Draghi non si arrende e punta sul patto sociale: adesso compatti come i campioni dell’82

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di Monica GuerzoniLa giornata del premier a palazzo Chigi tra dossier e incontri con i ministri prima di decidere di salire al Quirinale dopo la richiesta di «verifica» da parte di Berlusconi In una delle giornate più lunghe e complesse dall’inizio del suo mandato a Palazzo Chigi, Mario Draghi ha trovato il tempo di scrivere a Marco Tardelli e ai «cari Campioni dell’82». Sono passati quattro decenni dal trionfo ai Mondiali di Spagna e quella nazionale di calcio «continua a ispirare tutti noi per la sua compattezza, il gioco di squadra, la sincerità delle amicizie». Parole che, per contrasto, rivelano lo stato d’animo con cui il coach del governo di unità nazionale è salito alle sette di ieri sera al Quirinale, per un confronto fuori agenda con il presidente Sergio Mattarella. Il clima elettorale ha disgregato ogni parvenza di gioco di squadra. Il Movimento di Conte si è messo in fuorigioco e Berlusconi, in asse con Salvini, vuole la «verifica di maggioranza». Eppure Draghi non molla, perché nonostante le fortissime tensioni elettorali dei partiti e tra i partiti, resta convinto che l’Italia, scossa dalla pandemia, dalle conseguenze della guerra in Ucraina e dall’inflazione che galoppa, abbia ancora bisogno del suo governo. «Grande compattezza e serenità» è la linea comunicativa di Palazzo Chigi, dove si descrive un presidente «impegnato nell’agire» e determinato a completare la sua missione. E dove si lavora per allontanare, anche a parole, i venti di una possibile crisi: «Draghi è immerso nei dossier. Le dimissioni non sono un’ipotesi». E se i 5 Stelle non voteranno la fiducia al Senato sul decreto Aiuti e usciranno dalla maggioranza? «Sarebbe un fatto politico rilevante», ammettono a Palazzo Chigi. Mattarella potrebbe rinviare il premier alle Camere per verificare se c’è ancora una maggioranza, «ma non è detto che ci si arrivi». Nello studio di Mario Draghi per tutto il giorno è un via vai di ministri, tecnici e collaboratori. Alle 11 bussa Daniele Franco. Il ministro dell’Economia, in partenza per Bruxelles, deve riferire al presidente le priorità dell’Eurogruppo e impostare, in soldoni, i numeri dell’incontro con i sindacati. C’è anche il tempo per confermare il no al «corposo» scostamento di bilancio invocato da Conte e le (forti) perplessità su ogni ipotesi di condono fiscale. Per Renato Brunetta, che ha contribuito a istruire la pratica su salari e potere d’acquisto, il vertice di oggi con Landini, Sbarra e Bombardieri «è un passaggio chiave, perché un buon patto sociale può salvare l’Italia e anche il governo». Sono le 14.30 del pomeriggio quando la nota di Silvio Berlusconi che invoca la verifica di maggioranza comincia a rimbalzare sui siti. Lo staff di Draghi si interroga: assist, o calcio negli stinchi? Mezz’ora dopo arriva Roberto Speranza e informa il premier che la circolare che recepisce il via libera dell’Ema alla quarta dose per gli over 60 «è pronta, a tempo di record». Esce il responsabile della Salute ed entra la Guardasigilli, Marta Cartabia. La ministra della Giustizia, accompagnata dal capo di Gabinetto Raffaele Piccirillo, illustra al presidente gli esiti dei lavori della commissione sui crimini internazionali. Alle sei della sera tocca ad Andrea Orlando affacciarsi nelle stanze di Draghi. Sottobraccio il ministro del Lavoro ha il dossier cruciale, quello con cui il presidente spera di placare le ire di Conte e compagni, almeno per un poco. Se il via libera al salario minimo servirà a disinnescare la mina del Senato, il governo potrebbe superare l’estate e arrivare a settembre. E a quel punto governo e Parlamento entrerebbero nella zona di sicurezza della sessione di Bilancio. Draghi insomma non si ferma e fa sua la filosofia del presidente Mattarella: «Inutile parlare oggi di cosa faranno i 5 Stelle al Senato, se non voteranno il decreto Aiuti giovedì affronteremo il problema». Con parole simili il premier risponde a chi lo chiama. Antonio Tajani ad esempio, che dopo il colloquio telefonico descrive Draghi «fortemente impegnato a risolvere i problemi», dal Pnrr alle riforme, dalle conseguenze della guerra alla manovra economica. Problemi reali, che hanno un impatto forte sulla vita degli italiani e ai quali il presidente del Consiglio fortissimamente vuole fornire, con i tempi delle emergenze, le risposte giuste. E guai a parlargli di verifiche e rimpasti di governo, perché Draghi li ritiene esercizi antichi e politicamente assai rischiosi. A spingerlo sul Colle con tre giorni di anticipo rispetto al possibile strappo di Conte è stata la mossa di Berlusconi. Ai fedelissimi del premier appare chiaro che a ispirarla sia stato Salvini, in asse con i forzisti come Ronzulli che guardano alla Lega. «La verifica è uno stato di pre-crisi — è la lettura di un ministro —. E chiedere un rimpasto vuol dire mettere il premier con le spalle al muro». Alle 18.50, bruciando i tempi rispetto alla giornata cruciale di giovedì, l’ex presidente della Bce lascia in auto piazza Colonna e sale al Quirinale. L’intesa con Mattarella, diranno i collaboratori alla fine dell’incontro durato una quarantina di minuti, «resta fortissima». Il colloquio inizia con il capo dello Stato che racconta il viaggio in Mozambico e Zambia e finisce con il dilemma del governo: come convincere il M5S di Conte a restare? Basterà l’agenda sociale a cui il premier sta lavorando? I due presidenti ovviamente ne parlano, ma concordano un patto di riservatezza. E domani, dopo i leader sindacali, Draghi vedrà gli imprenditori. 11 luglio 2022 (modifica il 11 luglio 2022 | 23:06) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-11 21:17:00, La giornata del premier a palazzo Chigi tra dossier e incontri con i ministri prima di decidere di salire al Quirinale dopo la richiesta di «verifica» da parte di Berlusconi, Monica Guerzoni

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