Ma bisogna organizzare il piano trasporti e garantire il tracciamento
Alessandra Ricciardi su Italia Oggi del 17 novembre 2020
Nella sua battaglia – ormai solitaria nel governo- per tenere aperte le scuole che resistono e riaprire quelle chiuse, Lucia Azzolina cerca una sponda nel Cts. Obiettivo: presentare al premier, Giuseppe Conte, un piano che dimostri che la scuola in presenza può ripartire ovunque, perché è luogo sicuro e non favorisce il contagio. Il comitato tecnico-scientifico, che per bocca del suo presidente, Agostino Miozzo, ha detto che sì, le scuole devono riaprire in presenza «il prima possibile», evidenziando i danni psicologici per i giovani rinchiusi in casa, ha preso tempo per valutare compiutamente tutti i quesiti posti per le parti di sua spettanza. Ma al di là delle questioni che la Azzolina ha prospettato al Comitato nel vertice della scorsa settimana, 7 secondo quanto risulta a ItaliaOggi, c’è un elemento di fondo che manca agli stessi scienziati. Un elemento che rischia di inficiare qualsiasi decisione da assumere, in un senso o in un altro: non si sa ancora quanto la scuola sia luogo di contagio e di diffusione del virus. Non lo sa neppure l’Istituto superiore della sanità, che si limita a parlare di contagi per fasce di età paragonandole a fasce scolastiche in virtù del solo fattore anagrafico.
In base ai dati inviati dalle Asl, spesso incompleti e notificati in ritardo, nel periodo 28 agosto-9 novembre risulterebbe che un 2,2% di focolai ha avuto origine scolastica, ma senza riuscire a capire se si tratta di contagi avvenuti nella stessa scuola o in luoghi periscolastici. Altro dato: l’incidenza molto bassa rispetto agli altri focolai nelle fasce di età dei più giovani, corrispondenti a spanne alla scuola dell’infanzia, elementari e media: anche qui non si sa se per una minore capacità diagnostica o per la minore trasmissibilità. Insomma, i dati sono confusi. E dallo stesso Istituto superiore giugno inviti alla cautela nella interpretazione del fenomeno. Così capire per esempio perché Francia, Germania e Spagna tengono aperte le scuole mentre l’Italia no diventa complicato, in assenza di un monitoraggio ad hoc su quanto avviene tra studenti e personale dipendente.
Tornando al vertice con il Cts, la Azzolina ha chiesto di essere confortata su alcuni aspetti, che risultano per la ministra dell’istruzione dirimenti nel dibattito interno al governo ma anche con i presidenti delle regioni e i sindaci che, alla luce dei poteri che sono loro conferiti in materia di salute pubblica, stanno assumendo provvedimenti maggiormente restrittivi rispetto a quelli decisi a livello nazionale con la classificazione delle regioni in tre fasce di rischio. La Azzolina vorrebbe essere confortata per esempio sul fatto che aumentare le restrizioni nella comunità circostante alla scuola consente di ridurre i rischi in classe, arrivando così ad affermare che se la regione è in lockdown la scuola può restare aperta, come ha fatto l’Abruzzo, per intendersi. Ma chiede anche che sia bocciata la decisione assunta da altre regioni di chiudere pure infanzia e primaria, perché si tratterebbe di fasce di età che hanno bassa trasmissione del virus rispetto ai più adulti e che spesso non usano i mezzi di trasporto pubblici per muoversi, quei mezzi di trasporto che sono diventati loro sì imputati dell’incremento dei contagi.
C’è poi il nodo del tracciamento: la Azzolina vorrebbe sapere perché non si proceda con i test rapidi antigenici, decisione che di fatto è di competenza delle regioni e, in subordine, del ministero della Salute. Ma anche se si possa aggiornare il protocollo di sicurezza rivedendo il parametro del metro minimo di distanza visto che si è imposto l’obbligo della mascherina per tutti anche in classe per gli studenti che hanno più di 6 anni.