I laureati

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L’altra mattina mi sono svegliato e non so se ho trovato l’invasor, ma di sicuro ho pensato: dopo la Juve in serie B e la Meloni premier, adesso posso dire di averle viste tutte. Quanto mi sbagliavo. Non avevo ancora visto Di Battista esortare Di Maio a prendersi la laurea. Intendiamoci, i dioscuri di Grillo si sono sempre cordialmente detestati. Chiedendo scusa agli eredi per la efferata smodatezza del paragone, Dibba stava a Di Maio come Che Guevara a Fidel Castro. L’uno sentimentale e l’altro razionale, l’uno di pennacchio e l’altro di potere. Perciò, all’indomani della repentina e catastrofica eclissi dell’astro dimaiano, il calcio dell’asino era nell’aria. Sono le modalità del calcio a lasciare esterrefatti, perché certe prediche ce le saremmo aspettate dagli aristocratici del Pd, riuniti nell’ormai metafisico circolo del golf di Capalbio evocato dalla Meloni. Non da uno come Di Battista che, dall’alto della sua laurea al Dams, ha deriso per anni la cultura borghese e ha rifuggito qualunque cosa assomigliasse a un percorso lavorativo tradizionale, anzi a un percorso lavorativo tout court, trasformandosi in un riuscito esperimento di fuoricorso esistenziale.

Invece, dopo averci frantumato gli zebedei con la bislacca teoria che in politica la competenza è pura zavorra, adesso se ne salta fuori con una raccomandazione da vecchia zia. Senza rendersi conto che, in bocca a lui, quel riferimento perentorio alla laurea da prendere fa piuttosto pensare alla celebre lettera di Totò, Peppino e la Malafemmina, che poi sarebbe Conte.

Il Caffè di Gramellini vi aspetta qui, da martedì a sabato. Chi è abbonato al Corriere ha a disposizione anche «PrimaOra», la newsletter che permette di iniziare al meglio la giornata. La si può leggere qui.

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28 settembre 2022, 07:06 – modifica il 28 settembre 2022 | 07:06

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-09-28 05:07:00,

L’altra mattina mi sono svegliato e non so se ho trovato l’invasor, ma di sicuro ho pensato: dopo la Juve in serie B e la Meloni premier, adesso posso dire di averle viste tutte. Quanto mi sbagliavo. Non avevo ancora visto Di Battista esortare Di Maio a prendersi la laurea. Intendiamoci, i dioscuri di Grillo si sono sempre cordialmente detestati. Chiedendo scusa agli eredi per la efferata smodatezza del paragone, Dibba stava a Di Maio come Che Guevara a Fidel Castro. L’uno sentimentale e l’altro razionale, l’uno di pennacchio e l’altro di potere. Perciò, all’indomani della repentina e catastrofica eclissi dell’astro dimaiano, il calcio dell’asino era nell’aria. Sono le modalità del calcio a lasciare esterrefatti, perché certe prediche ce le saremmo aspettate dagli aristocratici del Pd, riuniti nell’ormai metafisico circolo del golf di Capalbio evocato dalla Meloni. Non da uno come Di Battista che, dall’alto della sua laurea al Dams, ha deriso per anni la cultura borghese e ha rifuggito qualunque cosa assomigliasse a un percorso lavorativo tradizionale, anzi a un percorso lavorativo tout court, trasformandosi in un riuscito esperimento di fuoricorso esistenziale.

Invece, dopo averci frantumato gli zebedei con la bislacca teoria che in politica la competenza è pura zavorra, adesso se ne salta fuori con una raccomandazione da vecchia zia. Senza rendersi conto che, in bocca a lui, quel riferimento perentorio alla laurea da prendere fa piuttosto pensare alla celebre lettera di Totò, Peppino e la Malafemmina, che poi sarebbe Conte.

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28 settembre 2022, 07:06 – modifica il 28 settembre 2022 | 07:06

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, Massimo Gramellini

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