I genitori di Claudio Mandia, lo studente italiano suicida a New York: «Trattato da criminale. Punizioni indegne di una scuola»

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di Massimo Gaggi

Parlano i genitori: «Non ha resistito ai crudeli maltrattamenti e agli atroci abusi che ha subito da parte della scuola»

Per prima parla Elisabetta, la madre: «Claudio non ce lo ridarà nessuno, ma speriamo che quanto stiamo facendo serva almeno a evitare altre tragedie simili. Nostro figlio non ha preso la decisione di togliersi la vita: Claudio è morto perché non ha resistito ai crudeli maltrattamenti e agli atroci abusi che ha subito da parte della scuola. Quell’istituto al quale lo avevamo affidato e che si era impegnato a prendersi cura del suo sviluppo e del suo benessere». A fianco a lei Mauro, il padre, si sforza di misurare le parole, ma fa fatica: «Solo delle belve feroci possono trattare un ragazzino come un criminale».

Weekend di Halloween nella hall di un albergo di Manhattan: fuori è pieno di ragazzi in costume: cantano, ballano, vanno alle feste mascherate. A pochi metri da quelle esplosioni di gioia, Elisabetta Benesatto e Mauro Mandia, genitori di Claudio, il ragazzo di Battipaglia di 17 anni che si suicidò il 17 febbraio scorso dopo essere stato tenuto in detenzione (solitary confinement) per quasi quattro giorni dalla EF Academy, una boarding school privata di Thornwood, pochi chilometri a nord di New York, ricostruiscono, affranti ma lucidi, la tragedia nella quale sono precipitati otto mesi fa. E che li ha spinti, come ha scritto ieri il Corriere, a presentare una denuncia contro la Academy presso la sezione civile della Corte Suprema di New York. L’avvio di un percorso giudiziario che le indagini della procura distrettuale della contea di Westchester, tuttora in corso, potrebbero in futuro trasformare in processo penale.

Travolti da una simile tragedia, cosa ha spinto voi, imprenditori italiani, ad affrontare l’impegno di un’indagine privata condotta oltreoceano?

«Siamo italiani — risponde Mauro — ma l’America è sempre stata centrale per noi. Io ho studiato qui, una parte importante della nostra attività (i Mandia producono soprattutto pizze surgelate) è diretta verso gli Stati Uniti dove, prima del Covid, venivo una volta al mese. E Claudio si è innamorato di New York fin da bambino. Era destinato a diventare il titolare della nostra azienda e scherzava: “Non dovete nemmeno cambiare il timbro dell’amministratore”. L’azienda (Fiad), infatti, è tuttora intestata a mio padre 83enne, che si chiama anche lui Claudio. Volevamo dargli un’istruzione internazionale fin dal liceo. Elisabetta pensava alla EF Academy di Oxford, in Gran Bretagna, ma Claudio voleva gli Stati Uniti. Amiamo questo Paese, ne conosciamo bene la lingua e anche le regole severe, diverse dalle nostre. Questo istituto sembrava degno di fiducia: educatori capaci ed empatici, consapevoli della fragilità di ragazzi minorenni. Invece hanno trattato nostro figlio con inaudita crudeltà».

Claudio era stato espulso dalla scuola per aver copiato un compito di matematica. Nella denuncia voi spiegate che il ragazzo era in difficoltà e sotto stress. Prima per un rientro ritardato a scuola dall’Italia per una quarantena da Covid che gli aveva fatto perdere diverse lezioni, poi per un lutto familiare. Giustificata o meno che fosse l’espulsione, la detenzione è misura abnorme. Se non altro perché da tempo le scuole americane sono state messe in allarme per l’aumento dei suicidi tra gli adolescenti. Non sapevate di queste pratiche punitive?

L’avvocato George Bochetto, che ascolta in disparte, interviene per spiegare che nelle scuole pubbliche di New York il confinement è ammesso solo in casi molto gravi e sotto stretto controllo del personale se dura più di due ore.

