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La lezione di Joseph Roth e i confini sovrapposti delle tante «patrie»

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di Gian Antonio StellaBrody, il paese natale dello scrittore, prima considerato polacco poi ucraino, è l’esempio di come l’idea di casa sia più complessa di quanto spieghi il fanatismo

Qual era la patria di Joseph Roth, l’autore de «La marcia di Radetzky», «La cripta dei Cappuccini», «La leggenda Santo bevitore?» La Polonia, rispondeva fino a ieri mattina l’enciclopedia Treccani, mai aggiornata per un baco del sistema, spiegando che il Paese natale del grande scrittore mitteleuropeo, Brody, era il «capoluogo di circondario nel palatinato di Tarnopol». No, l’Ucraina
, dice l’Encyclopedia Britannica, precisando che la cittadina si trova «vicino al fiume Styr», a est di Leopoli, all’estremità occidentale dello Stato oggi sotto attacco russo. Wikipedia conferma: è in Ucraina, nella Galizia dove stanno tentando di mettere in salvo la statua del prezioso Cristo Salvatore e altri tesori minacciati dall’arrivo dei tank di Putin richiamati anche dalla presenza proprio lì del vecchio oleodotto dell’Amicizia col Patto di Varsavia e dal più recente Brody-Odessa. Ma in ucraino si chiama Броди, in polacco Brody, in russo Броды, in tedesco Brody, in yiddish Brod. E non c’è forse esempio che spieghi meglio, bug tecnologico della Treccani incluso, come l’idea della patria e dei suoi confini sia una cosa più complessa di quanto pensino i sedicenti «patrioti» fanatici, muscolari e nazionalisti di tutti i tempi e colori. Perché la cittadina no, non si è mai spostata. È rimasta sempre lì, con la Torre dell’Orologio, la Piazza Mercato e i resti del castello rinascimentale. Si son spostate le frontiere, solo quelle. Con spaesamenti, lacrime, stragi. Ha ragione papa Francesco: «Le frontiere degli Stati non sempre coincidono con demarcazioni di popolazioni omogenee e molte tensioni provengono da un’eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati, spesso proprio in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare il bene comune».

Le radiciQual era dunque l’Heimat dello scrittore figlio di Nachum Roth, un ebreo chassidico che commerciava cereali tra la Galizia e Amburgo (e sparito presto in un manicomio) e di Maria Grübel appartenente a una famiglia ebraica di negozianti di tessuti? Brody, il paese di 11mila abitanti per due terzi ebrei che l’Enciclopedia italiana del 1930 descriveva al centro di «una zona piana e paludosa, coperta in parte di foreste» ma benedetto da «attivi commerci»? Certo, quel piccolo mondo sparpagliato in tutta l’Europa orientale al quale dedicò il reportage Ebrei erranti, Roth lo conosceva bene: «Gli ebrei orientali non hanno patria in nessun luogo, ma tombe in ogni cimitero. Molti diventano ricchi. Molti diventano importanti. Molti diventano attivi in una cultura straniera» ma sempre «in esilio», colpiti dai pogrom, ostaggi in terre altrui. Anche nella «sua» Leopoli dove aveva studiato. Nel «suo» impero asburgico: «Ogni nazione austriaca si appellava alla “terra” che le apparteneva. Solo gli ebrei non si potevano appellare a un proprio suolo (o “zolla”, come si dice in questo caso). In Galizia la maggior parte di essi non era né polacca né rutena. L’antisemitismo era vivo comunque nei tedeschi ma anche nei cechi, nei polacchi ma anche nei ruteni, nei magiari ma anche nei rumeni della Transilvania. Gli ebrei hanno smentito il proverbio secondo il quale tra i due litiganti il terzo gode. Gli ebrei sono stati il terzo che ha sempre perduto».

La MitteleuropaEppure quel vecchio mondo multietnico dove non serviva passaporto e «si viaggiava in lungo e in largo e di traverso» a una patria «molteplice» in cui i gendarmi «portavano lo stesso cappello piumato e lo stesso elmetto color argilla» e le «imperial-regie rivendite di tabacchi erano dipinte a strisce diagonali gialle e nere» sembrava a Roth, nel ricordo, l’unica «patria possibile» per i «senzapatria».

Lo spiega ne «l busto dell’Imperatore». Dove racconta del vecchio conte Franz Xaver Morstin, un nobiluomo galiziano di seicentesche origini italiane che «non si considerava né polacco, né italiano, né un aristocratico polacco, né un aristocratico di origine italiana» ma «un cosmopolita e, dunque, un nobile autentico». Che si chiedeva: «Ora che questo villaggio (…) appartiene alla Polonia e non all’Austria, è ancora la mia patria? Cos’è mai patria? Quella certa uniforme del gendarme e del doganiere che abbiamo incontrato nella nostra infanzia non è forse altrettanto “patria” quanto il pino e l’abete, la palude e il prato, la nuvola e il ruscello? Se però mutano gendarmi e finanzieri, mentre pino e abete e ruscello e palude restano i medesimi, è ancora patria questa?»

La casaE fu così che si spinse a celebrare, dieci anni dopo la fine della Grande Guerra, i solenni funerali con tanto di bara, rabbino, prete ortodosso e parroco cattolico, al busto di Francesco Giuseppe che un tempo vegliava all’ingresso del suo palazzetto. Spiegando: «Io odio le Nazioni e gli Stati nazionali. La mia vecchia patria, la monarchia sola era una grande casa con molte porte e molte stanze per molte specie di uomini. La casa è stata suddivisa, spaccata, frantumata. Là io non ho più nulla da cercare. Io sono abituato a vivere in una casa, non in una cabina». E torniamo alla domanda iniziale: qual’era, la patria di Joseph Roth? Il piccolo cosmo di Brody? La Galizia allora austro-ungherese poi polacca e infine Ucraina? Il mondo ebraico che parlava yiddish? La defunta monarchia di Franz Joseph von Österreich cioè Ferenc József per gli ungheresi, František Josef per i cechi, Franciszek Józef per i polacchi e così via? O quella Francia dove, dopo essersi imposto come giornalista e scrittore a Vienna e a Berlino, riparò il giorno stesso in cui Hitler diventò cancelliere, e dove sarebbe morto in esilio?

L’idea di identitàDifficile rispondere. Anni fa, sul Corriere, a proposito delle lingue troppo spesso marcate come linee di confine, Claudio Magris (che per primo col libro Lontano da dove: Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale fece conoscere anche in Italia la grandezza dello scrittore), definì però un’idea dell’identità che aiuta a capire meglio: «L’identità autentica assomiglia alle Matrioske, ognuna delle quali contiene un’altra e s’inserisce a sua volta in un’altra più grande».

10 marzo 2022 (modifica il 10 marzo 2022 | 08:32)
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, 2022-03-10 07:33:00, Brody, il paese natale dello scrittore, prima considerato polacco poi ucraino, è l’esempio di come l’idea di casa sia più complessa di quanto spieghi il fanatismo, Photo Credit: , Gian Antonio Stella

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