Dallo spionaggio via App agli aiuti alle famiglie: Olga e i volontari ucraini, segreto della resistenza

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di Lorenzo Cremonesi

Tanti sono stati uccisi dai russi, non sono censiti

DAL NOSTRO INVIATO

ZAPORIZHZHIA
Sin dai primi giorni della guerra erano dovunque: aiutavano gli sfollati alle stazioni ferroviarie, portavano cibo e acqua a chi usciva dai villaggi devastati, confezionavano bottiglie molotov, riempivano sacchetti di sabbia per le barricate e i meglio addestrati andavano al fronte assieme all’esercito regolare. Forse suona retorico, ma era la realtà nell’Ucraina appena invasa dalle colonne corazzate russe il 24 febbraio: un fiume di volontari si unì alle forze della resistenza, anzi, per essere più precisi, larga parte della società civile si mobilitò per fare sponda.

All’estero si lessero gli appelli alla lotta del presidente Zelensky — che rispose all’offerta americana di evacuazione con il suo ormai storico «no grazie, non voglio scappare, datemi armi» — come uno sprone alla sua gente, in effetti lui seppe interpretare il sentimento profondo e corale della nazione: non era il tempo dei compromessi e certo non delle fughe, si doveva rispondere alla guerra con la guerra. Furono e sono tutt’ora i volontari a fare la differenza: la «guerra patriottica» dell’Ucraina 2022 è ancora in corso.

Quanti i mobilitati? «Tanti, tantissimi. Prima di tutto esplose la solidarietà sociale. Ci si aiutava gli uni con gli altri, il vicino donava cibo agli anziani del piano di sotto, si prestava l’auto all’ospedale per il trasporto dei feriti, tantissimi ristoranti iniziarono spontaneamente a cucinare i pranzi per i soldati e volontari che pattugliavano i quartieri vicini, nei villaggi gli uomini (specie cacciatori abituati a maneggiare il fucile) organizzarono ronde e turni di guardia. In quella prima fase forse ben oltre la metà dei circa 37 milioni di ucraini si dettero da fare. Verso il 10 marzo stimammo che il 30% della popolazione cooperava in modo organizzato e di questa circa la metà continua a farlo a tempo pieno», spiega la 39enne Olga Aliievska, che sin dall’inizio dell’attacco russo contro Kiev si mosse con la sua auto per andare a prendere i feriti e gli infermi nel villaggio di Irpin minacciato dai carri armati. La sua auto rimase poi intrappolata sotto i bombardamenti e lei dovette scappare a piedi attraversando un ponte distrutto. «Ci furono centinaia di volontari uccisi dai russi. Il loro numero non è ancora stato censito. Una decina di miei amici sono morti sotto le bombe mentre cercavano di evacuare i feriti da Chernihiv», aggiunge.

Ai primi di marzo iniziò a verificarsi un fenomeno ancora più diffuso e minaccioso per gli invasori. La popolazione nelle zone occupate segnalava ai comandi ucraini le posizioni del nemico tramite il punto Gps del cellulare. I messaggi venivano passati via Telegram e WhatsApp su apposite App che andavano direttamente all’intelligence, la quale triangolava con altre fonti e poi dava la luce verde di sparare ai droni e ai commando sul terreno. Si comprende così la reazione russa, che diffuse l’ordine nelle zone occupate di perquisire ogni civile, oltre alle auto e abitazioni, per sequestrare cellulari e computer. Le comunicazioni andavano paralizzate. Avvenne durante il primo mese di guerra nella regione della capitale e continua nel Donbass, a Mariupol e attorno alla Crimea sino alla zona di Kherson. «I russi ci prendono i telefonini, specie quelli di uomini e ragazzi, se trovano video, foto o messaggi sospetti si viene arrestati. Tanti spariscono nel nulla», confermano gli sfollati.

Furono poi i volontari nelle squadre di difesa territoriale e inquadrati nei reggimenti operanti a fianco delle unità dell’esercito regolare a offrire un contributo determinante alle battaglie. Kiev si era trasformata in una gigantesca fortezza con postazioni di combattimento ad ogni incrocio. Lo stesso a Kharkiv. Accanto alle organizzazioni volontarie che davano assistenza alle famiglie con animali domestici e portavano il cibo per i neonati, c’erano quelle come «Palanitza» (dal nome del pane tradizionale), «Army Sos», «Vidbudova» (ricostruire), «Povernize Jevim» (torna vivo), che procuravano visori notturni sofisticati, elmetti, giubbotti antiproiettile, maschere antigas e tute per la guerra batteriologica e raccoglievano fondi per comprare droni. Già a fine marzo la cifra ufficiosa dei volontari inquadrati militarmente (circa l’8% donne) superava quota 100.000. «Non tutti furono subito mandati a combattere. L’addestramento medio dura almeno due settimane. Ma il meccanismo è ben oliato, venne organizzato al tempo della guerra per il Donbass e la Crimea nel 2014-15», ci racconta il 37enne Andreij Rebakov, un medico di Kiev dispiegato col suo battaglione a Kharkiv. Le sue parole però sono caute: «Finora abbiamo tenuto. Ma i russi non sono ancora battuti e sarebbe un grave errore cantare vittoria troppo presto».

9 maggio 2022 (modifica il 9 maggio 2022 | 22:10)

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