Galimberti: Il selfie è una tragedia. Instagrammisti di tutto il mondo, lasciate il telefonino ed entrate nella vita

Umberto Galimberti, su La Stampa, riacceso il dibattito sulla “dittatura dell’immagine” nella società contemporanea. Secondo Galimberti, il fenomeno del selfie rappresenta “il punto più alto del narcisismo umano”.

L’autoscatto, infatti, emerge come un modo di rappresentare se stessi, escludendo l’altro per evitare giudizi potenzialmente negativi.

L’analisi del filosofo va oltre il semplice atto di scattare una foto. Nei musei, definiti da Galimberti come “la tomba dell’arte”, le persone sono più inclini a fotografare le opere e condividerle sui social media che ad assaporare l’arte stessa. Questo comportamento riduce l’esperienza culturale a una semplice interazione con uno schermo.

Galimberti ha esteso la sua analisi, paragonando il selfie a una vera e propria tragedia. “Siamo passati dall’era dell’homo sapiens a quella dell’homo videns”, afferma, sottolineando come la compulsione di fotografare tutto stia trasformando la nostra percezione della realtà.

Il selfie, prosegue il filosofo, è una “proiezione evanescente” di sé che manca di autenticità. Citando Aristotele, Galimberti sottolinea come la perfezione ritratta nei selfie sia un’illusione, una sorta di “presenzialismo senza sostanza”.

Galimberti chiama a una maggiore consapevolezza, suggerendo di uscire dalla “doxa” generata dall’immaginario del selfie. L’invito è a riconoscere il valore della relazione con gli altri, piuttosto che ricercare una gratificazione egocentrica attraverso i like e i follower.

Il messaggio di fondo è chiaro: “Instagrammisti di tutto il mondo, lasciate il telefonino ed entrate nella vita“. In un’epoca dominata dalla cultura dell’immagine, la riflessione di Galimberti serve come un monito a riconsiderare cosa sia veramente importante per la valorizzazione della nostra identità.