Torino, pusher ingoia gli ovuli e viene scarcerato: mancano i macchinari, controlli impossibili

di Simona Lorenzetti

È il primo effetto collaterale della chiusura della «sezione filtro» del carcere Lorusso e Cutugno avvenuta pochi mesi fa dopo la visita della ministra Cartabia, che l’aveva descritta come disumana per le condizioni in cui venivano ospitati i detenuti

Quando la polizia lo ha inseguito era chiaro che in bocca nascondesse qualcosa. Il rigonfiamento della guancia lo aveva tradito e gli agenti gli hanno chiesto di aprire la bocca. A quel punto il sospettato ha reagito: si è inginocchiato a terra, ha deglutito e poi si è scagliato contro i poliziotti costretti a usare il taser per bloccarlo. E così è scattato l’arresto per resistenza e per detenzione di droga ai fini di spaccio. Due giorni dopo il presunto pusher, un nigeriano di 27 anni, è tornato in libertà perché non è stato dimostrato che stesse spacciando. Meglio, non è stato dimostrato che avesse ingerito la droga destinata alla vendita. «L’indagato non è stato sottoposto al controllo delle evacuazioni, con la conseguenza che non è stato possibile reperire la sostanza stupefacente eventualmente detenuta», scrive il gip che ha disposto la scarcerazione.

La verifica non è avvenuta non per il lassismo degli agenti, ma perché oggi a Torino non esiste una struttura in cui svolgere questo genere di verifiche. E questo è il risultato: pusher che tornano in libertà poche ore dopo essere stati fermati. È il primo effetto collaterale della chiusura della «sezione filtro» del carcere Lorusso e Cutugno avvenuta pochi mesi fa dopo la visita della ministra Marta Cartabia, che l’aveva descritta come disumana per le condizioni in cui venivano ospitati i detenuti. A questo stop si aggiunge l’impossibilità delle forze dell’ordine di portare tutte le volte i sospettati in ospedale. Ecco quindi riemergere, così come era già successo nel 2019, la questione del recupero del corpo del reato. All’epoca i presunti pusher venivano trattenuti alla «filtro» e spesso sottoposti a radiografie. Troppe, secondo i garanti nazionali e locali dei detenuti che inviarono diverse segnalazioni in cui si evidenziavano le esposizioni alle radiazioni e si mettevano in luce le criticità igienico-sanitarie della sezione.

Nel dibattito la Procura chiese un parere a Roberto Testi, direttore sanitario dell’Asl da cui dipende il carcere torinese. Il professionista indicò che per gli ovulatori «bodypacker», coloro che contrabbandano droga attraverso i confini, esiste un «rischio sanitario» per cui era necessario accompagnarli in ospedale. Il rischio viene meno per i «bodystuffer», coloro che stanno per essere fermati e ingeriscono lo stupefacente e che non devono quindi essere portati in pronto soccorso. Il carcere da tempo si era dotato di un macchinario per raccogliere gli ovuli, ma non sempre funzionava a dovere e alcuni mesi fa si è rotto. «Stiamo studiando alcune soluzioni — spiega Cosima Buccoliero, direttrice dell’istituto penitenziario —. In questi mesi in alcuni casi i detenuti sono stati portati in ospedale, ma non è una procedura standard come invece avviene in altre regioni».

L’ipotesi che emerge dal tavolo di confronto — a cui siedono i vertici di Procura, carcere, forze dell’ordine, penitenziaria e assessorato alla Sanità — è creare all’interno del repartino detenuti delle Molinette un luogo idoneo per questo tipo di operazione. Ma servono il consenso di tutte le parti e anche i fondi per adeguare gli spazi. Insomma, si è in work in progress. Intanto i pusher tornano a spacciare.

9 agosto 2022 (modifica il 10 agosto 2022 | 14:45)

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, 2022-08-10 12:45:00, È il primo effetto collaterale della chiusura della «sezione filtro» del carcere Lorusso e Cutugno avvenuta pochi mesi fa dopo la visita della ministra Cartabia, che l’aveva descritta come disumana per le condizioni in cui venivano ospitati i detenuti, Simona Lorenzetti

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