Saldare il parco alla città

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l’editoriale Mezzogiorno, 23 marzo 2022 – 09:29 di Leonardo Palmisano È vero. L’operazione immobiliare sulla ex caserma Rossani è riuscita, perché quando fu fatta si generarono un’articolazione istituzionale e un movimento popolare che diedero a Carrassi l’abbrivio per una direzione di rinascita. La Rossani era un rudere in abbandono. Un luogo della memoria antica e quasi rimossa per il quartiere. Uno spazio da ideare da capo. Con quell’operazione, paragonabile nella strategia all’abbattimento di Punta Perotti, si pensò di ridare fiato a un pezzo di città posto oltre il vallo della linea ferroviaria. Le aspettative di quel momento non sono del tutto all’altezza del percorso attuale. Non da un punto di vista dei volumi, che stanno lì ed attendono una destinazione definitiva, ma dal punto di vista dell’idea stessa di parco urbano. Un parco deve avere una sua omogeneità di funzioni integrate con la città per essere definito tale, secondo un meccanismo a orologeria. Se si tratta di un luogo verde, ci vuole un piano di sviluppo ambientale cittadino concordato, che dica che quello sarà un inviolabile – fruibile con cautela e a basso impatto acustico – patrimonio di ossigeno e di silenzio, per gli umani e per gli animali. Se si tratta di un parco culturale – un kulturforum alla berlinese? – allora vanno specificate le funzioni disciplinari interne: arte perché è previsto lo spostamento dell’Accademia, musica perché Bari ha un Conservatorio, letteratura, cinema, teatro, istruzione, ricerca. Non basta indicarle per sommi capi, come non basta sostenere che lì ci verrà una grande biblioteca, senza presentare almeno un robusto progetto lettura, senza dire se ci sarà una sezione esclusiva di testi sulla storia della città, uno spazio per gli studenti e per i ricercatori, con connessioni con le scuole e con le università, uno per gli anziani con attività di aggregazione fisica dolce nel verde, uno per i bambini con annessa kinder house. È necessario, quando si presenta un fatto di tale portata, assegnare qualità ai servizi proposti. Se si tratta, come qualcuno vorrebbe, di un parco giochi, è utile che il cittadino sappia che questa funzione avrà una sua prevalenza. Se, infine, si tratta di un luogo dove poter anche continuare a sviluppare comunità mediante gli orti urbani, allora è forse il caso di prevedere aule ed attrezzature per la formazione di gruppi di contadini metropolitani connessi con la facoltà di agraria. Tenere tutto insieme, senza scendere nel dettaglio, presumendo di ricondurre ogni funzione a una cornice unitaria non predefinita, è illusorio per una serie di motivi. Il primo, perché quell’area è circondata da sistemi criminali che possono approfittare della mancata integrazione tra le funzioni per insinuarsi ed impiantarvi cospicue attività di spaccio di stupefacenti. Il secondo, perché quell’area dovrà rispondere presto ad un’esigenza di verde pubblico e di integrazione socio-culturale di prossimità in un quartiere che invecchia e che è stato inspiegabilmente privato di altri spazi a funzione aggregante come la scuola Carlo del Prete. Terzo, perché un parco pubblico pensato per una città intera e per i suoi potenziali visitatori dev’essere corredato da un piano per il trasporto che lo includa come tappa connessa ad altri luoghi del fare: come avviene per la periferica Bibliothèque Nationale Mitterrand, incardinata in una linea della metro parigina che si aggancia. 23 marzo 2022 | 09:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-23 08:30:00, l’editoriale Mezzogiorno, 23 marzo 2022 – 09:29 di Leonardo Palmisano È vero. L’operazione immobiliare sulla ex caserma Rossani è riuscita, perché quando fu fatta si generarono un’articolazione istituzionale e un movimento popolare che diedero a Carrassi l’abbrivio per una direzione di rinascita. La Rossani era un rudere in abbandono. Un luogo della memoria antica e quasi rimossa per il quartiere. Uno spazio da ideare da capo. Con quell’operazione, paragonabile nella strategia all’abbattimento di Punta Perotti, si pensò di ridare fiato a un pezzo di città posto oltre il vallo della linea ferroviaria. Le aspettative di quel momento non sono del tutto all’altezza del percorso attuale. Non da un punto di vista dei volumi, che stanno lì ed attendono una destinazione definitiva, ma dal punto di vista dell’idea stessa di parco urbano. Un parco deve avere una sua omogeneità di funzioni integrate con la città per essere definito tale, secondo un meccanismo a orologeria. Se si tratta di un luogo verde, ci vuole un piano di sviluppo ambientale cittadino concordato, che dica che quello sarà un inviolabile – fruibile con cautela e a basso impatto acustico – patrimonio di ossigeno e di silenzio, per gli umani e per gli animali. Se si tratta di un parco culturale – un kulturforum alla berlinese? – allora vanno specificate le funzioni disciplinari interne: arte perché è previsto lo spostamento dell’Accademia, musica perché Bari ha un Conservatorio, letteratura, cinema, teatro, istruzione, ricerca. Non basta indicarle per sommi capi, come non basta sostenere che lì ci verrà una grande biblioteca, senza presentare almeno un robusto progetto lettura, senza dire se ci sarà una sezione esclusiva di testi sulla storia della città, uno spazio per gli studenti e per i ricercatori, con connessioni con le scuole e con le università, uno per gli anziani con attività di aggregazione fisica dolce nel verde, uno per i bambini con annessa kinder house. È necessario, quando si presenta un fatto di tale portata, assegnare qualità ai servizi proposti. Se si tratta, come qualcuno vorrebbe, di un parco giochi, è utile che il cittadino sappia che questa funzione avrà una sua prevalenza. Se, infine, si tratta di un luogo dove poter anche continuare a sviluppare comunità mediante gli orti urbani, allora è forse il caso di prevedere aule ed attrezzature per la formazione di gruppi di contadini metropolitani connessi con la facoltà di agraria. Tenere tutto insieme, senza scendere nel dettaglio, presumendo di ricondurre ogni funzione a una cornice unitaria non predefinita, è illusorio per una serie di motivi. Il primo, perché quell’area è circondata da sistemi criminali che possono approfittare della mancata integrazione tra le funzioni per insinuarsi ed impiantarvi cospicue attività di spaccio di stupefacenti. Il secondo, perché quell’area dovrà rispondere presto ad un’esigenza di verde pubblico e di integrazione socio-culturale di prossimità in un quartiere che invecchia e che è stato inspiegabilmente privato di altri spazi a funzione aggregante come la scuola Carlo del Prete. Terzo, perché un parco pubblico pensato per una città intera e per i suoi potenziali visitatori dev’essere corredato da un piano per il trasporto che lo includa come tappa connessa ad altri luoghi del fare: come avviene per la periferica Bibliothèque Nationale Mitterrand, incardinata in una linea della metro parigina che si aggancia. 23 marzo 2022 | 09:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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