Muti: no alle opere stravolte

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di Valerio Cappelli

Il grande direttore a Chicago per un trionfale Ballo in maschera. «Posso non amare Putin ma continuo ad amare Pushkin. E dirigerò musica russa. Fuori di casa a Ravenna avevo la bandiera ucraina e mia moglie ha portato 64 artisti da Kiev»

Muti: «Sono contro la cancel culture, Verdi nel dire 'negri' non era affatto razzista. Ho vinto il Covid in 4 giorni»

DAL NOSTRO INVIATO

CHICAGO Riccardo Muti e il suo senso teatrale, la vivacità del ritmo, i colori scuri in una lievità che Verdi andava scoprendo distesi su un’atmosfera sinistra, misteriosa, sfuggente, nell’opera che dà l’addio agli ideali risorgimentali. Una storia d’amore, tradimento e morte. La Chicago Symphony Orchestra, così rilucente, per la prima volta affronta Un ballo in maschera, e sgorga un suono immacolato, «senza le cattive abitudini della cattiva tradizione».

Una sfida con un grande cast (Luca Salsi, Francesco Meli, Joyce El-Khoury, Yulia Matochkina e la sorprendente Damiana Mizzi) conclusa nella standing ovation; una sfida nata in un numero di prove che si contano sulle dita: appena cinque. Muti è stato un leone in gabbia, il concerto è rimasto in forse, appeso a un filo, una corsa contro il tempo. «Sono stato positivo al Covid, ma solo per tre giorni e mezzo». L’aveva ripreso, in forma lieve, per la seconda volta in due mesi. «L’ho vissuto chiuso in albergo. Non avevo sintomi, ero molto arrabbiato. Il destino ha voluto che tornassi negativo per essere pronto. Una delle prove con i cantanti è durata otto ore».

Maestro, ha preso la pozione magica di Obelix?

Sorride: «Non ci sono segreti, ho fatto anche un’iniezione monoclonale che ha rinforzato il sistema immunitario. Sarebbe stata una tragedia finire la stagione di Chicago con un forfeit per un’opera che conclude un lungo cammino verdiano. Messa da Requiem, Aida, Otello, Falstaff, Macbeth…».

Lei nel Ballo ha lasciato parole che la cancel culture di molti teatri ha cambiato. E siamo a Chicago, la sindaca afro-americana non volle dare interviste a giornalisti bianchi. Il clima è questo.

«Tutto è andato liscio, ed è una notizia bomba. Ho preso questa decisione nel cuore degli USA. Tre cantanti sono di colore, uno è il personaggio del giudice che deve dire quella frase infame: Ulrica, dell’immondo sangue de’ negri. Ho spiegato che non rispecchia il pensiero di Verdi, tant’è vero che altri in scena difendono l’indovina Ulrica; Verdi mette alla berlina il razzismo, la crudeltà, l’ignoranza del giudice. Al tenore che, lo ripeto, è di colore, ho chiesto: hai problemi nel pronunciare quelle parole? Mi ha risposto: dopo la sua spiegazione, no».

Come si vive coi paletti del politically correct?

«Noi dall’America importiamo soprattutto le cose negative, E’ come camminare sulle uova, devi stare attento a non dire questo e quello, ogni riferimento anche vago può insospettire, offendere, essere usato contro di te. Sono contrarissimo ai teatri che si fanno il make up e cambiano le parole dei libretti. La storia non puoi cambiarla, va tenuta nella sua essenza, nel bene e nel male, perché le prossime generazioni possano sapere. Non aiutiamo i giovani in quel modo, anzi…».

Nell 2018 ha diretto a Kiev per Le vie dell’amicizia.

«Un concerto che è nel mio cuore. Tra due giorni a Chicago dirigo al Millennium Park Sostakovic e Ciaicovskij. Nessuno può impedirmi di eseguire capolavori russi. Posso non amare Putin ma continuo ad amare Pushkin. La musica non ha nulla a che fare con la politica. Ma ho trovato strana la difficoltà di alcuni artisti nel dire una frase semplice: siamo contrari alla guerra e alla perdita di vite innocenti. In Russia, se lo dici sei un traditore. Non pensavo, alla mia età, di dover essere testimone di una cosa così trucida. Ci sono stupri, e migliaia di bambini che non sanno dove andranno a finire».

Dirigerà a Mosca?

«Non l’avevo nella mia agenda. Fuori di casa mia ho avuto la bandiera ucraina, mia moglie Cristina ha portato a Ravenna 64 artisti ucraini, 34 di loro canteranno a luglio a Lourdes e a Loreto nel mio concerto con la Cherubini».

Cosa pensa della deriva dei pacifisti narcisisti?

«E’ inutile fare proclami in tv standosene nei salotti. Rispondo con Verdi: vo’ gridando pace e vo’ gridando amor. Segno dei tempi».

Perché?

«Ho letto che al San Carlo alcuni ministri della Cultura hanno cantato all’unisono con l’orchestra Vincerò e ne sono rimasto molto offeso, quando io in USA cerco di fare il possibile perché l’opera italiana abbia dignità e non venga strapazzata e stravolta. Ma che io mi offenda, non importa niente a nessuno».

Il Ballo è un unicum nella produzione verdiana?

«Sì, nel senso che ha un colore tutto suo, è una delle opere più difficili, piena di sottigliezze. Il primo Verdi, fino alla Trilogia, ha caratteristiche simili in strumentazione e vocalità. Il Ballo comincia col tema dei cortigiani che danno il loro omaggio al conte che prodiga amore, pace e armonia al popolo; all’opposto ci sono i congiurati ed è un sillabato rauco, torvo, cupo, come corvi. A loro Verdi affida una risata sarcastica che è un capolavoro di invenzione musicale e drammatica. La corte c’è anche nel Rigoletto, ma qui ha una sua leggerezza mozartiana».

Il sublime duetto d’amore tra Riccardo e Amelia?

«Brucia in pochi minuti, mi viene in mente Dante per Paolo e Francesca: Amor c’ha nulla amato amar perdona. L’unico compositore che impiega meno tempo nel creare una situazione ad alto erotismo è Mozart che, nel Così fan tutte, fa dire al soprano: fa di me quel che ti pare».

La prossima sarà la sua ultima stagione a Chicago.

«Chiuderò con la Messa Solenne di Beethoven. Tredici anni e mai uno screzio, un malinteso. Solo il piacere di fare musica. Venivano da una tradizione tedesca, dalla fama della potenza degli ottoni, si sono abituati al nostro repertorio. Ora c’è il suono di una grande orchestra sinfonica ma con una lucentezza melodica italiana. Far musica con loro lo considero un dono di Dio ricevuto alla fine della mia vita. Ma continuerò a lavorare con loro. Nel ‘24 torno con la Chicago Symphony in Italia.

Nel Ballo, le ultime parole del protagonista, che si chiama Riccardo, sono: Addio diletta America. Per Muti, è un arrivederci a presto.

24 giugno 2022 (modifica il 24 giugno 2022 | 22:01)

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, 2022-06-24 20:01:00, «Troppi capolavori riscritti, rifiuto la “cancel culture”La guerra? Io ho esposto la bandiera ucrainaNon amo Putin ma difendo la grande musica russa», Valerio Cappelli

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