L’avvertimento di Xi a Biden: perché quello tra America e Cina è lo scontro tra superpotenze deboli

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Dobbiamo temere la debolezza delle superpotenze, più della loro forza? America e Cina attraversano turbolenze economiche di cui il resto del mondo pagherà le conseguenze. La lunghissima telefonata di giovedì sera tra Joe Biden e Xi Jinping è stata in gran parte segnata dall’incomprensione reciproca, fra due leader assediati da molti problemi domestici. Resta agli atti l’avvertimento di Xi per dissuadere la presidente della Camera Usa dal visitare Taiwan: «Quelli che giocano col fuoco si bruceranno». Taiwan potenzialmente potrà diventare il focolaio di una crisi geopolitica perfino più grave dell’Ucraina, visto che per difendere quell’isola da un’aggressione militare cinese l’America ha promesso d’intervenire: nell’immediato però è solo uno dei problemi all’orizzonte.

Recessione americana, guaio mondiale

Gli Stati Uniti sono già tecnicamente in recessione, visto che per il secondo trimestre consecutivo il loro Pil è calato. «Quando l’America si prende il raffreddore, per l’Europa è in arrivo una polmonite»: presto vedremo se quel vecchio detto è ancora valido; di sicuro c’è una correlazione forte tra le due sponde dell’Atlantico, a base di commercio e investimenti. Uno degli automatismi avviene attraverso il rialzo dei tassi d’interesse e qui il conto lo pagano i paesi in via di sviluppo ancor più dell’Europa. Sono tante le nazioni emergenti ad avere debiti in dollari, e per questo sono penalizzate due volte: il dollaro si rafforza (è la classica moneta rifugio in tempi di tensioni geopolitiche), i tassi salgono, i loro debiti diventano più costosi da rimborsare. L’unica buona notizia è questa: la recessione dovrebbe raffreddare l’inflazione (ora al 9% negli Usa), e in questo modo potrebbe abbreviare la cura dolorosa della stretta monetaria da parte della banca centrale americana.

Frenata cinese, mutui e Covid

La Cina non sta meglio. Il Politburo del partito comunista ha di fatto rinunciato all’obiettivo di una crescita del Pil del 5,5% a fine anno. E’ un gesto pesante, perché siamo nell’anno in cui Xi vuole incassare il suo terzo mandato presidenziale, quello che a ottobre lo consacrerà di fatto «imperatore a vita»; quindi per motivi di prestigio avrebbe fatto tutto il possibile per mantenere una crescita economica sostenuta. Paga problemi strutturali come lo scoppio della bolla immobiliare (milioni di cinesi stanno pagando ratei su mutui per delle case che non avranno, perché i costruttori sono falliti) e la gestione troppo rigida della pandemia (Wuhan è di nuovo in lockdown, per una manciata di casi positivi). La frenata dell’economia cinese ha anch’essa ripercussioni globali.

De profundis per il modello tedesco

Quando l’Europa era trainata dalla locomotiva tedesca, quest’ultima era in realtà a sua volta un vagone della locomotiva cinese, per gli ampi sbocchi che il «made in Germany» trovava sul mercato dell’Estremo Oriente. Le rispettive debolezze non spingono affatto verso delle intese fra Washington e Pechino, anzi. Biden per adesso ha accantonato o rinviato la riduzione dei dazi doganali che erano stati introdotti da Donald Trump sulle merci «made in China». Quei dazi non sono stati l’Apocalisse del protezionismo che molti economisti annunciavano; ma neppure sono serviti a ridurre la concorrenza sleale delle aziende cinesi, che hanno continuato a invadere il mercato americano dei loro prodotti. Toglierli «gratis» però sarebbe vissuto come un cedimento; né Xi sembra disponibile ad offire contropartite di alcun genere in cambio di quel simbolico ramoscello d’ulivo.

Su Taiwan errori paralleli?

Il caso Taiwan è emblematico di come le due superpotenze si siano cacciate ambedue in una situazione difficile. L’isola che Pechino considera una «provincia ribelle» dal 1949, è protetta militarmente dagli Stati Uniti, senza con questo che Washington voglia incoraggiare una sua indipendenza formale. L’ambiguità della politica americana risale ai tempi del disgelo diplomatico fra Richard Nixon e Mao Zedong, anno 1972: pochi anni dopo quel summit e come conseguenza del disgelo, gli Stati Uniti riconoscono la Repubblica Popolare come «l’unica Cina», ma al tempo stesso auspicano che la questione taiwanese sia risolta in modo pacifico, consensuale. La speranza di una riunificazione soft, che avvicini Pechino e Taipei lasciando all’isola il suo sistema democratico, i suoi diritti civili, la sua libertà di espressione, è stata distrutta da Xi Jinping con il trattamento repressivo inflitto a Hong Kong. Xi continua a parlare di riunificazione ma in queste condizioni lascia aperta solo una brutale opzione militare. E qualsiasi gesto di solidarietà occidentale con Taiwan viene trattato come una «provocazione» da parte della Cina comunista.

Pasticcio Pelosi

Così il viaggio annunciato da Nancy Pelosi, terza carica istituzionale degli Stati Uniti. Vi fu solo un precedente nel 1997, quando l’allora presidente della Camera Newt Gingrich, repubblicano, visitò l’isola. Pechino tuonò e tempestò anche allora, ma un quarto di secolo fa i rapporti di forze militari erano ben più favorevoli all’America. Oggi la Cina minaccia in modo più o meno esplicito di «intercettare» l’aereo su cui volerebbe la Pelosi, così creando un incidente militare di straordinaria pericolosità. A Washington la Casa Bianca e il Pentagono fanno pressione sulla Pelosi perché cancelli la tappa «proibita» dal suo viaggio asiatico. Così le due superpotenze si auto-riducono le rispettive flessibilità e libertà di manovra. Xi ha usato minacce così pesanti per impedire il viaggio della presidente della Camera Usa, che obbliga se stesso a fare qualcosa di grave se non vuole perdere la faccia. Tanto più se peggiorano le tensioni economiche e sociali interne alla Cina, la leadership comunista userà un nazionalismo aggressivo come valvola di sfogo per il malcontento. La Pelosi a sua volta perderà la faccia se cancella quel viaggio, con la possibile conseguenza che il prossimo presidente della Camera, repubblicano, vorrà farlo. Anche Biden verrà accusato di mollezza se le sue pressioni fanno retrocedere la sua collega di partito. Un prossimo presidente repubblicano potrebbe decidere di mostrare i muscoli in un frangente simile. Si stanno fabbricando le premesse per una crisi, dalla sommatoria di tante fragilità.

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29 luglio 2022, 14:34 – modifica il 29 luglio 2022 | 15:16

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, 2022-07-29 13:16:00, America e Cina attraversano turbolenze economiche di cui il resto del mondo pagherà le conseguenze, Federico Rampini

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