti. Ma saper utilizzare uno strumento non vuol dire essere in grado di adoperarlo in maniera corretta.

Il pericolo di un uso scorretto dei new media diventa sempre più evidente, così come riportato anche nell’indagine conoscitiva del Senato richiamata dalla circolare del Ministro Valditara. In questa indagine viene evidenziato come un cattivo uso di questi dispositivi comporti danni fisici e psicologici, arrivando a paragonarne effetti simili alla cocaina. Sebbene questo paragone sia forte e calzante, occorre fare una precisazione in quanto la dipendenza dai dispositivi digitali, al contrario della cocaina, rientri tra le dipendenze da non sostanza al pari del gioco d’azzardo patologico, dello shopping compulsivo, della dipendenza dalle relazioni affettive e così via. È una dipendenza che ovviamente coinvolge il sistema dopaminergico, in una continua ricerca del piacere, che le varie App dei social media riescono a sollecitare molto efficacemente, alimentando il fenomeno del craving, ovvero la necessità di agire ripetutamente il comportamento di dipendenza. L’internet Addiction Disorder viene riconosciuto ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tanto da essere inserito anche nell’ultimo manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali, il DSM 5.

Ma se siamo consapevoli dei danni provocati da questi dispositivi, come possiamo pensare di lasciare soli i ragazzi che non hanno gli strumenti per saperli gestire correttamente? Perché anche le conclusioni dell’indagine conoscitiva del Senato suggeriscono il divieto di accesso degli smartphone in classe, senza però indicare come educare i ragazzi ad un corretto uso.

Forse sarebbe il caso di ripartire dai principi pedagogici di inizi del ‘900, quelli di Maria Montessori e di John Dewey, dell’attivismo pedagogico, rivisitati in chiave moderna ed integrati con l’educazione alle emozioni. Abbiamo bisogno di educare la persona nella sua interezza. Oltre ad allenare il cervello e le funzioni mentali, è importante che questo sviluppo si realizzi all’interno di un corpo con un forte equilibrio fisico-emozionale-intellettivo. Le basi ci sono, le metodologie anche, basti pensare, ad esempio, agli insegnamenti della Professoressa Lucangeli o del Professor Novara. Ora occorre mettere in pratica queste evidenze scientifico-pedagogiche per realizzare una vera educazione che porti non solo ad un corretto uso dei dispositivi digitali, ma ad un vivere sano e corretto sia all’interno della scuola che nella società complessa che stiamo vivendo.

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