L’inchiesta su Capitol Hill è la fine di Trump? L’ultima accusa: contattò un teste

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di Massimo Gaggi e Viviana Mazza

Il tweet che mobilitò le milizie di estrema destra, lo scontro tra gli avvocati della Casa Bianca e i consiglieri più estremisti che non volevano ammettere la sconfitta. Le ultime accuse della Commissione della Camera, a guida democratica, che si avvia alla chiusura dell’indagine. Non è chiaro se le prove raccolte porteranno a un’incriminazione (ma potrebbero spingere i repubblicani ad abbandonare l’ex presidente)

1. A che punto è l’indagine del Congresso?

Dal 9 giugno la Commissione della Camera degli Stati Uniti ha tenuto sette audizioni in diretta televisiva, basate su un’indagine durata 10 mesi sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, quando i manifestanti pro-Donald Trump, dopo un comizio del presidente uscente che voleva ribaltare il risultato elettorale, marciarono sul Campidoglio e lo invasero minacciando gli eletti e lo stesso vicepresidente Mike Pence. L’inchiesta si avvia alla conclusione. Nell’audizione di ieri, Trump è stato accusato di aver mobilitato con un tweet i Proud Boys, gli Oath Keepers e altri estremisti, dopo che tutti gli altri tentativi per restare al potere erano falliti. L’audizione di domani in prima serata, che si concentrerà sulle azioni (o l’inazione) di Trump il 6 gennaio, potrebbe essere l’ultima, seguita da un rapporto della Commissione, che sarà pubblicato possibilmente a settembre. Pian piano in queste cinque settimane sono emerse le responsabilità politiche, e probabilmente anche legali, dell’ex presidente. L’ultima sua mossa, rivelata ieri dalla Commissione: ha provato a chiamare un teste che deve ancora testimoniare. L’obiettivo dell’indagine è presentare prove che potrebbero consentire a un procuratore l’incriminazione di Trump, anche se questa via resta incerta. Nel frattempo l’ex presidente, che intende ricandidarsi nel 2024, perde quota nei consensi repubblicani (così come Biden crolla nelle rilevazioni che lo riguardano). Molti repubblicani, fino a sei mesi fa schierati con Trump, cominciano a pensare che forse i conservatori farebbero meglio a cambiare cavallo.

2. Le prove emerse finora sono gravi?

Il senso di ciò che emerso finora è che l’ex presidente avrebbe cercato in ogni modo di restare al potere e avrebbe incoraggiato i suoi sostenitori ad attaccare il Congresso, pur sapendo di aver perso le elezioni o ignorando ciò che tutti i suoi stretti consiglieri gli dissero ripetutamente, incluso il ministro della Giustizia Bill Barr e l’avvocato della Casa Bianca Pat Cipollone (la stessa figlia di Trump, Ivanka, ha detto di essere stata convinta dalle parole di Barr). La Commissione ha esaminato le pressioni di Trump sul vice Pence perché non certificasse il risultato alle urne, su funzionari statali perché «trovassero» altri voti, sul ministero della Giustizia perché dichiarasse fraudolenta l’elezione. Il 18 dicembre 2020 si arrivò ad uno scontro acceso e pieno di insulti tra Pat Cipollone e il suo team da una parte e, dall’altra, il cosiddetto «Team Crazy» (Rudy Giuliani, Michael Flynn e Sidney Powell) che ripeteva al presidente teorie cospirative (per esempio che il voto fosse stato rubato con i termostati) e soluzioni come sequestrare le macchine per il conteggio delle schede. Fallito ogni tentativo, il 19 dicembre Trump chiamò a raccolta il suo «popolo»: «Grande protesta a D.C. il 6 gennaio. Siateci, sarà folle». I sostenitori risposero immediatamente, annunciando piani violenti. Significative le testimonianze di membri «pentiti» delle milizie ma anche di personaggi di provata fede repubblicana, come Cassidy Hutchinson (braccio destro del capo dello staff), che ha dichiarato che Trump sapeva che molti suoi seguaci arrivati a Washington erano armati e, nonostante ciò, lui voleva guidarli al Congresso.

3. Anche Bannon testimonierà?

L’ex stratega di Trump ha annunciato domenica scorsa che rinuncerà ad invocare il privilegio esecutivo con cui finora, anche di fronte all’incriminazione per oltraggio al Congresso, aveva sfidato il mandato di comparizione. Se sperava così di sottrarsi al processo, si sbagliava: il giudice federale ha rifiutato di rimandarlo, inizierà il 18 luglio. Bannon parlò due volte con Trump il 5 gennaio e nel suo podcast annunciò: «Si scatenerà l’inferno». Ora Trump lo incoraggia a testimoniare: probabilmente spera che l’ex guru si riveli una voce in sua difesa. Non è chiaro però se la Commissione deciderà di accettare le condizioni di Bannon che chiede di parlare in diretta tv anziché a porte chiuse, e potrebbe trasformare questa occasione in un palcoscenico, mentre la possibilità di scoprire ciò che sa resta incerta: può appellarsi al 5° Emendamento (rifiutandosi di deporre contro se stesso), come altri alleati dell’ex presidente.

