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Javier Marías: «Pacifismo ipocrita: comunque la Russia finirà a pezzi»

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di Paolo Lepri Lo scrittore spagnolo: il male? È molto semplice: abbiamo visto che nel caso del presidente russo è soltanto desiderio di controllo e dominio. A sinistra c’è chi dice che aiutare Kiev aggrava la guerra: cosa andava fatto, permettere l’invasione?

Nessuna fascinazione romanzesca. Javier Marías — che affianca da oltre vent’anni al suo eccezionale lavoro di scrittore l’impegno civile, spesso controcorrente, degli articoli domenicali spesso dedicati alla politica — ha sempre condannato Vladimir Putin senza attenuanti e senza indulgenze, indicando le sue malefatte alla guida della Russia («una tremenda non-democrazia») nelle «colonne» riunite ora in questo volume che ho qui davanti a me, ¿Será buena persona el cocinero?, pubblicato da pochi giorni in Spagna. «Il male è molto semplice», mi dice rispondendo al telefono dalla casa silenziosa che domina il rumoroso centro storico madrileno. La trama del suo ultimo libro di narrativa, Tomás Nevinson, è guidata da
un «dilemma morale»: è legittimo uccidere per «evitare un male peggiore»? Vengono ricordati a questo proposito due uomini — in un film e nella realtà — che avrebbero avuto l’opportunità di assassinare Hitler: uno dei due, lo scrittore tedesco Friedrich Reck-Malleczewen, cattolico e conservatore, incontrò nel 1932 il futuro Fuhrer senza i suoi guardaspalle in un ristorante di Monaco e scrisse poi che se avesse saputo dell’inferno in procinto di arrivare nella nostra Europa lo avrebbe sicuramente colpito. Andando per paradossi, chiedo all’autore di Un cuore così bianco se anche uccidere il leader del Cremlino potrebbe essere considerato — in questa ottica — un atto legittimo. «Immagino – dice — che se succedesse molti non ne sarebbero rattristati.

Putin è invece al suo posto. Che idea si è fatta, alla luce di quanto sta accadendo, dell’uomo che ha deciso di invadere l’Ucraina?
«Lo ho osservato molto in questi anni. Si vede che è uno spaccone. Un bullo, direi. Il grande problema è che quando uno spaccone decide di fare un passo grave come questo gli è poi impossibile tornare indietro. Se non riuscisse nei suoi piani per lui sarebbe gravissimo. Deve continuare a tutti costi. Vincerà, prima o poi, perché la differenza tra le forze in campo è immensa, ma non può permettersi niente altro che un successo. In questo senso non credo che da parte della Russia possano venire concessioni o compromessi.

È un personaggio — il classico «cattivo» — che incuriosisce uno scrittore come lei?
«No, non troppo. Non condivido affatto l’interesse della nostra epoca per i personaggi malvagi. Forse questo interesse c’è sempre stato nella storia, ma negli ultimi decenni è diventato esagerato. Mi sembra che il male abbia un “prestigio” che non condivido. Non dico che un personaggio malvagio non possa essere intelligente. Non penso infatti che Putin sia uno stupido, anzi, sembra che sia una persona astuta e furba. Ma alla fine il male è molto semplice. È ben più complessa la bontà. O, se non la bontà, sono complesse le persone che hanno delle contraddizioni. Nel caso del presidente russo il male è soltanto desiderio di controllo e di dominio. Abbiamo visto in questi anni il modo in cui ha governato: avvelenando, incarcerando ed eliminando tutti coloro che gli davano fastidio. La Russia è un Paese senza libertà: ha cambiato la Costituzione per rimanere al potere in eterno».

Qualcuno lo ama?
«È curioso che in Occidente Putin abbia avuto difensori apparentemente opposti nel mondo politico. Da una parte l’estrema destra — Salvini, Le Pen, Zemmour, Vox — e dall’altra una certa sinistra, come Podemos in Spagna o Mélenchon in Francia, che evitano oggi di condannare chiaramente l’invasione».

Qual è il suo giudizio su quella parte dell’universo pacifista contraria ad armare l’Ucraina?
«Sotto l’ombrello di un pacifismo ipocrita a sinistra molti dicono che aiutare militarmente l’Ucraina vuol dire aggravare la guerra. E allora che bisognerebbe fare: lasciarsi invadere e lasciarsi conquistare? Troppe critiche agli Stati Uniti, alla Nato e all’Europa».

