Chicago, storia della colonna del Duce (che ora potrebbe essere rimossa)

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di PAOLO VALENTINO

Nel 1933 Italo Balbo guidò la «crociera del decennale» fino alla città americana. L’anno dopo, per celebrare l’impresa, Mussolini inviò un monumento da subito controverso

La mattina del 1° luglio 1933, una squadriglia di 24 idrovolanti Siai-Marchetti S.55X a doppia scocca prese il volo dalla laguna di Orbetello in direzione Nord. Guidata da Italo Balbo, maresciallo dell’aria e ministro dell’Aeronautica, la «crociera del decennale» voleva commemorare con un anno di ritardo il decimo anniversario della presa del potere da parte del fascismo. In sette tappe, via Amsterdam, Londonderry, Reykjavík, Cartwright nelle Isole Labrador, Shediac e Montréal, i velivoli argentati con i fasci littori stilizzati sulla carlinga atterrarono domenica 15 luglio sul lago Michigan a Chicago. Balbo e i suoi piloti ricevettero un’accoglienza trionfale.

Al Soldier Field Stadium davanti a una folla che lo stesso generale fascista stimò intorno a 100 mila persone, il sindaco della città Edward Kelly proclamò l’Italo Balbo Day e annunciò che da quel momento la Settima Strada, un’importante arteria di Chicago, si sarebbe chiamata Balbo Drive. Il governatore dell’Illinois, Henry Horner, salutò Balbo come «il Cristoforo Colombo del XX secolo». Il giorno dopo Balbo e i suoi furono presenti a Grant Park (lo stesso dove 75 anni dopo Barack Obama avrebbe celebrato la sua elezione) all’inaugurazione di una statua di Colombo, alla base della quale venne collocata una targa che ricordava la loro impresa. I festeggiamenti durarono ancora tre giorni — tra banchetti, eventi e discorsi — e culminarono con una parata in onore degli aviatori italiani su Michigan Avenue. Non finì lì. Il 19 luglio gli idrovolanti decollarono alla volta di New York, dove si tennero altre celebrazioni, prima che Balbo fosse invitato a colazione alla Casa Bianca dal presidente Roosevelt in persona. L’ultima sera prima del volo di ritorno, il gerarca fascista si rivolse a una folla al Madison Square Garden di New York, dove invitò gli italo-americani a «essere orgogliosi di dirsi italiani» poiché Mussolini «aveva cessato il periodo delle umiliazioni».

L’anno dopo, durante la Century of Progress International Exposition che si era aperta a Chicago nella primavera 1933 al Burnham Park, un’altra cerimonia ebbe luogo di fronte al Padiglione italiano — realizzato da Adalberto Libera, Mario De Renzi e Antonio Valente — per celebrare il primo anniversario della crociera del decennale. E questa volta, un dono era arrivato dall’Italia: una colonna corinzia di marmo verde che Benito Mussolini aveva fatto prendere dagli scavi di Ostia Antica per regalarla alla città di Chicago, a ricordo «della squadra atlantica guidata da Balbo che con romano ardimento trasvolò l’Oceano nell’anno XI del Littorio». Collocata su un blocco di travertino, «la colonna del Duce» venne scoperta mentre la banda suonava Giovinezza.

Sono passati più di otto decenni. E il cosiddetto Balbo Monument, la targa alla base della statua di Colombo e il Balbo Drive sono ancora al loro posto. Ma sin dall’inizio sono stati controversi e fonte di polemiche dentro e fuori la comunità italiana d’America. E l’onda anomala della cancel culture li investe ora in pieno, riaprendo un’antica ferita. Nelle settimane scorse, la mayor di Chicago, Lori Lightfoot, ha incluso infatti il monumento fra quelli da rimuovere, proponendo anche di rinominare il Balbo Drive. Protestano alcuni esponenti italo-americani, come l’assessore del trentottesimo distretto Nick Sposato o il presidente del Joint Civic Committee of Italians Americans, Ron Onesti, secondo il quale, «buona, brutta o cattiva, la Storia va rispettata».

Ma in realtà il caso Balbo e la colonna di Mussolini hanno una portata più vasta. Come spiega lo storico Fraser Ottanelli, docente alla University of South Florida e autore di un bel saggio che ricostruisce tutta la vicenda, appena uscito sulla «Italian American Review», «in ballo sono il significato e il lascito del fascismo e il modo migliore di commemorare l’esperienza italiana in America».

