Trump, autogol e bugie: i file top secret sparsi sul pavimento

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di Marilisa Palumbo

Il caso si aggrava: sempre più probabile l’accusa di ostruzione alla giustizia per l’ex presidente

DALLA NOSTRA INVIATA

NEW YORK — La decisione di Donald Trump di provare a rallentare l’indagine sui documenti non restituiti agli Archivi nazionali richiedendo la nomina di uno «special master», un revisore terzo che esamini il materiale sequestrato dall’Fbi l’8 agosto a Mar-a-Lago, potrebbe essere stata un boomerang. Il dipartimento di Giustizia ha infatti usato la sua risposta per meglio costruire, anche agli occhi dell’opinione pubblica, il caso contro l’ex presidente. Trentasei pagine e una foto che rimarrà nei libri di storia: quella del pavimento di Mar-a-Lago cosparso di documenti mischiati a riviste e chiaramente indicati come segreti o top secret. Una immagine «da brivido», la definivano ieri gli esperti di sicurezza nazionale o quanti hanno dovuto per lavoro maneggiare file simili.

I colori delle «copertine» che si vedono nella foto sono tipici del sistema a tre livelli di sicurezza con il quale le informazioni vengono presentate e conservate. I «Secret» (in rosso) e altri «Top Secret» (in giallo) potrebbero causare «serio danno alla sicurezza nazionale» se nelle mani di persone non autorizzate. Su alcuni (il cui contenuto è stato oscurato dall’Fbi) compare anche la sigla HCS-P, che indica informazioni ricevute da spie o informatori.

L’atto del dipartimento ricostruisce come si è arrivati fin qui. È circa un anno che gli Archivi nazionali cercano di recuperare documenti riservati che Trump si è portato con sé dalla Casa Bianca. A gennaio ottengono 15 scatole e vi trovano dentro numerosissimi (184) file classificati; poi si rivolgono allo staff dell’ex presidente che dopo vari rinvii a inizio giugno accetta un incontro a Mar-a-Lago, dove vengono consegnati altri documenti classificati e firmata una dichiarazione in cui si afferma che quelli rimasti sono nel deposito.

Nel frattempo però i National Archives si erano rivolti anche all’Fbi che, nel «raid» dell’8 agosto ritrova altri 100 documenti. L’atto firmato da Jay Bratt, capo della sezione controspionaggio del dipartimento di Giustizia, spiega che il Bureau ha ottenuto il mandato di perquisizione dopo aver avuto indicazioni (un informatore?) «che documenti governativi erano stati probabilmente nascosti e rimossi dalla stanza-deposito e che gli sforzi erano stati fatti probabilmente per ostruire l’indagine del governo». Tanto che nel raid spunta altro materiale: «Che l’Fbi — argomenta Bratt — nel giro di ore, abbia recuperato il doppio di documenti contrassegnati come classificati dopo che l’avvocato e altri rappresentanti dell’ex presidente hanno avuto settimane per fare la loro “ricerca diligente”, mette in seria discussione la rappresentazione dei fatti nella certificazione del 3 giugno e getta dubbi sull’estensione della cooperazione in questa vicenda».

L’atto del dipartimento di Giustizia fa capire come gli investigatori si stiano concentrando non solo sul fatto che il materiale non dovesse essere lì e non fosse conservato appropriatamente, ma anche sulla domanda se lo staff di Trump ha intenzionalmente mentito sulla presenza di quei documenti. Il che costituirebbe un reato di ostruzione alla Giustizia. Intanto resta la domanda principale: perché Trump aveva quel materiale a Mar-a-Lago e non voleva restituirlo?

31 agosto 2022 (modifica il 31 agosto 2022 | 23:06)

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, 2022-08-31 21:27:00, Il caso si aggrava: sempre più probabile l’accusa di ostruzione alla giustizia per l’ex presidente, Marilisa Palumbo

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