FdI-Lega, il ribaltone del Nord. Così Meloni ha doppiato Salvini

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di Cesare ZapperiLe elezioni hanno ribaltato i rapporti di forza nel centrodestra. Nelle regioni settentrionale il popolo delle partite Iva ha abbandonato il Carroccio È saltato uno schema che aveva retto per trent’anni. La Lega al Nord, il partito vissuto come «sindacato del territorio», la destra (dal Msi ad An fino a Fratelli d’Italia) al Centro e al Sud. Il «ciclone» Giorgia Meloni ha fatto saltare tutto. In Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte i rapporti di forza si sono completamente ribaltati. Il popolo delle partite Iva, gli imprenditori delle piccole e grandi imprese, i mondi dell’artigianato e del commercio che dai primi anni Novanta avevano trovato nella Lega il riferimento obbligato in politica hanno abbandonato in massa (anche se non ancora del tutto) il Carroccio per dare sostegno al partito che fino a pochi mesi fa veniva identificato come il referente del pubblico impiego, dei pensionati, delle fasce di popolazione più bisognose di assistenza da parte dello Stato. Le urne del 25 settembre certificano questa mutazione, politica e sociale al contempo, con numeri disarmanti nella loro chiarezza: nelle regioni del Nord Fratelli d’Italia dovunque scavalca la Lega e ottiene il doppio, quando non il triplo, dei voti. Nel dettaglio: in Friuli-Venezia Giulia FdI conquista il 32,29% e la Lega il 10,89%; in Lombardia il rapporto è 27,59% a 13,86%; in Veneto 32,57% a 14,59%. Nota bene: si tratta di tre regioni governate da esponenti della Lega, due in particolare (Luca Zaia e Massimiliano Fedriga) tra i più apprezzati e stimati per il loro pragmatismo amministrativo. Lo scenario è ovviamente il medesimo pure nelle città. Eccone alcune tra le più importanti: Milano 18,98% a 6,78; Padova 23,06% a 8,42%; Trieste 32,29% a 10,89%; Bergamo 29,15% a 15,46%. È uno scenario da disfatta per il Carroccio, tanto più se il tracollo ha riguardato anche località simboliche come Pontida (30% a 23%), come Gemonio, il paese di residenza di Bossi, (29% a 15%) o Ponte di Legno, dove il Senatur trascorreva le sue vacanze estive (45% a 17%). «I segnali c’erano tutti, ma non pensavo che il risultati sarebbe stato così drammatici» il commento dell’assessore regionale veneto Roberto Marcato. E se al fedelissimo di Zaia «si è spezzato il cuore», il governatore lombardo Attilio Fontana, sul cui capo si stanno addensando nuvoloni neri in vista delle elezioni regionali del prossimo anno, dice apertamente che serve una «seria riflessione» perché la Lega deve «immediatamente riannodare il dialogo con le proprie comunità» (conferma indiretta che è venuto meno quello che Umberto Bossi chiamava «idem sentire»). Ecco, il rimprovero che dalla base degli ortodossi del Nord viene rivolto a Matteo Salvini e alla sua strategia «nazionale» è sintetizzato nello sfogo di un militante di lungo corso: «Ma cosa ce ne facciamo di due eletti in Calabria o in Sicilia se ne perdiamo a decine in Lombardia e Veneto?». Il segretario è accusato di aver snaturato il partito, di aver snobbato il tema dell’autonomia (su cui pure lombardi e veneti si erano espressi con un referendum rimasto lettera morta), di non aver imboccato convintamente la strada della trasformazione della Lega da partito di lotta in forza di governo, ben rappresentata da migliaia di sindaci e dai governatori. Nel giro di soli 5 anni disillusione e disaffezione sono andate crescendo. Impossibilitato a passare sul fronte opposto, l’elettorato leghista ha via via cominciato a guardare a Fratelli d’Italia, trovandovi un approdo che domenica nelle urne ha assunto dimensioni rilevanti. E che ora avranno ricadute concrete perché i nuovi rapporti di forza peseranno sulle scelte future. Anzitutto, nella formazione del governo di centrodestra, ma subito dopo nella individuazione dei candidati per le elezioni nelle città e nelle regioni previste nel prossimo anno. Il nodo più complicato da sciogliere è quello lombardo. Salvini anche ieri ha ribadito che Fontana non si discute perché «squadra che vince non si cambia». Ma l’assioma è stato violato in Sicilia dove la Lega non ha voluto la conferma dell’uscente Nello Musumeci. E poi, nello specifico lombardo resta da vincere la concorrenza di Letizia Moratti che finora non ha desistito e che potrebbe beneficiare della sponda di Forza Italia e di Fratelli d’Italia. Sullo sfondo, spostato di un anno (2024), c’è il destino del Veneto dove l’uscita di scena di Zaia rischia di lasciare i territori votati per eccellenza all’autonomia e al federalismo sotto la guida di un esponente del partito nazionalista e sovranista. Un pericolo molto concreto, alla luce dei nuovi rapporti di forza. Ed è per questo che le fibrillazioni sono forti soprattutto dalle parti di Padova, Treviso e di quella Venezia dove nell’ormai lontanissimo 1997 Bossi fece scalpore gridando che del Tricolore (tanto caro a Meloni da far parte integrante del nome del partito) faceva un uso molto poco protocollare. 26 settembre 2022 (modifica il 26 settembre 2022 | 23:40) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-26 21:41:00, Le elezioni hanno ribaltato i rapporti di forza nel centrodestra. Nelle regioni settentrionale il popolo delle partite Iva ha abbandonato il Carroccio, Cesare Zapperi

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