4. Ci si può fidare di questa Commissione?

La Fox, così come le altre tv e siti della destra, per mesi ha liquidato la Commissione della Camera come un organismo di parte privo di credibilità. L’immagine di questa struttura investigativa, in effetti, è rimasta a lungo indefinita: nei mesi in cui i commissari studiavano le carte, individuavano i testimoni da convocare, ricevevano rifiuti e passavano a sistemi di citazione più coercitivi (subpoena), l’organismo del Congresso non aveva nulla da offrire all’opinione pubblica. In questo clima, era stato facile per l’ala trumpiana mettere sotto accusa come traditori i due repubblicani (Liz Cheney e Adam Kinzinger) che hanno accettato di far parte della Commissione insieme a 7 democratici. Liz Cheney, privata dei suoi incarichi nel partito dei conservatori, non si è fatta intimidire, e quando sono iniziate le audizioni si è rivelata un’investigatrice capace di fare le domande giuste. La Commissione sarà pure a maggioranza democratica e avrà pure il difetto di condurre una sorta di processo informale con i teste interrogati solo da deputati che si comportano come pubblici ministeri, mentre manca il controinterrogatorio dalla difesa, ma alcuni gravi fatti emersi sono difficili da contestare. Ora sono in tanti a destra a pensare che forse alla fine questa Commissione (e la Cheney) si riveleranno salutari per il Grand Old Party: coi democratici in crisi di leadership, i repubblicani hanno la possibilità di far emergere un altro candidato in grado di vincere le presidenziali del 2024: sempre un ultrà del fronte conservatore, ma senza l’imprevedibilità, il narcisismo e il disprezzo per le regole democratiche di Trump.

5. Quali sono i rischi penali per Donald?

In teoria Trump potrebbe essere incriminato per due diversi ordini di reati. Da un lato le pressioni esercitate su singoli funzionari di vari Stati nei quali Biden l’aveva battuto di poco alle presidenziali del 2020, per ottenere l’annullamento del voto o un riconteggio orchestrato in modo tale da capovolgere il risultato delle urne. Il caso più lampante è quello della telefonata fatta da The Donald al segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger (della quale esiste la registrazione), in cui Trump chiese al funzionario responsabile della certificazione del risultato delle elezioni di trovargli 11 mila voti: quelli necessari per scavalcare il legittimo vincitore. Nel sistema giudiziario americano questo comportamento è penalmente perseguibile, ma bisogna dimostrare che il reo era consapevole di commettere un atto illegale (Trump ha sempre parlato di «elezioni rubate» e ha convinto mezzo Paese) e, comunque, si tratta di un crimine punibile al massimo con un anno di carcere.

Ben più grave il secondo filone basato soprattutto sulla testimonianza della Hutchinson, in parte confermata anche dall’ex avvocato della Casa Bianca Pat Cipollone nell’audizione a porte chiuse di ieri . Se fosse provato che Trump e il suo team hanno organizzato la sommossa del 6 gennaio 2021,Trump potrebbe essere incriminato per attentato al funzionamento di essenziali organi dello Stato: un reato punibile anche con 20 anni di reclusione. Il ministro della Giustizia, Merrick Garland, però, finora non si è mosso: se lo incriminasse verrebbe certamente accusato dalla destra di fare un uso politico della Giustizia. E forse il presidente che lo ha nominato, Joe Biden, preferisce vedersela tra due anni con un Trump azzoppato dalle evidenze di un caso che, comunque, accresce la sua impopolarità, piuttosto che dover fronteggiare — spazzato via The Donald — un candidato repubblicano «duro e puro» e giovane. Uno come il governatore della Florida Ron DeSantis che, a differenza di Trump, non potrebbe essere additato come un pericolo mortale per la democrazia americana.

12 luglio 2022 (modifica il 12 luglio 2022 | 23:22)

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, 2022-07-12 21:55:00, Il tweet che mobilitò le milizie di estrema destra, lo scontro tra gli avvocati della Casa Bianca e i consiglieri più estremisti che non volevano ammettere la sconfitta. Le ultime accuse della Commissione della Camera, a guida democratica, che si avvia alla chiusura dell’indagine. Non è chiaro se le prove raccolte porteranno a un’incriminazione (ma alla fine potrebbero spingere i repubblicani ad abbandonare l’ex presidente) , Massimo Gaggi e Viviana Mazza

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