Le ragioni della espressione della valutazione con voto decimale. Lettera

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Inviato da Edoardo Citarelli – Da qualche tempo è ripreso l’ormai storico dibattito relativo alla modalità di notifica della valutazione: voto decimale o giudizio descrittivo…?

Ormai sembra diffusa, anche sulla base del ritorno al giudizio sintetico nella scuola primaria, con la O.M. n. 172 del 04/12/2020, la tendenza, tra i pedagogisti che vanno per la maggiore, a svalutare il voto numerico a favore del giudizio descrittivo, in prospettiva, anche per la scuola secondaria.

A parere di chi scrive, invece, le cose non stanno così, e chi continua, ormai, tutto sommato, da vari decenni, a demonizzare i voti, rispetto agli stessi apprendimenti ed al successo formativo degli alunni, vive in una realtà parallela, che non corrisponde al comune intendere e sentire della stragrande maggioranza di alunni e famiglie.

Per “valutazione” è da intendersi, oltre che l’atto del valutare, anche il “dare valore”. Quindi, valorizzare il potenziale di tutti gli alunni, accogliendo anche le diversità di ciascuno di essi nel percorso di insegnamento/apprendimento.

“Valutare” e “valorizzare”, ad ogni buon conto, nel linguaggio corrente hanno un differente significato. Valutare significa attribuire un valore, stimare (un oggetto, un terreno, una prestazione, ecc…). Serve, in tal caso, qualcuno che per i suoi studi e la sua esperienza abbia gli strumenti per farlo. Valorizzare vuol dire, invece, far acquistare valore o mettere in risalto il valore di qualcosa o di qualcuno. Nel caso del docente, vuol dire mettere un allievo nelle condizioni di scoprire e utilizzare al meglio le proprie capacità; una competenza, questa, che integra quella strettamente disciplinare. Un docente deve essere capace di esercitare entrambe le funzioni, senza che una vada a detrimento dell’altra.

Possiamo, dunque, adesso porci il quesito, se gli studenti siano stimolati o demotivati da un voto negativo. C’è prima di tutto da chiedersi se, da questo punto di vista, esista differenza tra un 5 e un “insufficiente” o un “iniziale” o tra un 4 e un “gravemente insufficiente” o “in via di prima acquisizione”. E possiamo chiederci se è vero, come molti credono, che le parole siano “più eque e meno limitanti” dei voti decimali.

La risposta a tali quesiti è tanto evidente, da non richiedere ulteriori approfondimenti, dal momento che risulta chiaro che una valutazione negativa espressa tramite giudizio sintentico non possa demotivare in misura minore rispetto ad una valutazione negativa espressa con voto decimale; l’unica differenza è che quella con voto decimale risulta molto più comprensibile, sia per gli alunni che per le famiglie (e possiamo allora dedurne anche che le succitate “parole” non sono “più eque e meno limitanti” dei voti decimali). Meglio discutere, dunque, degli effetti di una valutazione negativa, comunque sia espressa.

È ovvio che in buona parte dipendono dalla sensibilità e dal carattere dello studente, ma anche, e forse soprattutto, dalla qualità del rapporto con l’insegnante. All’interno di un rapporto di fiducia, la valutazione negativa può non fare piacere, come è logico, ma è probabile che sia un incentivo a fare meglio. E proprio in tal senso, più è chiara, più l’incentivo risulta evidente ed in certo senso funge maggiormente da “stimolo” (a migliorare).

Il voto rappresenta, in ogni caso, un elemento di chiarezza che, nella mia personale esperienza (e, aggiungo, anche in quella dei docenti con i quali mi sono confrontato, sia da collega che, successivamente, da Dirigente), gli alunni apprezzano (e che io stesso ricordo molto bene di avere apprezzato anche da alunno, soprattutto allorquando, con mia somma delusione, entrato in prima media, nel lontano 1978, scoprii che non sarei stato più valutato tramite i miei amati voti, bensì tramite un giudizio descrittivo!).

