Breviario europeo, ecco i cinque comandamenti per Giorgia Meloni

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di Antonio PolitoL’accoglienza rispettosa dei vertici Ue per la premier è scontata: ma Meloni sa che serpeggiano dubbi sull’Italia che verrà nelle istituzioni europee e nei governi dei 26 Stati membri. Quindi dovrà ricordarsi di alcune «regole del gioco» La prima volta di Giorgia Meloni in Europa, oggi a Bruxelles, sarà più che altro un assaggio. I vertici della Commissione e del Consiglio l’accoglieranno con il rispetto che si deve ai politici eletti. Tutti i capi di governo che siedono al tavolo europeo sono del resto politici come lei. Da questo punto di vista l’anomalia era piuttosto Draghi, il quale se n’è peraltro brillantemente giovato. Alla nostra presidente del Consiglio non toccherà nemmeno spiegare, come una volta capitò a Conte con una perplessa Angela Merkel, le complesse alchimie che tengono in piedi il suo governo, visto che per il momento gode di una maggioranza chiara e ampia, uscita dalle urne. Però Giorgia Meloni sa che i dubbi sull’Italia che verrà sono diffusi nelle istituzioni europee e nei governi degli altri 26 Stati membri. Farà dunque bene a usare questo primo contatto per prendere le misure dell’abito da indossare a Bruxelles. Perché non sempre potrà essere quello sfoggiato nell’esordio da premier a Roma. La prima cosa da ricordare è che nel consesso di Bruxelles tutti i Paesi sono sovrani. Il «sovranismo europeo» è dunque un campionato ben diverso da quello che ha finora giocato in patria. Nessuno dei partner può essere forzato a subire il nostro interesse nazionale, magari sbattendo i proverbiali pugni sul tavolo. L’unica via di successo è la costruzione di un consenso. Anche gli altri capi di governo hanno a che fare con le loro opinioni pubbliche, e sono altrettanto ansiosi di mostrarsi capaci di difendere gli interessi dei rispettivi elettorati. Solo un compromesso può dunque portare a ciascuno un vantaggio. La seconda verità, che discende da questa, è che c’è sempre bisogno di alleanze. Di costruire coalizioni, fornendo o chiedendo appoggio a soluzioni condivise. Naturalmente ci sono Paesi che contano più di altri. Meglio essere alleati con la Francia o la Germania che con l’Ungheria. D’altra parte nessun governo farebbe all’Italia favori che possano rafforzare le rispettive opposizioni interne. La terza verità è che chiedere «più Europa» quando ci serve, comporta anche accettare più regole. Giorgia Meloni ha correttamente sollecitato, fin da quando c’era il governo Draghi, un’azione comune europea come unica soluzione possibile e duratura alla crisi del gas. Di fronte a emergenze planetarie e transfrontaliere, dall’energia al clima, non c’è niente che gli Stati nazionali possano risolvere da soli. Ma quando chiedi ai partner una cooperazione che ne limiti la sovranità, pur di ottenere un bene comune, devi sapere che prima o poi la stessa richiesta sarà fatta a te. Pensate alla riforma del Patto di stabilità. Cadrà la regola più dura sulla riduzione del debito, ma non comincia certo la pacchia per i paesi maggiormente indebitati: la nuova Italia di centrodestra sarà chiamata a una trattativa bilaterale, anno dopo anno, sulla riduzione del debito con la Commissione (leggi Gentiloni). Il quarto punto è che alla lunga non si può essere atlantisti e filo-occidentali, come Giorgia Meloni senza dubbio è, senza essere anche europeisti, cosa che la premier non è, o non è ancora. Un’Europa subalterna e dipendente dagli Usa sarebbe infatti fragile, esposta ai venti della politica interna di Washington, ai cambi di inquilino della Casa Bianca, al mutare degli interessi americani nel mondo. Il giorno che al posto di Biden dovesse arrivare un presidente più isolazionista questa verità emergerebbe con forza. Su questo il governo Meloni deve elaborare al più presto una sua idea originale, soprattutto ora che si manifesta una divergenza strategica in materia di difesa tra Francia e Germania. Il quinto comandamento è dare la priorità a ciò che più conta per il nostro interesse nazionale. Giorgia Meloni ha voluto dare un segnale chiaro dell’identità di destra del suo governo nel primo Consiglio dei ministri, abbracciando con Salvini l’agenda «legge e ordine». Ma in Europa dovrà piuttosto muoversi in continuità con l’agenda Draghi. Cruciale è assicurarsi innanzitutto che la politica monetaria sia uguale per tutti, mettendo il nostro debito al riparo da attacchi asimmetrici dello spread. E fondamentale è riaprire il cantiere delle politiche migratorie. Quand’anche infatti riuscissimo a chiudere i nostri porti a tutte le Ong, potremmo forse bloccare il 16% del flusso di persone che sbarcano in Italia su quelle navi, secondo i dati forniti ieri al Corriere dal ministro Piantedosi. Ma il restante 84% può essere gestito solo ottenendo maggiore solidarietà tra i Paesi dell’Unione. A Lampedusa oggi la situazione è quella di sempre: «sbarchi, cadaveri e solitudine», come dice il sindaco Mannino. E nessuno dei mille e più migranti che affollano l’hotspot c’è arrivato su una barca delle Ong. Giorgia Meloni ha detto a Bruno Vespa di preferire un’Europa «confederale». Ma l’Europa dei governi è anche quella dei veti che hanno finora impedito di superare gli egoismi nazionali in materia di accoglienza dei migranti. Il nuovo governo italiano può sfruttare due contingenze favorevoli, in parte ereditate dal precedente esecutivo: la discesa del prezzo del gas più veloce del previsto, e la resistenza più forte del previsto della nostra economia, che ha registrato un +0,5% nel terzo trimestre. Ma entrambe dipendono strettamente dalle politiche che saranno decise a Bruxelles. In Europa ci giochiamo l’interesse nazionale. Per le esibizioni di muscoli e identità c’è sempre il palcoscenico romano. © RIPRODUZIONE RISERVATA 3 novembre 2022 (modifica il 3 novembre 2022 | 10:18) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-03 09:22:00, L’accoglienza rispettosa dei vertici Ue per la premier è scontata: ma Meloni sa che serpeggiano dubbi sull’Italia che verrà nelle istituzioni europee e nei governi dei 26 Stati membri. Quindi dovrà ricordarsi di alcune «regole del gioco», Antonio Polito

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