Il voto numerico è più chiaro. No, i giudizi spiegano meglio il livello di apprendimento. Si accende il dibattito sulla valutazione a scuola

La notizia del prossimo ritorno al voto numerico alla scuola primaria ha riacceso i riflettori su quello che è un tema che dividerà sempre il popolo della scuola, ovvero la valutazione. Il Governo sta spingendo in questa direzione da un lato ma dall’altro arrivano paletti e preoccupazioni da parte di docenti e pedagogisti.

A dare il la al dibattito è stata la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti:Lo studente manifesta un disagio e io sono molto critica al riguardo, perché in alcune situazioni si arriva a voler togliere i voti perché gli da troppa ansia ed è una deriva che dobbiamo contrastare. Non può esserci una scuola educante e che continua a coccolare gli studenti come se fossero soggetti problematici“.

Secondo Frassinetti, l’attuale sistema di valutazione tramite giudizio “ha creato solo confusione nelle famiglie, complicando il lavoro dei docenti”.

La sottosegretaria ha ribadito che “nella vita i voti arrivano in ogni caso inesorabili e abituarsi da bambini è un modo per prepararsi alle valutazioni future”.

Elisabetta Nigris, docente dell’Università di Milano Bicocca, non concorda con la proposta di Frassinetti.

Nigris, che in passato ha collaborato con rappresentanti universitari, Indire, Invalsi, insegnanti e dirigenti scolastici nella definizione dei criteri di valutazione, sostiene l’importanza di una valutazione descrittiva.

Secondo Nigris, infatti, la valutazione descrittiva “ha la possibilità di individuare e spiegare con maggiore rigorosità quello che il bambino ha imparato nella sua interezza e nella sua articolazione”.

A sostegno della proposta di Frassinetti arriva la responsabile scuola di Fratelli d’Italia Carmela Bucalo: “Siamo sicuri, quindi, che la soluzione per far crescere l’autostima e la sicurezza dei nostri studenti stia nel togliere i voti? O piuttosto c’è il rischio serio di innescare un processo di deresponsabilizzazione e mortificazione dell’impegno dei nostri studenti?“, prosegue.

Il voto è e resta lo strumento più chiaro per esprimere una valutazione sul rendimento dell’alunno ed assume tanto più valore nella misura in cui esso non è attribuito in maniera asettica bensì è accompagnato da un giudizio che spiega in maniera chiara i punti di forza o le criticità che lo hanno determinato”, conclude.

La proposta non sembra entusiasmare i pedagogisti. Cristiano Corsini, docente di Pedagogia all’Università Roma 3 dice: “Non esiste alcuna legge che obbliga chi insegna ad assegnare un voto ogni volta che uno studente risponde a una domanda o fa un esercizio. Secondo la legge l’unico voto obbligatorio è quello della valutazione periodica e finale, ovvero quello sulla scheda di fine periodo (trimestre o quadrimestre) e poi a fine anno”.

Ogni scuola – prosegue il professore universitario – fornisce indirizzi generali, ma non può certo obbligare un docente ad assegnare un voto a una determinata attività né può impedire che studenti, studentesse e famiglie abbiano informazioni dettagliate sul processo d’apprendimento”.

La sottosegretaria Frassinetti sostiene che l’abbandono dei voti alla primaria è stato un fallimento: si tratta di un’opinione legittima, tuttavia non è sostenuta da alcuna evidenza e questo mi pare un bel problema“, continua Corsini.

Il pedagogista evidenzia come “è vero, purtroppo, che il cambiamento non è stato minimamente sostenuto da investimenti per il monitoraggio, per cui non so su quali basi la sottosegretaria parli di fallimento”.

“Io sono tre anni che svolgo ricerche su questo tema con centinaia di docenti di scuole primarie in giro per l’Italia – racconta il pedagogista – e devo dire che quello che ho imparato lavorando sul campo sconfessa il parere di Frassinetti. La situazione non è affatto fallimentare, semmai è eterogenea. Ci sono scuole che hanno svolto o che stanno svolgendo un percorso formativo sicuramente impegnativo ma anche significativo”.

Posizione condivisa anche dal pedagogista Mario Maviglia, che in un’intervista rilasciata a Orizzonte Scuola ha detto: “C’è un problema di fondo che non può essere trascurato: la pratica dei giudizi descrittivi è oggettivamente più laboriosa e impegnativa di quella del voto. Nella sua apoditticità e sinteticità il voto è immediatamente comprensibile anche da parte dei genitori. Il giudizio richiede un’opera di lettura e decodifica del significato. In realtà anche dietro il voto si celano valori diversi, tanto che ci sono docenti di “manica larga” e altri più “stretti”, il che vuol dire che vengono attribuiti valori diversi allo stesso voto”.

“Quello che ancora manca, al di là dei cambiamenti che man mano si susseguono nei modi formali del valutare, è, come dicevo prima, il valore formativo della valutazione, tanto per lo studente quanto per il docente. Oggi la valutazione in Italia ,soprattutto quella espressa attraverso i voti, quantifica, seleziona, pesa, ma quasi mai orienta il cambiamento o il miglioramento. Non serve per riorientare l’intervento educativo da parte del docente o per individuare i punti di difficoltà da parte dello studente. Uscire da questa logica vuol dire investire nella formazione dei docenti sui temi della valutazione e puntare a processi autovalutativi per gli studenti”, aggiunge l’esperto.

In generale, possiamo aggiungere, sul voto si consuma un dibattito che chiama in causa anche gli studenti stessi, che troppo spesso hanno manifestato la pressione di inseguire un voto. Oltre alla sensazione di dover studiare solo ed esclusivamente per un obiettivo numerico e non per l’apprendimento.

Tema messo a fuoco dallo psicologo, psicoterapeuta e docente presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca Matteo Lancini.

Secondo Lancini, infatti, il sistema di valutazione attuale, incentrato su voti, bocciature e esami di riparazione, contribuisce a creare un ambiente negativo.

Lancini critica l’enfasi eccessiva sulla competizione e la “caccia al voto”, a scapito di un autentico apprendimento. Questo approccio rischia di alienare ulteriormente gli studenti, spingendoli verso il ritiro e l’abbandono scolastico.

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