Ugo Zampetti, il superconsigliere di Mattarella che al Quirinale scelse l’articolo per Meloni: al femminile

di Marzio Breda

Ugo Zampetti, segretario generale del Quirinale, si trova al vertice della piramide gerarchica più impenetrabile dell’alta burocrazia: il mutismo pubblico assoluto è parte del suo ruolo. Poche le eccezioni: le consultazioni e il giuramento o l’investitura di chi guiderà il governo

«È un piacere ascoltare il silenzio di quest’uomo». Francesco Cossiga usava questo divertente ossimoro per spiegare la miglior qualità di Sergio Berlinguer, ex diplomatico, suo segretario generale sul Colle e cugino attraverso una parentela in cui si incrociava anche lo storico dirigente del Pci, Enrico.
Era un modo per descrivere l’attitudine – rafforzata da un vincolo professionale – alla riservatezza di coloro che stanno al vertice della piramide gerarchica più influente e impenetrabile dell’alta burocrazia. Quella del Quirinale. Persone che, oltre a guidare un apparato con bilanci e organici di una media industria, devono assistere il presidente della Repubblica nell’assolvere i propri compiti. Ciò ne fa i custodi di tanti segreti del Deep State, ossia lo Stato profondo, come il Colle viene spesso definito con un anglismo fuorviante. Lassù, infatti, non c’è la sede di uno «Stato dentro lo Stato», con regole sfuggenti e schermate, ma tutto si svolge secondo quanto previsto dalla Costituzione.

Diritto di parola

Si tratta comunque di un lato del potere invisibile. Un ruolo che impone un assoluto mutismo pubblico. Lo dimostrò il malinconico Berlinguer, negli anni in cui inutilmente si tormentava per frenare l’incontenibile «uomo del piccone». E lo dimostra il suo successore, Ugo Zampetti, che ha lo stesso incarico con Sergio Mattarella. Senza alcun affanno, lui. Gli unici casi in cui la gente lo sente parlare si verificano quando il Quirinale diventa la camera di compensazione di una crisi di governo o si avvia una nuova legislatura. Allora appare nella Loggia alla Vetrata dove sfilano i leader politici e legge in modalità istituzionale davanti alle telecamere i comunicati che danno conto delle consultazioni, sintetizzando con ferrea economia di parole le scelte compiute dall’inquilino del Palazzo.
Così vuole una prassi che rischia di farlo sembrare una sorta di camerlengo-cerimoniere, mentre è molto, molto di più. E così è stato anche il 22 ottobre, con il varo dell’esecutivo di centrodestra.

La questione di genere

Una sortita, quest’ultima, che è stata cliccata con infiniti replay sui social per una coda polemica sulla quale si sono mobilitati cronisti di costume, esponenti dei partiti, diversi fronti del femminismo, linguisti e perfino l’Accademia della Crusca. Tutti ad arrovellarsi su come l’annuncio dell’investitura era stato canonizzato.

«La presidente del Consiglio incaricata onorevole Giorgia Meloni…», recitava la nota, declinando correttamente al femminile l’articolo che introduceva il titolo conquistato dalla leader di Fratelli d’Italia. In mancanza di argomenti meno surreali – che da noi non mancano – si è infiammata una disputa grammaticale sul più appropriato allineamento tra genere e funzione, in nome del politicamente corretto.

Il che ha indispettito la neopremier. La quale ha ordinato a Palazzo Chigi di rettificare al maschile la dicitura

della sua corrispondenza ufficiale, puntualizzando come preferisce esser identificata: «Il Signor presidente del Consiglio dei ministri, on. Giorgia Meloni». Risultato: un sarcastico «Sissignora!» lanciato da Pd e 5 Stelle.

Una questione di lana caprina. Puerile. Tale da suscitare un’alzata di spalle nell’entourage del Colle e forse nello stesso Zampetti, che è stato testimone di contese ben più aspre e serie,
durante la lunga carriera nell’amministrazione dello Stato.

Curriculum vitae

Classe 1949, è figlio di Enrico, abruzzese di Lecce nei Marsi e già direttore della biblioteca del Senato che, da militare della divisione Aqui, era stato internato in un lager per aver rifiutato di arrendersi ai tedeschi dopo l’8 settembre 1943.

Il suo percorso pubblico comincia dopo una laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma. Poi l’approdo a Montecitorio in veste di funzionario
in varie commissioni e all’ufficio studi, fino alla nomina di segretario generale della Camera, che regge sotto le presidenze di Violante, Casini, Bertinotti, Fini e Boldrini. Una sequenza che trasmette subito un metodo di imparzialità praticato (ed evidentemente apprezzato, date le ricorrenti conferme nell’incarico) nei periodi dominati da sinistra, centro e destra.

Nonostante gli sforzi per tenersi nell’ombra, gli italiani lo conoscono quanto meno di vista.

Come capita con un dirimpettaio in cui ci si imbatte a giorni alterni per strada e ci si scambiano cenni di saluto senza sapere chi sia e che vita faccia. La sua figura alta e statuaria, il ciuffo folto e bianchissimo sulla fronte sono divenuti familiari a coloro che seguono i telegiornali, dove Zampetti compare di frequente nei filmati di repertorio, appaiato al Presidente o appena un mezzo passo più indietro.