«Non solo — spiega Mauro — la EF Academy non ha mai parlato di questi provvedimenti punitivi. Ma quando da lunedì 14 febbraio abbiamo saputo della decisione di espellerlo e di trasferirlo in un edificio isolato in attesa del nostro arrivo e ho cominciato a tempestare la scuola di chiamate mi sono sempre sentito rispondere che Claudio non era in isolamento».

«Claudio — riprende Elisabetta — non è stato l’unico a subire trattamenti così primitivi. Quanti altri prima di noi hanno vissuto esperienze simili senza avere gli strumenti per reagire, indagare. Noi abbiamo potuto farlo e andremo fino in fondo perché nessun altro studente debba subire azioni così disumane, orribili e ingiuste».

Nella vostra denuncia si legge di altri tentativi di suicidio. Un anno prima un altro ragazzo italiano si tagliò i polsi e fu scoperto e salvato proprio da Claudio, insieme a un membro dello staff della scuola. E nell’indagine avete appurato che c’era una sala attrezzata contro i rischi di suicidio. Quella in cui è stato rinchiuso Claudio, invece, aveva letti con barre di metallo e, pare, altri appigli. Ma la scuola dice che lui non era tecnicamente detenuto.

«Dicevano che poteva aprire la porta, ma non era autorizzato a uscire e se lo faceva la porta si richiudeva e non poteva essere riaperta. La poteva aprire solo per prendere i pasti che gli lasciavano a terra: peggio di un detenuto. L’ultimo giorno, poi, non gli portarono né la colazione né il pranzo». In serata un comunicato anonimo della EF Academy ribadisce il dolore per la scomparsa di Claudio, ma anche che la scuola è impegnata a tutelare sicurezza e benessere degli studenti. Parla poi di «inesattezze nella documentazione legale circolata». In particolare: «La stanza dello studente non era chiusa a chiave: non era in isolamento e poteva avere interazioni sociali» e «accesso alle risorse della scuola».

In quei giorni Claudio comunicava via messaggi e WhatsApp. Sentivate la sua disperazione?

«No, cercava di tranquillizzarci, ma ai compagni rivelava il suo vero stato d’animo. Chiedeva aiuto alla psicologa, era chiaramente sotto estremo stress. Quando mercoledì, la sera prima del suicidio, i compagni sono stati autorizzati ad andare a salutarlo, visto che doveva partire il giorno dopo, tutti videro segni di legamenti intorno al collo, tracce di ferite. Erano presenti anche due membri dello staff scolastico. Claudio provò a minimizzare dicendo che era caduto in doccia».

Sembra che in uno dei messaggi inviati a suoi amici Claudio avesse addirittura scritto «ho paura di quello che sto per fare». Poi si impiccò. Voi avete saputo appena atterrati all’aeroporto Kennedy.

«Ritirati i bagagli due agenti in borghese chiesero a me ed Elisabetta si seguirli in una sala riservata. Pensavamo a un normale controllo. Dentro c’erano i detective della polizia di Mount Pleasant e tre persone della scuola tra cui un insegnante italiano che già conoscevo. Mi disse di botto che Claudio era morto. Io caddi a terra. Elisabetta, dopo i primi momenti di disperazione, chiese di nostra figlia Martina, allieva della stessa scuola. La tenevano ignara e isolata. Ci chiesero cosa fare. Dovevamo dirglielo noi. Andammo alla EF Academy».

Come fu l’incontro coi capi della scuola?

«Non venne nessuno. Anzi, non ci fecero nemmeno entrare: ci consegnarono Martina tremante in camicetta con una temperatura sotto zero. Dovemmo chiedere che andassero a prenderle il cappotto. Ci dissero che la nostra presenza avrebbe turbato gli altri studenti».

Siete andati nei giorni successivi?

«Non abbiamo più visto nessuno. Il giorno dopo dovevamo andare a ritirare gli effetti personali di Claudio. Per evitarlo mandarono l’infermiera della Academy a portarci le sue cose all’obitorio».

30 ottobre 2022 (modifica il 30 ottobre 2022 | 22:23)

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, 2022-10-30 22:10:00, Parlano i genitori: «Non ha resistito ai crudeli maltrattamenti e agli atroci abusi che ha subito da parte della scuola», Massimo Gaggi

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