Così il Covid a Shanghai rischia di travolgere la politica del governo cinese

di Guido Santevecchi

Nella città che è il cuore economico del Paese oggi sono stati individuati 24.952 contagi, numeri bassi che hanno comunque fatto scattare un duro lockdown

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO — Quanto è grave la situazione a Shanghai? I casi di coronavirus dovuti alla variante Omicron continuano a salire e rischiano di travolgere la politica della «Tolleranza Zero» per il Covid-19 a cui si è ancorata la Cina. La crisi sanitaria di Shanghai può aprire un foro nella diga della stabilità politica: è questo il dilemma per le autorità della megalopoli e del governo centrale.

Il clima di incertezza è stato accresciuto dalla decisione americana di permettere il rimpatrio su base volontaria del personale non essenziale del Consolato degli Stati Uniti a Shanghai, il Dipartimento di Stato ha consigliato ai cittadini americani di riconsiderare ogni viaggio verso la Cina «a causa delle restrizioni arbitrarie dovute al Covid-19». Il ministero degli Esteri di Pechino ha protestato di fronte «all’atteggiamento denigratorio di Washington verso la nostra politica di prevenzione della pandemia».

Oggi a Shanghai sono stati individuati 24.952 contagi, di cui 1.006 sintomatici (rilevati dai tamponi di sabato 9 aprile). I casi accertati in questa ondata che è partita al rallentatore a fine febbraio nella megalopoli sono circa 120 mila, su una popolazione di circa 26 milioni di abitanti: numeri ancora relativamente bassi dunque e il 95% circa dei positivi sono catalogati come «asintomatici» (anche se a quanto pare nella categoria sono inclusi i «sintomi moderati»). In un qualsiasi altro Paese sarebbe una situazione da tenere sotto osservazione, senza decisioni drastiche.

A Shanghai la reazione è stata invece contraddittoria. Ora è gestita con un lockdown che riporta ai giorni più cupi di Wuhan, tra gennaio e aprile del 2020. Ma ancora pochi giorni prima di chiudere tutto, le autorità assicuravano che Shanghai non sarebbe stata fermata, per non colpire il cuore delle attività finanziarie e commerciali dell’economia nazionale (il suo Pil vale il 4,8% circa del totale cinese). Anche Xi Jinping a metà marzo aveva chiesto di tener conto dell’economia in sofferenza e i capi del Partito shanghaiese si erano sentiti incoraggiati a resistere, cercando di limitare i danni. Venivano posti in quarantena solo i blocchi residenziali dove erano emersi casi di positività e il resto della città continuava la sua vita normale. Poi, di fronte all’evidenza che la variante Omicron si diffonde molto rapidamente, come abbiamo appreso drammaticamente in Occidente, c’è stato il contrordine. Anche a Shanghai è stata imposta la linea della «Tolleranza Zero» che punta ad annullare i contagi dal territorio.

Il 28 marzo è scattato un lockdown che si sarebbe dovuto limitare a due brevi fasi: quattro giorni a Pudong (la zona a Est del fiume Huangpu che attraversa la città); e altri quattro a Puxi (Ovest). Ma le campagne di tamponi a tutta la popolazione hanno fatto emergere che Omicron stava correndo in silenzio: Shanghai si è trovata chiusa a oltranza e incredibilmente impreparata all’emergenza. Tutta la popolazione è stata sottoposta a ripetute tornate di tamponi e i numeri continuano a salire.

Non essendoci la «quarantena fiduciaria» a casa per i positivi, decine di migliaia di persone sono state concentrate in strutture provvisorie, come quelle per l’Expo, del tutto inadeguate dal punto di vista logistico e igienico: cittadini di classe media si sono ritrovati in enormi stanzoni disadorni, con poca assistenza; genitori sono stati separati dai figli piccoli. La gente chiusa in casa ha esaurito le scorte alimentari e il sistema centralizzato di approvvigionamento non è stato in grado di risolvere il problema: «Non riusciamo a fare gli ultimi cento metri per le consegne», ha ammesso il vicesindaco chiedendo la comprensione della gente per i ritardi. Ma i cinesi hanno una paura atavica della penuria di cibo, dovuta alle carestie che per secoli hanno afflitto il Paese; e poi, i cinesi sono abituati a verdure fresche, non al cibo in scatola e in una città dinamica come Shanghai moltissimi non sono neanche abituati a cucinare in casa. Con il cordone sanitario stretto intorno alla città, l’approvvigionamento quotidiano per 26 milioni di persone è rallentato. Nessuno muore o morirà di fame in casa a Shanghai, ma il fattore psicologico ha creato grande tensione.

Sui social network sono piovute testimonianze e video di proteste, tentativi di spezzare i cordoni sanitari per uscire e andare a fare acquisti, dalle finestre nella notte sono partiti cori furiosi ed esasperati: «Vogliamo lavorare, vogliamo essere liberati», droni con altoparlanti volano sui quartieri e invitano alla calma, intimano di chiudere le finestre e aspettare. Per diminuire la pressione sono stati aperti centri di quarantena in altre città, lontane anche centinaia di chilometri da Shanghai. Da almeno due grandi ospedali di Shanghai dedicati alla cura degli anziani sono filtrate denunce di morti nascoste, medici e personale sopraffatti dall’emergenza. Il governo ha risposto spedendo nella metropoli un’armata di sanitari raccolta in altre province: almeno 38 mila medici e infermieri dedicati al rinforzo delle strutture sanitarie e all’effettuazione dei tamponi. Quando finirà l’emergenza? Le autorità hanno promesso un alleggerimento delle condizioni del lockdown: si va avanti con una nuova tornata di tamponi per tutti e le comunità residenziali che non registreranno contagi per 14 giorni saranno liberate. Ma 14 giorni in una metropoli come Shanghai sono estremamente lunghi.

10 aprile 2022 (modifica il 10 aprile 2022 | 16:25)

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, 2022-04-10 14:32:00, Nella città che è il cuore economico del Paese oggi sono stati individuati 24.952 contagi, numeri bassi che hanno comunque fatto scattare un duro lockdown, Guido Santevecchi

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