Superconsigliere, e non solo

«Chi è quel signore? Un anziano corazziere no, perché non è alto abbastanza. Magari un visitatore assiduo? Oppure un parente di Mattarella?». Questo capita che domandino per mail parecchi lettori al Corriere. E non è facile rispondere illustrando in breve perché Zampetti si trova lì e in che cosa consiste il suo lavoro.

Se fossimo ancora in una monarchia si potrebbe dire che è il ministro della Real Casa. In variante repubblicana è il manager di una macchina organizzativa che conta 770 dipendenti (sfoltiti da oltre mille che erano), alla quale deve assicurare copertura finanziaria e adeguato funzionamento.

Ma è pure l’interfaccia del Quirinale nei rapporti con Camera, Senato, Corte costituzionale e Csm.

Infine, anzi soprattutto, è il superconsigliere del Presidente.

La presentazione però ancora non basta, perché è anche – in una logica molto verticalizzata – il coordinatore delle istruttorie condotte negli uffici diretti dagli altri consiglieri. E, da ultimo, è anche il supervisore di leggi e nomine che, per diventare operative, devono essere controfirmate con un decreto. Un elenco vasto e fluido di competenze, che ciascun segretario generale ha interpretato tarandole sulle necessità del proprio capo, seguendo la metamorfosi progressiva in corso sul Colle.

Precedenti illustri

Basta ad esempio scorrere i diari di Antonio Maccanico, stampella insostituibile di un Pertini molto protagonista, per intuire che fu lui – da analista del tavolo della politica – a imprimere per primo una lievitazione informale di questo potere. Altrettanto si potrebbe sostenere di Gaetano Gifuni, al quale – dopo la stagione di Scalfaro – non rinunciò Ciampi, che di politica era digiuno e aveva bisogno di un estroverso mediatore per normalizzare i rapporti con un Berlusconi allora arrembante. Per Zampetti, come per tutti, vale il principio secondo il quale il carattere dell’uomo è il suo destino.

Pubblico, privato, affinità

Del suo privato non si sa quasi nulla: che è tifoso della Lazio, amante della Sardegna e appassionato di letteratura, che ha una casa nella campagna romana. Qualcosa di più, invece, trapela su come si muove nella sfera professionale: orgoglioso e freddo, tecnicamente preciso e fiscale fino alla pedanteria. Insomma: il funzionario perfetto, perché non farebbe nulla che non gli venisse chiesto dal Presidente. E questo senza pretendere, come certi osservatori vorrebbero, di essere un’eminenza grigia o addirittura l’alter ego di Mattarella, anche se si identifica parecchio in lui. Affinità si colgono nella famiglia politica di provenienza, la sinistra Dc, e ne fa fede l’impronta lasciata su entrambi da Leopoldo Elia, relatore della sua tesi di laurea in Diritto costituzionale e amico del Presidente. Altro aspetto condiviso, la volontà di ridurre le distanze tra cittadini e istituzioni, giocando sul principio di Stato-comunità evocato di continuo dal capo dello Stato. Proprio questa aspirazione ha prodotto un cambiamento profondo, basato su un input fiduciario sottolineato dal Presidente fin dal suo esordio e fondato sull’idea di «spalancare le porte».

Messa in opera

Tra gli effetti provvisori: si è realizzata la totale apertura quotidiana del Quirinale alla collettività, si è fatto un riassetto della tenuta di Castelporziano per renderla accessibile ad anziani e fragili, si sono valorizzati i Beni culturali acquisendo opere contemporanee, sono stati concessi a scopo museale nuovi spazi, come palazzo San Felice, nella centralissima via della Dataria, prima destinato agli alloggi di servizio dei consiglieri. Ecco ciò che è concretamente misurabile, degli anni di Zampetti come segretario generale di Mattarella. Il resto – dalle voci su una sua presunta azione pedagogica per istituzionalizzare le forze antisistema, alle ipotesi di suoi interventi manovrieri per facilitare questa o quella soluzione politica – appartiene alle leggende che fioriscono intorno a questi grand commis di Stato. Nulla può confermarle. Valga pertanto il ritratto che di lui ha tracciato Fausto Bertinotti, ex presidente di Montecitorio, con una frase in cui riecheggiano le parole dedicate da Cossiga a Sergio Berlinguer per rimarcare che era silenzioso per dovere d’ufficio più che per timidezza. «Quello che di Zampetti si può dire è che il suo valore sta nel non dire».

12 novembre 2022 (modifica il 12 novembre 2022 | 11:50)

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, 2022-11-12 15:17:00, Ugo Zampetti, segretario generale del Quirinale, si trova al vertice della piramide gerarchica più impenetrabile dell’alta burocrazia: il mutismo pubblico assoluto è parte del suo ruolo. Poche le eccezioni: le consultazioni e il giuramento o l’investitura di chi guiderà il governo, Marzio Breda

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