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Giornata nazionale per le vittime del Covid, perché si festeggia il 18 marzo

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di Chiara Barison

Luca Fusco, presidente del comitato «Noi denunceremo», e il medico di famiglia Antonella Lodetti tengono viva la memoria di chi non c’è più

Sono passati due anni da quando il mondo è stato sconvolto dalla pandemia da Covid-19. Quarantena, isolamento, tampone e mascherina sono diventate parole del lessico quotidiano. Anche se all’orizzonte c’è la fine dello stato di emergenza (31 marzo) e le misure di contenimento del contagio si stanno progressivamente allentando, non si possono dimenticare le oltre 157mila vittime del virus in Italia. Più di 6 milioni in tutto il mondo. Vittime che continuano ad aumentare. È per questo che ogni 18 marzo si celebra la Giornata nazionale delle vittime del Covid, dopo che il 17 marzo 2021 la Commissione affari costituzionali del Senato l’ha approvata con legge votata all’unanimità.

Il comitato «Noi denunceremo»

«Siamo nati il 15 marzo 2020 come gruppo Facebook, con l’obiettivo di raccogliere le storie di chi aveva perso un caro a causa del Covid». Luca Fusco, presidente e fondatore del comitato «Noi denunceremo» ha perso il padre l’11 marzo di due anni fa: «Gli è venuto un infarto, quindi tecnicamente è morto con il Covid e non a causa del Covid», precisa. Ora «Noi denunceremo» conta più 70mila persone. «Abbiamo presentato degli esposti alla Procura di Bergamo», spiega Fusco al Corriere, «attendiamo l’esito delle indagini preliminari e vediamo cosa succede». La pagina Facebook del comitato trabocca di testimonianze dolorose che risalgono anche a poco tempo fa, non solo ai primi momenti di pandemia. Quanto ai responsabili, Fusco precisa con voce decisa che «uno dei nostri capisaldi è nessun esposto contro medici e infermieri, anche loro vittime per essere stati lasciati a svolgere il loro lavoro senza protezioni».

Uno tsunami

Impressi nella mente ci sono ancora i cortei di bare che sfilano per le strade di Bergamo. Antonella Lodetti ha 63 anni e fa il medico di famiglia a Treviglio, cittadina della provincia di una delle città più colpite dalla malattia. Ha vissuto sulla sua pelle l’orrore del Covid, come donna e come professionista. «È stato come uno tsunami», racconta al Corriere con la voce che ancora trema, «quando hanno iniziato ad arrivare le prime notizie dalla Cina pensavo si trattasse di una forma influenzale più forte». Non è stato così. Lodetti vive l’essere medico come una missione: non si è mai tirata indietro, ha continuato a visitare i pazienti anche dopo aver terminato la decina di mascherine chirurgiche che aveva in ambulatorio per le medicazioni. «A fine febbraio è arrivata una comunicazione dall’Ats in cui si assicurava che saremmo stati riforniti di tutti i dispositivi necessari per noi e per i pazienti in sala d’aspetto. Ma non è arrivato nulla fino alla fine di marzo», racconta amareggiata. I primi camici le sono stati forniti da un’amica veterinaria, mentre le mascherine gliele portava un paziente che fa l’imbianchino. La dottoressa si è ammalata verso la fine di febbraio, prima dell’inizio del lockdown generalizzato, probabilmente per aver visitato un paziente poi risultato positivo alla malattia. E oltre il danno la beffa: «Dopo avermi fatto lavorare senza protezioni, mi è sempre stato negato un tampone», ricorda arrabbiata, «stessa storia per mio marito e mia figlia». Alla sua sofferenza si è sommata quella della famiglia di suo cugino, il dottore Giambattista Perego, morto il 23 aprile 2020 dopo una lunga battaglia contro il Covid. Ora è stanca, gestisce più di 1.500 pazienti, riceve 130 chiamate al giorno. È affaticata dai sintomi del long Covid e dalla consapevolezza di essere stata abbandonata dalle istituzioni: «Sono passata da non avere nulla ad assumere otto pastiglie al giorno», puntualizza, «ho fatto domanda di prepensionamento perché non riesco più a gestire la mole disumana di lavoro che Ats ci ha scaricato addosso».

17 marzo 2022 (modifica il 18 marzo 2022 | 10:06)

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, 2022-03-18 09:16:00, Luca Fusco, presidente del comitato «Noi denunceremo», e il medico di famiglia Antonella Lodetti tengono viva la memoria di chi non c’è più, Chiara Barison

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