Valutazione scuola primaria: ‘ma non erano meglio i voti’?

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Valutazione scuola primaria: ‘ma non erano meglio i voti’?
“Quanto ha avuto Bianca in Italiano?”
La domanda di mia mamma, la nonna di Bianca, è una di quelle scivolose. Lei forse si aspetterebbe una risposta numerica, la nipotina frequenta il primo anno della scuola primaria, va a scuola volentieri e fa i compiti da sola, quanto mai dovrà avere in pagella? Credo si aspetti un nove, forse un dieci. Così però non è.
Dall’anno scolastico 2020-21, per la precisione da gennaio del 2021, quindi dall’anno in corso, la valutazione per la scuola primaria ha cambiato logica e da una valutazione espressa in decimi, siamo giunti ad una più approfondita valutazione in livelli: in via di prima acquisizione, base, intermedio, avanzato.
“E’ andata bene, veramente”. Ci provo, ma già so come finirà. “Ok bene, ma quanto? Quanto?” La nonna non molla. Ha cresciuto due figli, sa che a scuola ci sono i voti, lettere o numeri poco cambia. Per lei la prestazione si valuta con un preciso segno alfa/numerico che indica se si è andati bene o male. Messo alle corde, mi rendo conto di non avere scelta e provo a spiegarle: ”Dall’anno scorso la valutazione è cambiata, Bianca ha raggiunto un livello avanzato per alcuni traguardi di sviluppo delle competenze, e intermedio per altre, tutto sommato una valutazione positiva”. Silenzio. Dall’altro capo del telefono mia madre tace per qualche secondo e poi chiosa: “Ok grazie, chiedo a Francesca” (la mamma di Bianca) e chiude la telefonata.
Non sono riuscito a farmi capire, ma forse il problema è che mia madre inizia ad avere una certa età e insomma, magari qualcosa potrà anche perdersela. Questo penso. Poi però mi pongo il dubbio se la comprensione dei livelli di apprendimento sia qualcosa di chiaro e comprensibile anche per i non addetti ai lavori, ma più giovani. Inizi quindi la mia piccola attività di ricerca.
Contatto dieci, forse dodici genitori di bambini che frequentano una prima e che non hanno fratelli già scolarizzati. Insomma, persone che forse si aspettavano un bel 9 in pagella, come la mia mamma. I risultati sono sorprendenti. Del piccolissimo campione da me scelto in modalità assolutamente casuale scopro che il 100% dei genitori intervistati ignorava la nuova modalità di valutazione, ma soprattutto non conosceva la logica della valutazione formativa che ne è alla base.
Se leggiamo le belle linee guida, infatti, troviamo scritto che: “La normativa ha individuato, per la scuola primaria, un impianto valutativo che supera il voto numerico su base decimale nella valutazione periodica e finale e consente di rappresentare, in trasparenza, gli articolati processi cognitivi e meta-cognitivi, emotivi e sociali attraverso i quali si manifestano i risultati degli apprendimenti. D’altro canto, risulta opportuno sostituire il voto con una descrizione autenticamente analitica, affidabile e valida del livello raggiunto in ciascuna delle dimensioni che caratterizzano gli apprendimenti.[1]
Tutto molto bello e giusto, ma le famiglie, in molti casi non sono pronte a una rivoluzione del genere, seppur auspicato da chi si occupa di scuola e di valutazione. In particolare, credo che i motivi di questa incomprensione, o nei casi migliori, di difficile comprensione siano almeno due. Uno, più squisitamente comunicativo: i genitori, di questo cambiamento, non sempre sono stati adeguatamente informati. Qualche scuola ha predisposto delle registrazioni, altre hanno aggiornato il sito, altre ancora hanno inviato il documento che abbiamo segnalato anche noi poco fa, ma in generale, tutto questo non basta. Soprattutto per cambiamenti così significativi, c’è bisogno che la scuola si faccia carico di accompagnare i genitori, presentare i cambiamenti nei dettagli, spiegarne il senso, il motivo. Uno dei miei intervistati mi ha chiesto: “Ma perché tutto questo casino, quando invece di avanzato potevano mettere 10?”.