C’è chi sostiene che la guerra abbia indebolito il fronte populista europeo. Che ne pensa?
«Può darsi, ma non penso che questa sia attualmente la principale preoccupazione del presidente russo. In questi anni Putin ha tentato di destabilizzare l’Unione Europea, alimentare i movimenti secessionisti, influire nelle elezioni. Questo è quello che è accaduto, questo è ciò che rimane».

L’idea di democrazia può ritrovare forza grazie all’esempio di un Paese democratico aggredito che resiste all’aggressione?
«Forse sì. Ma la cosa sicura è che la Russia sarà rovinata e isolata, comunque vada a finire la guerra. Si tratta di una magra e triste consolazione. Un Paese dall’economia distrutta che nel futuro farà meno paura».

Condivide la tesi secondo cui un eccesso di autocritica avrebbe indebolito il mondo occidentale, lasciandolo impreparato di fronte alle minacce?
«Questo è possibile, certamente. Ho parlato spesso della tendenza assurda di questi ultimi anni a chiedere perdono. Mi sembra una gravissima arroganza: non posso chiedere perdono per una cosa che ha fatto un altro o che ha fatto qualcuno morto da secoli. Sì, da parte occidentale c’è stato un senso di colpa esagerato».

Ritiene che in ogni caso la reazione della comunità internazionale all’«operazione militare speciale» della Russia sia stata adeguata?
«Mi sembra che sia stato fatto quanto si poteva fare. Quello che non si può è inviare soldati. Il sentimento generale è stato di indignazione e di rabbia. Per quanto mi riguarda, io non ero affatto sicuro — nonostante il massiccio spostamento di truppe nelle settimane precedenti — che l’invasione si sarebbe effettivamente realizzata. Sembrava un’enormità».

In un mondo che sembra tornare al passato, si può riparlare parlare dell’«impegno» degli intellettuali? Possono fare qualcosa per fermare il male?
«No, penso di no. Da tanto tempo ho una rubrica domenicale su un quotidiano. Il più delle volte affiora la sensazione che si tratti di cose inutili. Ma c’è invece chi mi scrive o mi ringrazia perché ha scoperto un altro punto di vista, perché l’ho fatto pensare. L’importanza degli intellettuali è diminuita soprattutto perché molti di loro si sono sbagliati, hanno rovinato il loro prestigio difendendo l’indifendibile. È facile pensare a Sartre: ha iniziato da giovane flirtando con il nazismo e poi ha finito giustificando Mao Zedong. Troppi hanno appoggiato cause orribili. È per questo abbiamo perso sempre di più la capacità di influenzare. Non contiamo molto, anche se si tenta di fare il possibile per aiutare a vedere le cose in modo diverso dal pensiero della nostra epoca. La capacità dei social media di influenzare oggi la gente non è lontanamente paragonabile. Immaginiamo cosa sarebbe riuscito a fare Goebbels di questi tempi se pensiamo al male che ha fatto usando soltanto la radio e i giornali. E in confronto a Trump e Putin, anche Goebbels è un apprendista».

Cosa avrebbe pensato di questa guerra suo padre, il filosofo Julián Marías, che ha vissuto i grandi conflitti del secolo scorso?
«Non so. Sicuramente avrebbe pensato che Putin è un criminale. Questo è ovvio. Mio padre era molto ottimista: immagino che sarebbe stato convinto dell’impossibilità di paragonare l’invasione russa dell’Ucraina all’occupazione nazista della Cecoslovacchia. Io, che sono molto meno ottimista di quanto non fosse lui, penso in realtà la stessa cosa, perché la macchina bellica della Wehrmacht era allora enormemente più forte di qualsiasi altra, al contrario di quella russa. Certo, se usassero l’arma nucleare tutto cambierebbe». Ci lasciamo così, dopo queste parole di paura e di rimpianto, tornando al lavoro e ai libri. Alla ricerca di una apparente normalità. Con l’auspicio, condiviso, che la catastrofe non si trasformi in un’apocalisse.

11 marzo 2022 (modifica il 11 marzo 2022 | 07:50)
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, 2022-03-11 07:07:00, Lo scrittore spagnolo: il male? È molto semplice: abbiamo visto che nel caso del presidente russo è soltanto desiderio di controllo e dominio. A sinistra c’è chi dice che aiutare Kiev aggrava la guerra: cosa andava fatto, permettere l’invasione?, Photo Credit: , Paolo Lepri

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