Il giudizio descrittivo (anche in forma sintetica) è spesso ondivago, sottoposto da parte dei genitori a mille interpretazioni (anche in considerazione del dato di fatto che non tutti i genitori posseggono gli strumenti interpretativi adeguati), laddove il voto numerico è preciso, secco, universalmente comprensibile e non dà adito ad interpretazioni difformi e/o sommarie. Il giudizio può essere inteso in maniera molto personale; la valutazione in decimi, come risulta intuitivamente evidente, no.

L’alunno, già dalla scuola primaria, dovrebbe avere contezza dell’importanza di una prova (scritta od orale che sia) e dovrebbe essere convinto di averla svolta correttamente oppure no. Se prende 5 (o, per la scuola secondaria, anche 4) significa che deve migliorare le sue performance; se prende 6, 7, 8, fino a 10 significa che deve migliorare sempre più, per avere il massimo. Il giudizio, invece, non offre all’alunno questa possibilità e lo lascia nell’incertezza (assieme al genitore, che sicuramente richiederà poi spiegazioni al/ai docente/i). Si sente spesso affermare: “Mio figlio alla verifica scritta (o orale) ha avuto ‘intermedio’ (o ‘buono’). Ma questo ‘intermedio’ (o ‘buono’) a che voto corrisponde?”.

E il docente deve dare spiegazioni al genitore. Questo, il più delle volte, non è facile. E per questo motivo, anche nella scuola primaria, la valutazione numerica è migliore, perché l’alunno possa avere consapevolezza delle personali capacità e potenzialità. Il suddetto vulnus nella valutazione con giudizio sintetico è acuito, inoltre, nello specifico (se ci riferiamo alla menzionata O.M. 172 del 04/12/2020, relativa alla nuova valutazione nella scuola primaria), dal fatto che è previsto per la valutazione sommativa (quella periodica e finale) l’esiguo n u m e r o di 4 indicatori (come nel caso del documento di valutazione delle competenze, già dal 2017 in uso per l’uscita dalla scuola primaria e dalla scuola secondaria di primo grado): “in via di prima acquisizione” (che sostituisce la definizione di “iniziale”), “base”, “intermedio” “avanzato”.

Ebbene, diciamocela tutta: 4 indicatori sono pochi, pochissimi, laddove invece nella valutazione numerica ne avevamo a disposizione, in genere, se non dieci (ormai non si utilizzano più i primi 4 voti per la primaria, in pratica), almeno sei (ossia: 5, 6, 7, 8, 9 e 10).

Il voto, certo, ha bisogno di essere spiegato e motivato, si tratti di verifica scritta o orale. E non c’è dubbio che sia molto importante motivare una valutazione, soprattutto quando non è positiva, e “valorizzare” eventuali miglioramenti o l’impegno che c’è stato e/o la possibilità di correggere gli errori (secondo l’antico, ma sempre valido proverbio “sbagliando s’impara”, poi sostituito dal concetto di… “valutazione formativa”). Possiamo, dunque, dire che il voto ha bisogno del giudizio, ovvero di una spiegazione, ma, di converso, anche un giudizio ha comunque bisogno di confrontarsi con il voto, per evitare scarsa chiarezza, ambiguità, reticenze.

C’è un ulteriore elemento da tenere presente in questa discussione: la necessità di ricercare in un processo educativo un equilibrio tra codice paterno (principio di realtà) e codice materno (protezione, accoglienza), secondo una terminologia cara agli psicologi.