Noi insegnanti sappiamo che non è proprio così, che il livello può essere avanzato per un certo descrittore e magari base per un altro e questo perché l’apprendimento non è un percorso costante, in piano, ed i bambini possono avere competenze anche molto diverse nella stessa disciplina. Queste informazioni però sono di difficile comprensione per molte famiglie, che hanno un ricordo vago e generico della scuola frequentata circa 30 anni fa e, inevitabilmente proprio quel modello di scuola ricercano. Cambia tutto nella nostra società, ma perché mai dovrebbe cambiare la vecchia, logora, affaticata scuola? Probabilmente, se invece di trovare le schede di valutazione in un asettico ambiente informatico, le famiglie avessero partecipato a un incontro on line durante il quale docenti e dirigenti avessero avuto modo di spiegare la differenza tra la valutazione formativa e quella sommativa, la logica dei traguardi di sviluppo delle competenze, la differenza tra prodotto e processo formativo, forse non avremmo risolto tutti i problemi della comunicazione scuola famiglia, ma probabilmente i genitori qualcosa in più avrebbero compreso, e magari anche le nonne. Meglio ancora se questi incontri fossero stati presentati e annunciati sin dalle riunioni di inizio anno, dove di solito l’attenzione è sui colori da mettere nell’astuccio, purtroppo o da cosa mangeranno i pargoli a pranzo.
In secondo luogo credo poi che il problema di base sia anche più squisitamente didattico. Dai primi giorni di scuola, infatti, i genitori sono abituati a vedere sul quaderno dei loro figli compiti che per la maggior parte dei casi rimandano al modello “vecchio” di scuola. Per capirci, quello che avevano quando ci andavano loro. Paginette di “b”, qualche dettato, paroline in corsivo copiate qua e la. E sotto ad ogni pagina, genitori ed alunni, trovano un segno grafico che rimanda a una dimensione di valutazione della prestazione, poco cambia se si tratta di uno smile, di un giudizio (bravo, bravissimo, ottimo, ecc), di un numero o altro. Gli strumenti per la valutazione delle competenze, cioè le rubriche di valutazione, le osservazioni sistematiche e le autobiografiche cognitive sono strumenti ancora largamente assenti, in primis nella cultura della valutazione e poi di conseguenza nella pratica.
Di fatto succede che per i primi mesi i bambini (e i loro genitori) non sono stati “educati” a una valutazione veramente formativa, ma molto spesso a una sommativa mascherata da formativa. Come il lupo nella fiaba di “cappuccetto rosso” l’8, il 9 o il 10, vengono mascherati da faccine sorridenti, da “ottimi” e “bravissimi”, ma il messaggio è chiaro: migliore è la prestazione didattica, migliore sarà la votazione. Non contano gli aspetti emotivo-affettivi, il punto di partenza soggettivo di ogni bambino, lo stile di apprendimento o la capacità di riflettere sul proprio lavoro. No, conta fare bene la “b”.
Credo che aver tolto i voti alla scuola primaria sia stato un bene, per molti motivi. Non basta questo però, soprattutto se calato dall’alto, a realizzare un cambiamento di senso nella scuola italiana, in grado di dare valore alla logica dei livelli di valutazione delle competenze. Se vogliamo una scuola che sviluppi le competenze dobbiamo creare i presupposti per una didattica attiva, riflessiva e metacognitiva, in grado di porre al centro della relazione tra insegnamento e apprendimento l’alunno nella sua interezza e complessità, e non solo le capacità prestazionali dei bambini. In altre parole, se veramente vogliamo che la valutazione formativa abbia senso, dobbiamo passare dalla scuola del compito perfettino alla scuola della “mano, della mente e del cuore”, immaginata da Pestalozzi, auspicata da Papa Francesco, ma ancora troppo poco conosciuta nella scuola italiana.
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