Il divismo di Raffaella Carrà e la forza della tv generalista

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di Aldo Grasso

Prima del reality e dell’aspirazione a «essere tutti divi», la qualifica di «divo» aveva un carattere esclusivo

A un anno dalla morte, molte reti tv hanno reso omaggio a Raffaella Carrà: alla showgirl ma anche alla donna libera, a Raffaella (come la chiamavano nel mondo ispano-americano) e a «la Carrà» (come la chiamavamo noi), al primo ombelico della tv italiana e alla «colonna sonora» di tanti sabati sera. Stupiscono, se mai, i molti articoli scritti da persone insospettabili, cioè persone impegnate tutto l’anno con l’alta letteratura e temi sensibili. Facile rispondere che questa è la forza della tv generalista che, nonostante Internet, è ancora il motore e lo specchio delle nostre passioni, emozioni, percezioni. Una forza capace di raccogliere una comunità altrimenti distante, di offrire immaginari condivisi in modo trasversale. Sì, quello televisivo è proprio un divismo un po’ speciale («la diva senza divismo» per citare una canzone della Carrà), creato in buona parte dall’abitudine, dalla ripetizione, dall’insistenza. Prima del reality e dell’aspirazione a «essere tutti divi», la qualifica di «divo» aveva un carattere esclusivo, si riferiva alle star hollywoodiane e più in generale al mondo del cinema.

Oggi non più, il divismo televisivo è spesso un catalogo sfibrato, privo di carisma. L’intellettuale, però, ha capito che la fenomenologia di Mike Bongiorno può essere anche vissuta come un atto di superbia; così oggi si tende a esagerare in senso contrario: il mito raccontato da vicino (di casa). Nell’epoca della convergenza e della multimedialità, si preferisce parlare non tanto di mito quanto di icona, una parola che nel giro di poco tempo si è inflazionata. Raffaella, tra le sue molte virtù, era anche l’icona creata dai costumi di Luca Sabatelli. Per questo Pedro Almodovar può affermare che «Raffaella non era una donna ma uno stile di vita» senza tema di dire una banalità perché la prima caratteristica del divismo, sartoriale o pret-à-porter, è proprio quello di rappresentare uno stile di vita.

6 luglio 2022 (modifica il 6 luglio 2022 | 21:35)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-07-06 19:37:00,

di Aldo Grasso

Prima del reality e dell’aspirazione a «essere tutti divi», la qualifica di «divo» aveva un carattere esclusivo

A un anno dalla morte, molte reti tv hanno reso omaggio a Raffaella Carrà: alla showgirl ma anche alla donna libera, a Raffaella (come la chiamavano nel mondo ispano-americano) e a «la Carrà» (come la chiamavamo noi), al primo ombelico della tv italiana e alla «colonna sonora» di tanti sabati sera. Stupiscono, se mai, i molti articoli scritti da persone insospettabili, cioè persone impegnate tutto l’anno con l’alta letteratura e temi sensibili. Facile rispondere che questa è la forza della tv generalista che, nonostante Internet, è ancora il motore e lo specchio delle nostre passioni, emozioni, percezioni. Una forza capace di raccogliere una comunità altrimenti distante, di offrire immaginari condivisi in modo trasversale. Sì, quello televisivo è proprio un divismo un po’ speciale («la diva senza divismo» per citare una canzone della Carrà), creato in buona parte dall’abitudine, dalla ripetizione, dall’insistenza. Prima del reality e dell’aspirazione a «essere tutti divi», la qualifica di «divo» aveva un carattere esclusivo, si riferiva alle star hollywoodiane e più in generale al mondo del cinema.

Oggi non più, il divismo televisivo è spesso un catalogo sfibrato, privo di carisma. L’intellettuale, però, ha capito che la fenomenologia di Mike Bongiorno può essere anche vissuta come un atto di superbia; così oggi si tende a esagerare in senso contrario: il mito raccontato da vicino (di casa). Nell’epoca della convergenza e della multimedialità, si preferisce parlare non tanto di mito quanto di icona, una parola che nel giro di poco tempo si è inflazionata. Raffaella, tra le sue molte virtù, era anche l’icona creata dai costumi di Luca Sabatelli. Per questo Pedro Almodovar può affermare che «Raffaella non era una donna ma uno stile di vita» senza tema di dire una banalità perché la prima caratteristica del divismo, sartoriale o pret-à-porter, è proprio quello di rappresentare uno stile di vita.

6 luglio 2022 (modifica il 6 luglio 2022 | 21:35)

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