Zuppi: «I cattolici in politica? Conta stare per strada. La fede è di tutti, non può dividere»

di Marco Ascione, inviato a Bologna

Il presidente della Cei: prima dobbiamo essere cristiani, non pensare di esserlo perché facciamo politica

«I cattolici in politica? Ma la presenza è stare per strada. Prima di tutto dobbiamo essere cristiani, non possiamo pensare di esserlo perché facciamo politica e spesso finiamo per farla male!».

Che impressione le fa sentire evocare il Papa e San Tommaso dal neo presidente della Camera Lorenzo Fontana nel suo discorso di insediamento? O la quasi incaricata premier Giorgia Meloni asserire con forza che crede? La rassicura?
«Non c’è dubbio che Papa Francesco sia un riferimento per tantissimi. Ma la differenza è nella prassi. Non tanto in quello che uno dice, ma in ciò che fa. Ad esempio la Laudato si’ è molto evocata ma purtroppo troppo poco applicata».

Il cardinale Zuppi cesella le parole con la lima. Approda in Curia, a Bologna, in tarda mattinata, scortato dall’autista e segretario Don Sebastiano, stretto tra una messa celebrata in una parrocchia di periferia, un saluto informale al capo della Protezione civile e la corsa per l’aeroporto. Destinazione Cosenza, dove visiterà una sede della comunità monastica di Monte Sole. È la vita inevitabilmente di corsa di un «porporato di strada» che è anche presidente dei vescovi italiani. E che prova a non dire mai di no a chi chiede di incontrarlo. Sono giorni di intenso dibattito: sul governo che verrà, sui valori, sul ruolo della Chiesa e, soprattutto, dei cattolici nelle istituzioni. Un filo che tutto tiene, anche le celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Don Giussani e l’appello a non dividersi rivolto dal Papa a Comunione e liberazione, un movimento che spesso in passato si è schierato, non senza clamore, nell’arena politica.

Cardinale Zuppi, che cosa intende il Papa quando chiede ai ciellini di fare di più, aggiungendo di non sprecare tempo nelle contrapposizioni?
«Significa rimettere al centro quello per cui siamo stati chiamati e non le discussioni interne. Il carisma è un dono e va speso. Non significa certo diventare tutti uguali, ma tutti uniti. Ci troviamo sommersi da tante domande che riguardano la sfera dell’umano. Giussani aveva una passione straordinaria per l’umano, perché aveva incontrato l’uomo Gesù. Papa Francesco lo ha ricordato: Gesù non è una morale, non è un sistema intellettuale, non è un riferimento che giustifica altre scelte. Ma è un incontro, libero, gratuito, di solo amore. Una storia d’amore».

Il popolo di Cl ha applaudito con forza Francesco quando ha citato Carròn. Ora il teologo arrivato dall’Estremadura non guida più, si è dimesso e il testimone è passato a Davide Prosperi. Esiste, evidentemente, un prima e un dopo per Cl. Quando Francesco lamenta un impoverimento della presenza, concretamente che cosa vorrebbe?

«L’impoverimento della presenza non è certo un problema specifico di Cl, riguarda tutti noi quando siamo autoreferenziali, timidi perché manca la passione per l’uomo, la libertà dell’incontro, una compagnia che non si chiude e non diventa una forza di occupazione ma di testimonianza. La vera identità è essere pieni di Lui e comunicare con la vita la sua presenza».

C’è chi sostiene che per essere «più presenti» i cattolici dovrebbero fare un passo avanti in politica.
«Per Papa Francesco la presenza è stare per strada, incontrare e appassionare con la gioia del Vangelo! Prima di qualsiasi altra cosa dobbiamo essere cristiani, altrimenti possiamo finire di pensare di esserlo perché facciamo politica e spesso finiamo per farla male! Nell’enciclica Fratelli tutti il pontefice parla di amore politico. A questo aggiungerei anche amore che diviene cultura. Ma attenzione, sono azioni che partono sempre da una vita cristiana, da una comunione vera, non virtuale e da una caritativa che unisce ai nostri fratelli più piccoli che sono i poveri! E poi il cattolico deve tradurre la dottrina sociale sempre con la necessaria mediazione e laicità, che poi è la storia comune a tutti».

Come si esercita questa laicità?
«La Chiesa non è chiusa nel privato, non è prigioniera dell’individualismo, fa sentire la propria voce perché ama le persone e vive nella storia, con la necessaria laicità».

Esistono valori non negoziabili che determinano la scelta di un candidato da parte di un cattolico?
«La questione va posta in termini diversi. Il punto è che tutte le sfide della vita avvengono nel presente e richiedono di tradurre l’etica, la visione cristiana, in scelte a seconda delle necessità e delle opportunità, mai rinunciando alle proprie convinzioni, ma trovando le risposte adeguate e possibili».

I valori cattolici più o meno sbandierati o interpretati possono essere divisivi?
«La fede è di tutti e non può esser divisiva. Ci impegna a non avere nemici, ad accogliere tutti. Certo non significa mica andare d’accordo con tutti, ma ricordarsi sempre che l’altro è mio fratello! La fede va testimoniata con la vita».

Che cosa vi attendete dal governo che verrà?
«Ci aspettiamo che affronti i problemi in una cornice di interessi nazionali e sovranazionali».

Si riferisce all’Europa?
«All’Europa, innanzitutto. Ma anche al mondo, a partire dall’Africa».

E sull’immigrazione?
«Siamo un Paese pieno di risorse e di capacità: accoglienza, apertura dei flussi, integrazione, educazione, cooperazione e finalmente una gestione del fenomeno che ci fa uscire da un’idea solo di sicurezza, che in realtà senza il resto non è affatto garantita. Parlerei anche delle migliaia di ragazzi che vanno all’estero perché non trovano qui stabilità e futuro. La sfida è cercarlo assieme».

Cardinale, la presenza di praticanti è in caduta libera in tutto il mondo. Esistono proiezioni che parlano dei cristiani ridotti a minoranze nel giro di pochi decenni. La Chiesa resta antifragile, capace di sopravvivere a tutto?
«La storia della Chiesa non è mai stata conservativa. È un momento di difficoltà al quale bisogna reagire. Ma scoprirci più deboli può aiutarci a scoprire la nostra forza, quella vera, che parla alle persone, che dà senso alla vita: quella del Vangelo, il fatto più appassionante e umano che io conosco».

16 ottobre 2022 (modifica il 16 ottobre 2022 | 21:20)

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, 2022-10-16 20:38:00, Il presidente della Cei: prima dobbiamo essere cristiani, non pensare di esserlo perché facciamo politica, Marco Ascione, inviato a Bologna

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