A volte la contrarietà al voto nasce soprattutto dal desiderio di proteggere sempre e comunque gli allievi dalla frustrazione e dalla delusione, che una valutazione negativa inevitabilmente comporta. Ma nell’educazione un eccesso di maternage può avere serie conseguenze sulla personalità dei ragazzi, che possono diventare ‘narcisi’, incapaci di confrontarsi con qualsiasi delusione o insuccesso. Inoltre, può succedere pure che il docente tenda a “proteggere” piuttosto se stesso (anche inconsciamente), per evitare una scelta che in qualche caso può essere penosa. Il tema è importante nel rapporto tra genitori e figli e spesso coinvolge anche gli stessi insegnanti.

Un rapido confronto con i sistemi di valutazione scolastica di altri Paesi europei ed extraeuropei risulta anche importante. Prendiamo, ad esempio, i sistemi dei tre Paesi leader in Europa (Germania, Francia e Regno Unito) e degli Stati Uniti. Si parla qua, è bene sottolinearlo, di alcuni tra i Paesi più sviluppati al mondo, riconosciuti universalmente come le “culle” della democrazia.

Germania. Numeri da 1 (livello più alto) a 6 (livello più basso) per tutti gli ordini di scuola. Per gli alunni tedeschi la massima aspirazione scolastica è quella di prendere 1, considerato che questo rappresenta il voto più alto. Al contrario, il 6, che agli alunni di casa nostra fa tirare un sospiro di sollievo, per quelli tedeschi significa un’insufficienza grave. Anche nel sistema tedesco il voto ha il suo peso e la media delle valutazioni nelle diverse materie concorre anche alla formazione del voto dell’esame conclusivo.
Francia. Numeri da 1 (livello più basso) a 20 (livello più alto), per tutti gli ordini di scuola. Il voto continua ad essere ugualmente importante per gli alunni francesi.

Regno Unito. Il sistema di valutazione in ambito scolastico ed universitario nel Regno Unito prevede numeri da 0 a 100, per tutti gli ordini di scuola. Il voto per avere la sufficienza è 40 su 100, anche se esso è sempre attribuito sulla base di un test conclusivo di un percorso.

Stati Uniti – La valutazione degli studenti americani viene fatta attraverso le lettere. Si va dalla A, che rappresenta il voto più alto, alla F, che rappresenta quello più basso. In sostanza, negli Stati Uniti le lettere dalla A alla F hanno lo stesso significato dei numeri da 1 a 6 che abbiamo in Germania, per tutti gli ordini di scuola. Anche qua, dunque, siamo in presenza di un sistema di valutazione molto chiaro ed univoco, equivalente a quello numerico, che non utilizza aggettivi diversamente intepretabili.
Se, dunque, in quei Paesi (che ci sopravanzano in pratica in tutti i settori) i sistemi di notifica della valutazione scolastica sono questi ed a nessuno è mai venuto in mente di eliminare la valutazione chiara del numero (o della lettera corrispondente al numero, come nel caso degli Stati Uniti), per quale ragione in Italia da almeno 5 decenni si continua a tutti i costi a contrastare ciò che è universalmente riconosciuto come valido? A questa domanda, nessuno degli esperti di didattica che vanno per la maggiore mi pare abbia dato finora risposta.

Personalmente, infine, sento troppo spesso persone (pedagogisti, addetti ai lavori, politici) che non si limitano a sostenere la necessità di adottare nuove strategie didattiche, ma che lo fanno a partire dalla colpevolizzazione degli insegnanti, ai quali si addebitano tutti gli insuccessi scolastici.

Anche qui, non di rado, capita di ascoltare finanche battute sprezzanti sul godimento che, non qualche insegnante, bensì gli insegnanti in genere, proverebbero nel sentirsi ripetere a pappagallo le loro spiegazioni. Se si vuole che gli insegnanti riflettano sul proprio modo di lavorare e prendano in considerazione i cambiamenti giusti (non quelli delle didattiche che prevedono l’utilizzo dei giudizi al posto dei voti numerici e neppure quelli che generalizzano l’idea del “docente liquido” delle… “flipped classrooms”, ecc…) non credo sia questo il modo di incoraggiarli in tal senso.

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