Uccidono a calci una capretta per qualche like, è crisi educativa. Lavenia , ci vogliono punizioni vere. Docenti, colmate il vuoto educativo

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“Una capretta uccisa a calci durante una festa di compleanno. Il nuovo low della cosiddetta civilizzazione italiana. Ragazzi, cresciuti nel benessere educati a colpi di assegni e presenze parentali sporadiche, decidono che il massimo del divertimento è annientare una vita innocente. Non mi sorprende: siamo in un’epoca dove l’ignoranza è una virtù, la crudeltà è virale e l’empatia è morta e sepolta sotto like e commenti idioti”.

La denuncia viene dallo psicologo Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta, docente universitario e presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche e cyberbullismo, che parla di quanto accaduto pochi giorni fa, ad una festa di compleanno, in un agriturismo di Anagni. Con Orizzonte Scuola Lavenia analizza il potere dei social media, il ruolo della scuola, l’educazione delle famiglie e la responsabilità della società.

Professore, cosa è accaduto esattamente, di che tipo di ragazzi stiamo parlando?

Non parliamo di teppisti di periferia, parliamo di ragazzi i cui genitori dovrebbero essere i pilastri della società: un padre nelle forze dell’ordine, una madre in politica. Ma sono ragazzi che spesso non riescono a distinguere il bene dal male. E che si sono divertiti, nel bel mezzo di una festa di compleanno, a colpire una capretta a calci in testa fino ad ucciderla. Nei video, poi rimossi dai social, si vedono i ragazzi trasportare l’animale su una carriola per poi gettarlo dalla finestra e si vede uno di loro prendere la rincorsa per tirare calci sulla testa dell’animale fino a vederla morta. Il tutto, per una manciata di like e di visualizzazioni.

Ma è davvero tutta colpa dei social?

C’è sicuramente chi dirà che è colpa dei social media, ma dobbiamo fare attenzione a non confondere gli strumenti con gli artigiani. I social possono spiegare cosa sia l’educazione digitale ma prima di essa deve esserci l’educazione  tout court, quella che dovrebbe venire dalla famiglia. Quella che dovrebbe insegnare ed educare i giovani a non comportarsi come mostri in erba ma come essere umani.

Le punizioni servono ancora?

Assolutamente si, occorrono, sanzioni severe, e non pugni di zucchero come multe e sospensioni da social network. È tutto il sistema che va rivisto, perché un sistema che produce individui capaci di tali atti è pericoloso. Non è solo la capretta ad essere stata uccisa in quella festa raccapricciante. È stata uccisa anche una parte della nostra umanità collettiva. Nessuno di noi è immune da quella macchia perché quella brutalità efferata non è una anomalia ma può essere decifrato come il sintomo di una malattia che ci sta corrodendo tutti dall’interno.

Cosa può fare allora la scuola?

La scuola ha la responsabilità, forse ora più che mai, di colmare questo vuoto educativo. Insegnare non significa solo trasmettere nozioni, ma anche valori, empatia e responsabilità sociale. Programmi di educazione emotiva, lezioni di cittadinanza attiva e percorsi didattici che includono le cosiddette “soft skills” sono fondamentali. 

Questa non è una patologia isolata ma un problema sistemico che richiede un intervento olistico. Da un lato, la società deve smetterla di glorificare l’ignoranza e la crudeltà; dall’altro le istituzioni educative e le famiglie devono collaborare per formare individui non solo competenti, ma anche compassionevoli.

Teniamo presente che la mancanza di modelli positivi o il mancato accesso a opportunità costruttive per l’autoespressione possono indirizzare i giovani verso azioni più distruttive come un mezzo per affermare la propria identità

Vede, spingersi fino al limite può anche essere interpretato come un grido di aiuto. Potrebbe essere un modo per attirare l’attenzione su problemi più profondi come la depressione, l’ansia o altri disturbi mentali, che potrebbero richiedere un intervento clinico. Comprendere questa complessità è fondamentale per sviluppare approcci terapeutici e preventivi ed efficaci, già a partire dalla scuola.

Professore ma perché i giovani si spingono, sempre di più, fino al limite?

La tendenza dei giovani a spingersi fino al limite può essere compresa attraverso una lente multidimensionale che include fattori psicologici, sociali e culturali. In primo luogo, è importante considerare il contesto evolutivo: l’adolescenza e la giovinezza sono periodi di rapida crescita e cambiamento, sia fisico che emotivo. Questo può portare a un bisogno innato di esplorare i propri limiti per acquisire una maggiore comprensione di sé e del mondo. Dal punto di vista psicologico, la ricerca di emozioni forti potrebbe essere vista come un modo per combattere sentimenti di vuoto, apatia o mancanza di scopo. In un’era caratterizzata da sovraccarico di informazioni e connessioni superficiali mediata dai social media, il senso di alienazione e la mancanza di autenticità possono essere particolarmente palpabili. Agire in modo estremo può essere un modo per rompere con la routine, provare un senso di realtà più intenso e, in alcuni casi, ottenere l’approvazione dei pari o l’attenzione dei genitori e degli altri adulti.

E’ arrivato il tempo di agire, e l’azione deve partire da un impegno collettivo per risolvere questa crisi di valore e umanità.

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