Il volo di Balbo e il dono del Duce facevano parte di una strategia più vasta, volta a ripulire l’immagine del regime in America, dopo gli anni dell’inizio, quando era prevalso il tentativo di organizzare e finanziare una militanza fascista nella comunità italo-americana, che nel 1930 contava negli States sulla presenza di decine di fasci di combattimento e su altre organizzazioni. Ma anche grazie all’attività di contrasto dell’Alleanza antifascista del Nord America — che riuniva socialisti, anarchici, comunisti e sindacalisti — l’ambizione di irreggimentare la comunità italo-americana non ebbe grande successo. E la linea di Mussolini verso l’America cambiò, anche nella prospettiva di consolidare la partnership economica. Così, spiega Ottanelli, «negli anni Trenta il regime produsse una caratterizzazione depoliticizzata del fascismo, adottando linguaggi e simboli del patriottismo e una definizione di italianità che mescolava amore per la patria e sostegno a Mussolini come incarnazione di un’Italia forte e rispettata». La partecipazione all’Expo di Chicago con i maestri dell’architettura razionalista fu un altro esempio. Questa linea venne accolta con favore dalla leadership politica ed economica delle comunità italo-americane, trovando anche udienza presso la nuova Amministrazione democratica di Roosevelt.

Ma Balbo restava Balbo. Una delle facce più violente del fascismo: spietato capo degli squadristi che avevano seminato terrore e morte in Emilia-Romagna, Marche e Veneto, mandante dell’omicidio di Don Minzoni, regista della marcia su Roma. E il suo ammaraggio sul Michigan non provocò solo entusiasmi. A Chicago e New York una vigorosa campagna di protesta si rivolse contro le autorità locali per aver accolto «un gangster e assassino di professione con le mani imbrattate del sangue dei lavoratori italiani». Ottanelli rivela che durante uno dei banchetti in suo onore «i socialisti italo-americani mandarono un telegramma firmato Don Minzoni che il maestro di cerimonie ignaro lesse insieme a decine di altri».

Il Balbo Monument, quindi è sempre stato oggetto di forte discordia. Tanto più dopo la Seconda guerra mondiale, quando l’America prese la guida della coalizione internazionale contro il fascismo. E sebbene alcuni fautori della sua permanenza abbiano cercato di trasformarlo in qualcosa di non ideologico, che commemora i successi della tecnologia italiana, cercando di dimenticare Mussolini e di associarlo solo a Balbo, descritto come un «fascista buono», in realtà le richieste di rimuoverlo sono antiche e risalgono già al 1946. Come rivela Ottanelli, perfino Alberto Tarchiani, primo ambasciatore d’Italia negli Usa dopo la guerra, chiese che ogni reperto che onorava Mussolini, il fascismo e Balbo venisse rimosso. Se la richiesta non venne accolta, si deve solo al fatto che Edward Kelly, il sindaco che aveva ricevuto il dono del Duce, era ancora in carica e in corsa per l’ennesima rielezione e non voleva alienarsi i favori degli italo-americani in un anno elettorale.

Negli anni, il destino della colonna romana e dei fasci littori che adornano il piedistallo, nel frattempo in pessime condizioni dovute all’usura del tempo e a voluta incuria, è tornato più volte d’attualità. La comunità italo-americana rimane divisa: alcuni restano inguaribili nostalgici, altri vogliono preservare la memoria di un’impresa italiana, altri ancora pensano che occorra rimuovere le vestigia che glorificano il fascismo. «Gli italo-americani devono decidere chi e cosa debbano onorare», dice Ottanelli, che propone il ritorno della colonna a Ostia Antica e un nuovo nome per Balbo Drive. «Al loro posto — conclude — la comunità può ricordare l’esperienza delle donne, uomini e bambini italo-americani che diventarono i badili umani dello sviluppo industriale negli Usa. Mentre xenofobia e intolleranza sfidano di nuovo le istituzioni democratiche su ambedue le sponde dell’Atlantico, il rifiuto di un memoriale fascista manderebbe un segnale forte sull’impegno della comunità italo-americana a una società pluralista e giusta».

3 luglio 2022 (modifica il 3 luglio 2022 | 21:11)

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